Intervista a Sandro Raimondi – Di Nadia Clementi

Il bilancio dei sette anni di attività da Procuratore della Repubblica presso il capoluogo Trentino

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Da marzo 2018 Sandro Raimondi è stato il Procuratore capo della Procura di Trento.
Vicentino di nascita, è entrato in magistratura a 25 anni per iniziare la sua carriera a Milano dove ha lavorato per 29 anni in prima linea nella lotta contro mafia, tangenti, reati fiscali e ambientali.
Quindi il trasferimento a Brescia dove ha lavorato come Procuratore aggiunto per otto anni occupandosi di importanti inchieste nel campo dell'evasione fiscale, dalle truffe ai reati ambientali.
È sua la dichiarazione alla commissione parlamentare d’inchiesta antimafia: «Brescia è la nuova terra dei fuochi».
Una carriera quella di Raimondi costellata di successi, un uomo stimato e molto esperto in sicurezza pubblica.
 
Nel suo esordio con la stampa trentina, il-procuratore si era dimostrato fin da subito un uomo pragmatico e instancabile, un uomo dello Stato pronto a cominciare ad occuparsi con entusiasmo dei problemi del capoluogo Trentino.
Raimondi ha infatti scelto Trento per ultimare la sua carriera in una città di non grandi dimensioni, ma «virtuosa» e forse apparentemente insignificante rispetto ai tanti problemi affrontati nelle altre procure.
Eppure Trento in questi ultimi sette anni ha saputo dare del filo da torcere al Procuratore a partire dalla recente questione del sequestro preventivo dell’area del cantiere bypass ferroviario a Trento Nord.
Il dibattito è in corso, diviso tra favorevoli e contrari, sottolineando l’importanza dell’infrastruttura annessa agli ingenti finanziamenti collegati al Pnrr.
La Procura della Repubblica fa parte di una cabina di regia con il Commissario di Governo, prefetto Giuseppe Petronzi, Provincia, Comune, consulenti della Procura medesima, APPA, ISPRA: insieme stanno fornendo input e direttive per evitare danni ambientali nuovi e risolvere le problematiche legate a quelli datati.

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Non meno l’importante la conferma di infiltrazioni, se non addirittura di presenze stabili, di natura mafiosa, convalidate dalle condanne emesse nei processi legati all’inchiesta «Perfido» nel settore del porfido. Indagine che ha portato alla luce come la ’ndrangheta fosse riuscita a penetrare anche nel tessuto economico Trentino.
Di qui l’importanza di procedere con urgenza alla sicurezza digitale per le imprese contro i crimini web cybersecurity.
Nel 2022 è stato firmato a Trento un protocollo d’intesa siglato da Agenzia delle dogane, Procura, Leonardo Company, Cineca, Università di Modena e Confcommercio, al fine di creare una sinergia in grado di realizzare un sistema tecnologicamente avanzato per analizzare in tempo reale diverse fonti di dati, al fine di individuare e, se possibile, anticipare, altre infiltrazioni criminali in ambito economico.

Inoltre per garantire maggiore sicurezza ai cittadini la Procura di Trento ha rafforzato la collaborazione tra Provincia e Commissariato del Governo realizzando la piattaforma di analisi e business intelligence Qlik Sense®, sviluppata da Trentino Digitale.
Questo strumento avanzato permette di raccogliere, elaborare e incrociare dati provenienti da diverse fonti per individuare tempestivamente possibili fenomeni criminali, con un focus particolare sul contrasto alle infiltrazioni mafiose.
Nel mirino della procura troviamo anche le gravi rivendicazioni terroristiche che hanno impegnato la magistratura. Tra quelle più note il sostegno ad Alfredo Cospito, anarchico al 41bis. Si ricorda altresì l’arresto di uno straniero che stava preparando una bomba da far esplodere in città.

