La nostra Via Micaelica/ 9 – Di Elena Casagrande
Percorsa la Val Moriana, entriamo in Italia dal Moncenisio, salendo da Lanslebourg e scendendo a Novalesa, fino all’agognata meta: la Sacra di San Michele
La Piramide del Moncenisio.
Link alla puntata precedente.
A Saint-Jean-de-Maurienne da poco hanno riaperto il nuovo museo del coltellino richiudibile Opinel
Saint-Jean-de-Maurienne,
dove Santa Tecla portò una reliquia del Battista, è il capoluogo della
Val Moriana. In zona passa spesso il Tour de France, ma se per i
ciclisti qui è un paradiso, per pellegrini e viandanti non è il massimo,
soprattutto per il traffico dell’autostrada, della strada e della
ferrovia.
Qui fu inventato il coltellino che abbiamo sempre con noi,
come molti escursionisti: l’Opinel. Un museo lo celebra, anche se oggi
la produzione è stata spostata a Chambery. E qui, per valorizzare i
formaggi locali, negli anni ’70 sono stati anche inventati dei piatti
che ora sono la bandiera dell’Alta Savoia: la «tartiflette» (uno
sformato di Reblochon, patate, pancetta e cipolle) e la «croziflette»
(pasta a quadrucci con salmone, porri e capesante gratinata al Beaufort e
al Comté).
Quelle di «Le Grenier», a Sainte-Pancrace, per me, meritano
il viaggio.
Il museo dell’Opinel a Saint-Jean-de-Maurienne.
La Vallée de la Maurienne (Val Moriana) è detta anche la Valle dell’Alluminio
Uscire
da Saint-Jean direzione Modane non è piacevole, specie per le orecchie
che bisogna fare più volte per passare sotto l’autostrada, per
attraversare il fiume e seguire la D 1006 fino a
Saint-Michel-de-Maurienne.
Il paesino, un tempo sede di una commenda
templare sotto l’egida di San Michele, anche se in età moderna divenne
il fulcro della lavorazione dell’alluminio (grazie all’energia
idroelettrica della valle), ad oggi conserva ancora degli angoli
pittoreschi.
Ma proseguendo l’atmosfera cambia, come capita sempre nelle
zone di confine.
Nel pomeriggio incontriamo i miei genitori a Modane,
di fronte alla Cooperativa casearia, davanti alla stazione.
È
emozionante riabbracciarli dopo un mese. Mentre noi cammineremo, loro
faranno dei giretti in zona e ci rivedremo verso sera.
L’incontro con mamma e papà a Modane.
Camminando in una zona un tempo in bilico tra Italia e Francia saliamo alla base del Moncenisio
Da
Modane, prendendo un sentiero panoramico e poi il GR 5E, si può
raggiungere Lanslebourg, alla base del Moncenisio.
All’inizio si sale,
in quota, fino alla stazione sciistica di La Norma, nel Parco del
Vanoise, con vista sulle fortificazioni dell’Essaillon. I forti vennero
costruiti dai Savoia a difesa dei confini patri e poi passarono alla
Francia a seguito delle rettifiche dei confini.
Vi lavorò, anche il
giovane Camillo Benso Conte di Cavour, nel genio, durante il suo
servizio militare.
Poco lontano da qui si trova la spettacolare Ferrata
del Diavolo. Dopo il paesino di Bramans, dove un monumento sulla
dipartimentale ricorda il passaggio di Annibale con gli elefanti, si
trovano dei locali per fare una sosta.
Noi ci riposiamo a Termignon,
prima di finire la tappa a Lanslebourg. Dormiamo all’Hotel «Les
Marmottes», dove ci stanno aspettando i miei. A cena optiamo per il
Logis. Finalmente siamo in compagnia!
Chi si gusta la trota, chi il
filetto, entrambi al Beaufort, il formaggio del posto. Ma quel che conta
è che siamo tutti felici.
Il borgo di Lanslebourg.
Per me la tappa da Lanslebourg a Novalesa è stata una delle più belle di questo cammino
Usciamo
all’alba dalla stanza, cercando di non disturbare nessuno. Attraversato
l’Arc, prendiamo un sentiero in ripida salita lungo la pista di sci «La
Ramasse», nella nebbia. L’erba è alta e fradicia. Siamo zuppi dai
calzini in su, ma camminiamo bene e veloci.
All’arrivo, su quella che
sembra una strada, Teo si toglie lo zaino per cambiare la maglia.
Neanche faccio in tempo a chiedergli che cosa stia facendo che, dalla
foschia, ecco spuntare una lucina e poi… una sagoma: è il rifugio del
Col du Mont-Cenis.
Il vecchietto al suo interno ci accoglie con un
sorriso, ma al contempo si dispera perché ha la macchina del caffè «en
panne» (guasta). Parlando un po’ in dialetto piemontese, un po’ in
francese, chiama la moglie e le chiede di riscaldarci del latte, in
cucina.
Il locale è suggestivo, pieno di foto e ricordi. Persino il
bagno è tappezzato di disegni e cartelli che narrano la storia del
Moncenisio, dalla preistoria ad Annibale, da Carlo Magno a Napoleone.
La salita verso il Colle del Moncenisio nella nebbia.
