Se il problema fossero solo i dazi… – Di Cesare Scotoni

Tutti i problemi, peraltro da tempo annunciati, arriveranno puntualmente al pettine

Il tormentone di aprile sarà dunque l’esercito europeo che l’Italia già bocciò nel 2021 con Draghi, o forse la revisione dei dazi verso gli USA o la pretesa che, accettato di recuperare il deficit sul 3% che rappresenta il costo di adesione alla NATO, gli europei salvino il proprio manifatturiero comprando degli armamenti che in Donbass han dato riscontri quantomeno non esaltanti?
Premesso che un rumoroso scandalo potrebbe risolvere rapidamente il problema dei titoli di apertura di molte testate, così come sarebbe per un decesso di impatto, la questione che balza subito all’attenzione di un qualunque lettore è che in tutto ciò, mentre nulla di imprevedibile sta accadendo, manchi compostezza nelle reazioni e nei ragionamenti che vengono proposti al grande pubblico.
Che vincesse Trump e che avesse un programma «di impatto» destinato a garantire innanzi tutto una ripresa occupazionale ed un incremento dei salari negli USA lo si sapeva.
Che l’Ucraina fosse solo lo scenario di uno scontro essenzialmente europeo sul futuro della NATO e sul senso dell’Unione Europea nata dopo gli accordi di Lisbona era noto a tutti.
 
Che la vicenda della «sfida Green» fosse tutta tra il cliente Germania in uscita dal nucleare ed una Francia interessato a subentrare come fornitore pure.
Possibile che a Bruxelles, dove la Pianificazione Centrale dibatte da sempre della dimensione delle triglie, del diametro delle vongole e delle misure dei preservativi, nessuno avesse anche solo ipotizzato delle linee guida credibili su cui creare quella convergenza politica che manca dal 2008?
Che l’Euro non fosse in grado di garantire il 2% di inflazione lo dimostrò Mario Draghi non riuscendoci per tutto il mandato, che il sistema di inutili regole pazientemente costruito con una selva di accordi bilaterali non desse competitività all’Area Euro lo dimostrano i dati di un ventennio, che un Parlamento Europeo cui è riservato solo un potere di ratifica fosse solo un simulacro di democrazia lo si sa fin da quando fu creato.
 
Cosa pensare ora di cotanto terrore panico nelle Istituzioni europee per una improvvisamente riscoperta Sovranità Europea rifiutata dai francesi il 29 maggio 2005 e poi dagli olandesi che adesso sembra minata alle fondamenta da quei Sovranismi Nazionali che già la bocciarono nel 2005?
Preoccupazione che rimbalza sulle prime pagine fin dal 16 novembre scorso e che vede un triste susseguirsi di eclatanti «anomalie» dell’impianto democratico dell’Unione che tra Georgia, Moldavia, Romania e Francia ci fanno riscoprire in una Russia che da venti anni è un partner dell’Alleanza Atlantica, un pericoloso nemico della recente volontà di Bruxelles di affrancarsi da Washington.
Proprio quando gli USA intendono massimizzare il risultato del loro impegno in quella che voleva essere innanzi tutto una guerra di logoramento ai danni della Germania esportatrice e del suo rapporto preferenziale con l’Est e in particolare con la Cina e la Russia.
 
Ebbene, forse una chiave di tutta questa agitazione è probabilmente a Damasco. Dove, con il recente accordo tra Ankara, Mosca (e Teheran) si sono archiviati Assad ed i 12 anni di guerra della NATO in quell’area con un sorprendente e rapido passaggio tra quelle Potenze Regionali che hanno definitivamente archiviato gli accordi Sykes - Picot senza che da TelAviv Londra potesse dire la sua.
Un’altra possibile lettura oggi è nelle evidenti difficoltà francesi in quella parte dell’Africa su cui Parigi fonda il suo potenziale nucleare.
Così, con la Germania colpita dagli Alleati della Nato nella sua capacità produttiva e nell’export e la Russia che erode le consolidate relazioni francesi con le ex colonie, l’ambizione Franco Tedesca nata nel 2008 affonda su Kiev, rischiando di minare in modo irreparabile le relazioni tra i due lati dell’Atlantico.
 
Chi banalmente finge che a Trump fosse preferibile la continuità tra Barack Obama, che di guerre ne iniziò 8 e un Joe Biden con la sua teoria di ambiguità e di compromessi costruiti in 50 anni di politica, dimentica faziosamente i ripetuti duri avvisi di Obama a Frau Merkel sull’impatto globale dello squilibrio causato dall’export tedesco e il costo che la difesa del dollaro come moneta principe degli scambi internazionali comportava per gli USA in quelle condizioni.
Chi prima del 2015 ha tirato troppo la corda con la NATO ha «perso l’attimo» che con Trump si era presentato a un’Unione Europea da sempre inadempiente già nel 2018 ed ora mostra tutta la sua debolezza. L’Unione politicamente non esiste e quindi non resiste.
Si piega lanciando proclami e implorando briciole, vittima di sé stessa e dei propri tanti, troppi limiti. Nascondendosi dietro a vecchi e nuovi nemici.
 
Prima o poi però se ne dovrà parlare.
Le sempre più probabili dimissioni di Ursula Gertrud Albrecht coniugata von der Leyen ci offriranno l’occasione per farlo. 

C. S.