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Tra i numerosi fatti di cronaca, ricordiamo l’esposto presentato dagli animalisti riguardante l’approfondimento di indagini legate alla morte degli orsi in Trentino.
Il recente fascicolo aperto della Procura riguardante il caso della bambina trentina che si trovava in gravi condizioni di salute a causa della somministrazione di alimenti sospetti.
Infine non possiamo non citare i terribili casi di omicidi contro le donne come quello di Agitu uccisa a martellate in val dei Mocheni e i casi delle due donne di Rovereto anch’esse massacrate da uomini per futili motivi.
A questi episodi si aggiunge il recente caso del 19enne che ha accoltellato a morte il padre 46enne nel tentativo di difendere la madre, vittima di reiterate violenze domestiche.
La Procura ha deciso di non arrestare il giovane, ritenendo che la detenzione, considerata la delicata situazione personale e familiare, avrebbe potuto arrecare un ulteriore danno sotto il profilo psicologico ed emotivo del giovane.
 
A tal proposito, al di là dei numerosi fascicoli sulla scrivania della Procura, Raimondi si è sempre dimostrato molto sensibile e attento alla violenza contro le donne siglando un efficace protocollo di collaborazione con i professionisti APSS per affiancare la polizia giudiziaria e pubblico ministero nei casi previsti dal cosiddetto Codice Rosso (legge 69/2019) che tutela le vittime di violenza domestica e di genere.
A Trento si contano circa 800 denunce all’anno su cui i magistrati devono decidere entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato sulle informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato il reato se attivare o meno quanto previsto dalla legge.

Insomma anche nel nostro amato Trentino abbiamo i nostri grattacapi.
La situazione fotografata dall’ultimo rapporto della Procura 2018-2020 è rilevabile a questo link.
Abbiamo intervistato Sandro Raimondi per farci raccontare i suoi sette anni a capo della Procura di Trento.
 
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Dottor Raimondi, lei è stato un procuratore particolarmente apprezzato dalla comunità trentina, sempre presente nelle principali occasioni pubbliche e protagonista di risultati significativi. Si può dire che lei sia anche uno dei testimoni più autorevoli della «vicenda» trentina. Ma cosa l’aveva spinto a chiedere l’assegnazione della Procura della Repubblica di Trento?

«Mi ha spinto a chiedere l’assegnazione alla Procura della Repubblica di Trento innanzitutto la percezione di una realtà cittadina molto positiva. Trento mi era sempre sembrata una città dinamica e ben organizzata, anche se fino ad allora la conoscevo solo da turista. Mi ispirava.
«Inoltre, si trattava di una procura distrettuale, con competenze in ambiti che avevo già avuto modo di affrontare nelle mie precedenti esperienze professionali.
«Tutti elementi che mi hanno convinto a presentare la candidatura, consapevole che l’eventuale nomina sarebbe poi dipesa, per legge dal Consiglio Superiore della Magistratura.»
 
Ha incontrato difficoltà al suo insediamento in Trentino? Come è stato accolto dalle istituzioni?

«Sono stato accolto in modo estremamente cordiale e, fin da subito, l’attività si è rivelata intensa e stimolante. Non posso che parlare positivamente dell’accoglienza ricevuta, sia da parte del Commissario del Governo, sia dal Presidente della Provincia che dal Sindaco.
«Le figure istituzionali sono poi cambiate nel tempo: al mio arrivo il Presidente era Ugo Rossi, successivamente è subentrato Maurizio Fugatti. Con entrambi, così come con gli altri rappresentanti istituzionali, ho sempre avuto rapporti improntati al rispetto, alla collaborazione e a una proficua sinergia.
«Ho potuto lavorare con persone che stimo e con le quali si è instaurato fin da subito un dialogo costruttivo.»
 
 Oltre alle Istituzioni, si sono rivolte a lei molte associazioni e lei ha sempre risposto alle loro istanze. È un quadro che si riscontra in tutto il Paese, o Trento – nel bene o nel male - è diversa? Può dirci come si è evoluto il tessuto giudiziario nella nostra provincia in questi sette anni?
«Diciamo che il tessuto giudiziario in sé non ha avuto particolari evoluzioni strutturali, ma ciò che ho riscontrato – e apprezzato molto – è stata la forte presenza e vitalità del mondo associativo, soprattutto nell’ambito del volontariato.
«Ho avuto frequenti interlocuzioni con diverse realtà, in particolare con quelle impegnate nella lotta contro la violenza di genere. Con queste associazioni si è instaurato un ottimo rapporto di collaborazione: abbiamo sempre cercato di lavorare insieme, con rispetto reciproco e obiettivi condivisi.
«Affermo, senza timore di essere smentito, che su questo fronte il Trentino rappresenta un modello avanzato, non solo a livello nazionale, ma anche in ambito Europeo.»