Al rifugio del Col du Mont-Cenis l’anziano proprietario racconta la storia millenaria del passo
I miei, che pensavano fossimo ancora nei boschi sopra Lanslebourg, arrivano anche loro al rifugio.
«Ma siete già qui?» – Ci domandano.
«Anche da un bel po’, quasi un’ora» – Rispondo.
«Ma
voi state pure qui e fatevi raccontare le storie di questo posto, noi
ci vedremo stasera a Novalesa, al B&B Strada Antic».
Uscendo da
lì il paesaggio riempie l’anima. Tra la foschia grigia, i fiori fucsia
dell’epilobio e il turchese di qualche sprazzo di lago, sembra di essere
alle Isole Faroer.
Ad un certo punto ci affianca un’auto: sono papà e
mamma che ci salutano e che ci augurano «buon cammino!»
E poco dopo, al
baretto davanti alla «Piramide» (chiesa-museo) del Moncenisio,
finalmente posso bermi un caffè: qui la macchina del caffè funziona!
Lungo il Lago del Moncenisio.
Anche se sulla carta è facile scendere a valle, la Strada Reale e poi il bosco ci mettono alla prova
Il
sole comincia a squarciare la nebbia e, tra le marmotte che fischiano
come pazze, scendiamo verso il villaggio abbandonato di Grand Croix e
poi verso la Strada Reale, che è molto pericolosa, per la presenza di
tunnel chiusi e pericolanti.
La Gran Scala la facciamo tagliando tutti i
tornanti. Incontriamo anche una coppia di inglesi, seduti a bordo
strada. Bah! Sono i misteri del turismo straniero in montagna. In
compenso loro sono carini e ci scattano una foto. Siamo finalmente in
Italia ed i segnali della Francigena ci conducono, su un sentiero
scivoloso, nel bosco, prima al paesino di Moncenisio e poi a Novalesa.
Nonostante il cammino sia in discesa, l’arrivo sembra eterno.
.
La discesa verso la Gran Scala.
Novalesa, sulla Francigena verso il Moncenisio, ricorda sui suoi muri il passaggio dei pellegrini medievali
La
mamma è contenta perché, visitando l’Abbazia benedettina di Novalesa,
ha conosciuto un monaco friulano, come la mia nonna.
Purtroppo, al
nostro arrivo, l’Abbazia è chiusa: niente visita. Non ci resta che dare
un occhio al paese, in particolare alla canonica, alla locanda medievale
«Casa degli affreschi» ed alla chiesa parrocchiale con le sue tele
«caravaggesche».
Novalesa, antico punto di sosta lungo la Via Francigena
verso il Moncenisio, testimonia ancor oggi il suo passato ricco di
storia, addirittura con le scritte «medievali», lasciate sui muri dai
pellegrini che alloggiarono qui nei secoli addietro. Al B&B sono
gentilissimi.
Hanno due enormi cani San Bernardo, ma papà mi calma, dice
che sono tranquilli. Per cena, invece, andiamo a Susa.
Teo sul sentiero dopo Chiusa San Michele.
L’ultima tappa deve finire in fretta, per cui marciamo come dei forsennati
Oggi
è l’ultima tappa. Ci aspetta la meta del nostro cammino: la Sacra di
San Michele. I chilometri da fare sono tanti, ma vogliamo finire.
D’altronde le ultime settimane abbiamo fatto tappe lunghe ed importanti
proprio per concludere la via micaelica nei tempi che ci eravamo
prefissati.
Da Novalesa andiamo di buona lena a Venaus, dove, al forno,
compero un paio di crostatine. Da lì tagliamo verso Mompantero, passando
dal santuario moderno della Madonna di Rocciamelone, che un po’ mi
delude.
A Bussoleno, attraversata la ferrovia e poi la Dora Riparia,
proseguiamo, seguendo il pellegrino giallo della Francigena, fino a
Villar Focchiardo.
Ci fermiamo, per un piatto «veloce», in una trattoria
zeppa di lavoratori, dopodiché ci rimettiamo in marcia verso Chiusa San
Michele.
Davanti alla Sacra di San Michele.
In cima alla scalinata della Sacra di San Michele troviamo mia mamma che ci fotografa
Da
lì parte un ripido sentiero, nel bosco, che prendiamo con foga, come
non ci fosse un domani, finché tra castagni e pietre insidiose sbuchiamo
nel parcheggio sotto la Sacra. Imbocchiamo la stradina lastricata dopo
il Sepolcro dei Monaci e comincio a commuovermi. In cima alla scalinata,
anche se ancora non lo sappiamo, c’è la mamma che ci scatta una foto.
Teo ed io avanziamo piano, senza parlare.
Abbiamo un nodo in gola: ce
l’abbiamo fatta. I miei ci abbracciano e si complimentano. Io insisto
per farli salire dallo Scalone dei Morti e per farli varcare la Porta
dello Zodiaco. Tra le ginocchia malmesse del papà e l’affanno della
mamma, alla fine arriviamo comunque tutti in cima.
La potenza
dell’Arcangelo Michele si respira in ogni pietra di questo colosso. È
lui che ci fa sempre guardare avanti e in alto. E noi non possiamo che
rendergli grazie.
Elena Casagrande
(Fine)
Particolare della porta dello zodiaco.