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Come abbiamo scritto in premessa, in questi sette anni la Procura ha scoperchiato un brutto Vaso di Pandora… Siamo riusciti a contenere i fenomeni delittuosi più pericolosi?

«I fenomeni delittuosi, per loro natura, non si contengono, semplicemente si scoprono, si analizzano, si portano alla luce. A volte si riesce a far emergere un fatto, ma altri possono sfuggire. Tuttavia, quello che siamo riusciti a fare a Trento è condurre indagini importanti, che hanno portato a risultati molto rilevanti.
«Abbiamo, ad esempio, individuato e ricostruito un sofisticato meccanismo di riciclaggio intercontinentale di narcodollari. Siamo riusciti a localizzare una cellula di ’ndrangheta operante sul territorio, e abbiamo scoperto altri fenomeni criminali collegati sia all’area del Sud Tirolo sia a quella del Lago di Garda.
«Ovviamente, sarà poi compito dei giudici valutare la fondatezza delle nostre proposte accusatorie, ma in casi come quello del narcotraffico internazionale e della criminalità organizzata calabrese abbiamo già ottenuto sentenze confermate in Cassazione. Questo è stato possibile grazie al lavoro di squadra: ho trovato colleghi competenti, motivati, onesti e determinati, ho nominato procuratore vicario la dr Patrizia Foiera, che possiede doti lavorative eccezionali, sia sotto il profilo organizzativo sia sotto l’aspetto giuridico e che oggi ha assunto il ruolo di facente funzioni.
«Davide Ognibene ha svolto con pieno successo e realizzazione le più delicate indagini sul contrasto al terrorismo e sul fronte dell’anti narcotraffico. Giorgio Bocciarelli, Nadia La Femina e Maria Colpani trattano con grande attenzione il fenomeno della violenza di genere, assicurando alla collettività un servizio di eccellenza.
«Alessandro Clemente è stato inserito con successo in delicate indagini, con il suo spirito filosofeggiante e riflessivo. Ottavia Ciccarelli, entrata da poco più di un anno in servizio si è inserita benissimo e sta dimostrando esemplare professionalità. Alessandra Liverani fa parte molto attiva della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo e contrasta con successo i reati ambientali.
«Lo stesso vale per le forze dell’ordine. Abbiamo lavorato molto bene con la Questura, la Digos, i ROS, la Guardia di Finanza, il GICO, il GOA e anche con la Polizia Locale, che ha fornito un contributo significativo.
«Un esempio concreto è la squadra mista che ho formato all’interno del nostro centro intercettazioni tecnologiche - un ufficio tra i più delicati della Procura - composta da un carabiniere (il luogotenente Luigi Ranzato), un finanziere (brigadiere Nicola Cordeschi) e un agente scelto della polizia locale (Ivan Stenico). È stato un bellissimo esempio di sinergia, che ha dato risultati concreti.
«Certo, la carenza di organico è un problema anche da noi, come in tutta Italia. Ma posso dire con convinzione di aver trovato, qui a Trento, una qualità professionale altissima. Cito con piacere coloro che sono attualmente in carica, il dirigente della Digos, dottor Romagnoli, il dirigente della Squadra Mobile dottor Sergio Papulino, la dirigente delle volanti, dottoressa Angela Calienno il comandante dei ROS, Colonnello Platzgummer, il colonnello Matteo Ederle, i tenenti colonnello Michele Capurso e Pier Marco Borettaz dei Carabinieri e i colonnelli Salvatore La Bella e Danilo Nastasi della Guardia di Finanza: con tutti loro abbiamo collaborato in modo eccellente.
«Inoltre desidero ricordare i precedenti rappresentanti delle istituzioni con i quali ho avuto meravigliosi rapporti ossia i prefetti Sandro Lombardi (con il quale intrattenevo intense camere di consiglio), Gianfranco Bernabei e Filippo Santarelli.
«Una speciale attività anche con il generale Ivano Maccani della Guardia di Finanza uomo dalle mille idee e dalle mille innovazioni, Rapporto speciale di perfetta sintonia fu instaurato con il questore Maurizio Improta.
«Con il prefetto vicario Massimo Di Donato nel suo periodo di reggenza ho instaurato profili di alleanza e partecipazione nell’affrontare con successo problematiche spinose e delicate.
«Desidero, altresì, aggiungere che l’attuale prefetto Giuseppe Petronzi è dotato di eccezionali doti di comando e possiede una capacità di analisi e di inventiva che difficilmente ho riscontrato nella mia attività professionale.
«In Paolo Nicoletti e Raffaele De Col (direttori generali della PAT) ho apprezzato qualità di eccellenza nella direzione e collaborazione nelle iniziative poste in essere in sinergia con il mio ufficio.
«Un pensiero particolare al Procuratore Generale Corrado Mistri (che considero un amico) collega esempio di legalità, organizzazione e coordinamento magistrale per le procure del distretto. Anche con il presidente della Corte di Appello Eugenio Gramola (che ha preso le redini del proprio ufficio con eccellenza e umanità) il rapporto è di stima e amicizia.»
 
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Assassinio Agitu. Lei, pur dando corso all’obbligatorietà dell’azione penale, ha provato pietà per il colpevole. Non capita spesso di riscontrare aspetti emozionali presso la Procura. Può approfondire quei tragici momenti?

«Questo è un tema estremamente delicato e doloroso. Quando dico che provo pietà anche per chi ha commesso un crimine grave, intendo dire che l’essere umano va sempre rispettato, anche quando ha sbagliato profondamente. Questo non significa giustificare il reato, ma comprendere la persona nella sua complessità. Capire cosa c’è dietro una condotta delittuosa è fondamentale anche per evitare che si ripeta.
«Proprio con questa visione, insieme al direttore generale della Provincia, Raffaele De Col, che è un vulcano di idee e di innovazione, al Presidente della Provincia e al Sindaco, ho promosso un progetto che mi sta molto a cuore: la realizzazione di una pizzeria all’interno del carcere. Un'iniziativa con finalità rieducative e di reinserimento sociale. Purtroppo non potrò inaugurarla come procuratore, ma i lavori sono in corso e il progetto sta già prendendo forma.
«Le statistiche ci dicono chiaramente che la recidiva cala drasticamente quando i detenuti partecipano a percorsi di studio, formazione e lavoro. Al contrario, senza questi strumenti, il rischio che tornino a delinquere è altissimo. Credo profondamente che il carcere debba essere anche un luogo di rinascita e di opportunità.
«Inoltre, questa pizzeria non sarà isolata: potrà essere frequentata anche dai cittadini, promuovendo così un’idea di carcere aperto, integrato nel territorio.
«Stiamo valutando anche l’estensione del progetto con un bicigrill e convenzioni per offrire pasti alla cittadinanza, arrivando a coprire fino a 4.000 persone nella fascia del pranzo. È un modo concreto per unire reinserimento, dignità e servizio alla comunità.»
 
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Negli ultimi anni, a Trento, si è lavorato molto per contrastare la violenza di genere, sia sul piano repressivo che su quello della prevenzione. Ci può raccontare quali azioni concrete sono state messe in campo e quanto ritiene importante intervenire fin dalle prime fasi dell’educazione?

«È possibile fare prevenzione, e su questo fronte a Trento abbiamo lavorato molto. Una delle iniziative più significative è stata la collaborazione con la Trentino School of Management: ogni anno abbiamo organizzato corsi di formazione rivolti a tutte le forze di polizia, focalizzati in particolare sulla violenza di genere. La partecipazione è sempre stata elevata, sia in termini numerici che di coinvolgimento culturale.
«Ho inoltre dato direttive precise agli operatori di polizia affinché l’accoglienza delle vittime avvenga con la massima attenzione e sensibilità. In questo senso, un passo molto importante è stato compiuto nel 2019, quando - grazie a un protocollo firmato con l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS), poi rinnovato ed esteso anche a Rovereto - è stato attivato un servizio h24 e 365 giorni all’anno che mette a disposizione immediatamente psicologi, psicoterapeuti infantili, ginecologi e medici legali per prendersi cura della vittima. La vittima, purtroppo, nella quasi totalità dei casi, è una donna: i numeri parlano chiaro.
«Personalmente ritengo che la lotta contro la violenza di genere sia importante tanto quanto quella contro la criminalità organizzata. A Trento questo tipo di giurisdizione è possibile: grazie a una provincia virtuosa, alla collaborazione con le associazioni e alla sensibilità della cittadinanza. Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare, soprattutto in ambito preventivo.
«La prevenzione vera deve iniziare nelle scuole. Stiamo già lavorando, dopo aver redatto un protocollo con la Procura della Repubblica di Rovereto (diretta magistralmente da Orietta Canova) e la Procura della Repubblica per i minorenni di Trento (coordinata all’epoca dalla collega Nadia La Femina, collega di spessore, che ha ideato il protocollo medesimo) con l’Assessorato alla Cultura e all’Istruzione della Provincia per portare avanti un protocollo che coinvolga direttamente i docenti: chiediamo loro di segnalarci episodi di bullismo e disagio, perché se non siamo messi nella condizione di vedere, non possiamo intervenire. E ci rivolgiamo anche agli studenti, spiegando loro come comportarsi, a chi rivolgersi.
«In realtà, dovremmo partire ancora prima, dalla scuola dell’infanzia. I bambini oggi, già tra i 3 e i 6 anni, magari non sanno ancora leggere, ma sanno usare un telefono, trovare un cartone animato da soli. Lo vediamo ogni giorno: al ristorante, i genitori, per tenerli tranquilli, li affidano allo schermo. Serve un’azione culturale profonda, per contrastare la contro-cultura dei social.
«Sto lavorando a un progetto, insieme a profiler, psicologi, alla Provincia e anche al contributo dell’AISI, per costruire strumenti educativi rivolti sia ai bambini che ai genitori. Credo molto in questo approccio.
«Anni fa, sempre in collaborazione con psicologi e profiler di AISI e i ROS dei Carabinieri, abbiamo anche portato avanti un progetto di deradicalizzazione nei confronti di un estremista islamico, ottenendo buoni risultati. Questo dimostra che, se si lavora in rete, con metodo e convinzione, si può davvero incidere.»
 
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Non molto tempo fa, nel corso della conferenza stampa sui 37 arresti per droga, è stato rilevato che i due anni di pandemia hanno favorito il sorgere di centri di distribuzione di stupefacenti organizzati. Ci sono altri effetti negativi attribuibili alla pandemia?

«In realtà, la pandemia non ha favorito direttamente lo spaccio di droga. Quello dello spaccio è un fenomeno strutturale e diffuso in tutta Italia, alimentato da una domanda molto alta. E, dove c’è una domanda forte, inevitabilmente si sviluppa anche un’offerta organizzata, indipendentemente dalle contingenze sanitarie o sociali. Quindi no, non è stata la pandemia a creare il problema.
«Oggi il consumo di cocaina, ad esempio, non è più legato a determinati ambienti o fasce sociali, come accadeva negli anni ’80 o ’90, quando era considerata una droga  da ricchi. Oggi è purtroppo diventata una sostanza accessibile a molti: un grammo costa relativamente poco, ed è sufficiente per più assunzioni. Questo ha ampliato enormemente il bacino di consumatori.
«La vera emergenza, quindi, non nasce dalla pandemia, ma da un mercato droghe che si è esteso, radicato e normalizzato in molti contesti sociali.
«Il contrasto a questo fenomeno richiede indagini complesse, una risposta integrata delle forze dell’ordine e una presa di coscienza collettiva.»

In quell’inchiesta è emerso anche un possibile delitto contro la Pubblica Amministrazione. Non è mai stata abbassata la guardia in questi tristi episodi?

«Direi che il Trentino, sotto questo profilo, ha mostrato una sostanziale immunità. Non abbiamo mai avuto, in questi anni, casi significativi di reati contro la Pubblica Amministrazione che coinvolgessero enti come il Comune o la Provincia.
«L’ultimo episodio, che è emerso nell’ambito di un’inchiesta più ampia, è stato un caso assolutamente isolato, e va sottolineato che la stessa amministrazione provinciale ha reagito prontamente, decidendo di non confermare la persona coinvolta.
«In sette anni in Trentino, non ho mai dovuto affrontare indagini per corruzione, concussione o altri reati tipici contro la pubblica amministrazione.
«E posso dire, senza esitazione, che a Trento ho trovato un contesto politico e imprenditoriale molto sano, sicuramente più virtuoso rispetto ad altre realtà italiane in cui ho lavorato.»
 
Riguardo l’inchiesta di Riva del Garda e quella recente di Trento. Ha qualche novità da riferire?

«Al momento non posso fornire dettagli o aggiornamenti sui processi in corso, nel rispetto del segreto di indagine e delle garanzie legali.»

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I tempi della giustizia. Anni e anni fa, intervistato da noi, un giudice aveva detto che le cause di questa lunghezza dei tempi era dovuta a due fattori: troppi avvocati e troppo pochi soldi per la Giustizia. (Ovviamente l’Ordine degli avvocati aveva protestato). Lei ha qualche commento da fare sui tempi della giustizia?

«Il numero degli avvocati non ha alcuna responsabilità sulla lunghezza dei processi. Gli avvocati svolgono il loro ruolo con professionalità e hanno tutto l’interesse a concludere le cause senza inutili ritardi, perché, come dice il proverbio, “causa che pende, causa che rende” è una stupidaggine.
«Qui a Trento abbiamo un foro di eccellenza, e ho sempre avuto un rapporto di grande collaborazione, rispetto e stima reciproca con i presidenti dell’Ordine degli Avvocati i presidenti della Camera Penale e con gli avvocati stessi.
«Per esempio, nel progetto della pizzeria in carcere, ho coinvolto la Camera Penale, l’Ordine degli Avvocati e singoli professionisti di grande valore, come Andrea De Bertolini, che stimo moltissimo.
«Certo, sarebbe utile avere più fondi per la giustizia: con risorse maggiori potremmo assumere più personale, organizzare più concorsi e potenziare le strutture informatiche, migliorando così l’efficienza complessiva. Ma questo non è la causa principale della lentezza dei processi, che dipende da molteplici fattori strutturali e organizzativi.»
 
Riforma della Giustizia. Lei condivide la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti?

«Personalmente non condivido la separazione netta delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. Prima di diventare pubblico ministero, ho lavorato per due anni come giudice di tribunale, e in quell’esperienza ho imparato a conoscere profondamente la cultura della giurisdizione, che va oltre il ruolo di semplice accusatore. Sarebbe molto utile, a mio avviso, che chi fa il pubblico ministero abbia prima maturato un’esperienza come giudice penale, anche solo per due o tre anni.
«Il nostro compito non è quello di essere meri avvocati dell’accusa, ma di seguire una norma che ci impone di cercare le prove sia a favore sia contro l’imputato, cosa che gli avvocati difensori non sono tenuti a fare, poiché devono difendere al meglio e nell’esclusivo interesse del loro assistito. Abbiamo un dovere morale e deontologico di perseguire chi è responsabile di un reato, ma se emergono prove a favore, siamo tenuti a chiedere l’archiviazione senza passare per ulteriori fasi.
«Non si tratta di questioni politiche, ma di un modo diverso di interpretare il ruolo del magistrato. Credo inoltre che la funzione degli avvocati potrebbe essere rafforzata, anche dotandoli di maggiori strumenti investigativi, ma purtroppo questi costano e non tutti possono permetterseli. Io, invece, ho a disposizione un nucleo di polizia, la questura, la polizia tributaria e finanziaria, risorse che un avvocato non sempre ha.
«Quindi, nelle cause più complesse, dove sono in gioco grandi interessi, è inevitabile che chi difende debba investire risorse proprie.
«Detto questo, accusa e difesa devono restare paritarie, perché il diritto di difesa è fondamentale: senza difesa non esisterebbe uno stato democratico, ma uno totalitario.
«Per quanto riguarda le riforme, va detto che ancora non si sono viste del tutto all’opera.
«È previsto un Consiglio superiore della magistratura (CSM) separato per i pubblici ministeri e uno per i giudicanti, il che garantirà comunque delle tutele. Tuttavia, va sottolineato che, di fatto, la separazione delle carriere esiste già, perché per cambiare ruolo si deve cambiare regione, e questo riguarda solo una minima parte dei magistrati.
«In conclusione, penso che la formazione giurisdizionale, cioè la cultura del giudice, debba essere inserita in modo più forte anche nel percorso dei pubblici ministeri.»
 
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Può fare qualche critica alla legge Nordio, o magari dare qualche suggerimento?

«Non conosco nel dettaglio la legge Nordio, quindi preferisco non esprimere giudizi o suggerimenti specifici al legislatore. Il nostro compito è quello di applicare le leggi vigenti con imparzialità e rigore, lasciando agli organi competenti la responsabilità di elaborare e modificare le norme.»
 
Per concludere, le ultime tre domande. La prima: C’è qualche episodio che ricorda con particolare soddisfazione?

«Sono molti gli episodi che ricordo con soddisfazione, ma forse ciò che conservo con maggiore piacere è stato quando siamo riusciti a fare davvero qualcosa di positivo per chi stava soffrendo.
«Ad esempio, un caso recente che mi ha colpito è stato quello del giovane che ha ucciso il padre e che non è stato incarcerato. È stata una scelta difficile, una vera scommessa, ma credo che sia stata una decisione importante, perché il ragazzo oggi è seguito da psicologi ed educatori e riceve l’assistenza di cui ha bisogno.»
 
La seconda: C’è qualche episodio che ricorda con particolare rammarico?

«Rammarico si prova quando si sbaglia. In quasi 44 anni di carriera, di cui sette a Trento, ho seguito direttamente circa 50.000 processi e indirettamente molti di più. Spero di aver lasciato un bilancio positivo. Ritengo che il lavoro di un magistrato debba essere inteso come un servizio alla collettività, e non come un'espressione di potere.»

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L’ultima: Ci può fare una valutazione generale alla situazione del nostro territorio. In particolare sui giovani. Dobbiamo preoccuparci? Dovremmo fare qualcosa di più. Cosa?

«Per i giovani dobbiamo sicuramente fare di più, soprattutto perché la loro realtà è ormai fortemente legata al mondo digitale. Oggi la criminalità organizzata si serve di strumenti informatici molto sofisticati: hackeraggio, riciclaggio tramite criptovalute, acquisti e movimentazioni di denaro nel metaverso.
«Il cybercrime non è un problema futuro, ma una realtà già ben radicata, collegata anche a fenomeni gravi come il terrorismo e la pedopornografia: è il passato prossimo del crimine sofisticato.
«Se vogliamo davvero investire nella giustizia, dobbiamo puntare molto sull’educazione, sensibilizzando soprattutto sulle insidie dei social e delle false informazioni, ma anche potenziare le forze di polizia e la magistratura con più mezzi per contrastare la criminalità informatica, che potrebbe davvero mettere a rischio il nostro paese.
«Il pubblico ministero deve preoccuparsene e il cittadino deve sapere che le istituzioni si stanno occupando seriamente di questi temi. Possiamo fidarci delle nostre forze dell’ordine, che annoverano tra i migliori investigatori al mondo. Ho lavorato con diverse polizie internazionali, di eccellenza come la Homeland Security Investigations Statunitense, e posso dire che i nostri agenti, anche qui a Trento, rappresentano il meglio delle forze di intelligence.
«Questo perché la nostra polizia ha una formazione che parte dall’esperienza dell’antimafia e del contrasto al terrorismo di cinquant’anni fa, trasmessa di generazione in generazione, creando così una solida cultura investigativa che pochi altri territori possono vantare.»
 
Può condividere con noi quali sono i suoi progetti o le sue prospettive per il futuro, ora che ha concluso la sua carriera da procuratore?

«Sicuramente non mi immagino a casa senza fare nulla. Vedremo cosa farò da grande!»
 

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A nome mio e della nostra redazione, desideriamo esprimere il più sentito ringraziamento e profonda stima per la sua lunga e lungimirante carriera alla Procura di Trento.
Il suo impegno costante e la sua autorevole dedizione hanno rappresentato un contributo fondamentale per la tutela della legalità e la sicurezza del nostro territorio.
Le porgiamo i migliori auguri per il futuro, certi che saprà continuare a offrire un prezioso contributo anche nelle nuove sfide che vorrà intraprendere.

 Nadia Clementi - [email protected]