«Sembra facile»: quanto bisogna lavorare per far emergere il talento
Un appuntamento promosso dalla Fondazione Cassa Rurale di Trento che ha nutrito particolare interesse per il tema e per i due protagonisti che lo hanno animato
Se non ci sono intelligenza, caparbietà e umiltà, il talento - cioè saper fare qualcosa che gli altri non sanno fare - è un dono che rischia di andare sprecato.
C’è stata totale convergenza di vedute fra Dino Meneghin, «monumento» della pallacanestro italiana, ed Elio (all’anagrafe Stefano Belisari, fondatore e leader del gruppo Elio e le Storie Tese) che, incalzati dalle domande del giornalista Lorenzo Dallari, sono stati i protagonisti di «Sembra facile», un’iniziativa della Fondazione Cassa Rurale di Trento, ospitata al Cinema Vittoria.
Come affermato dalla presidente, Rossana Gramegna, la Fondazione ha organizzato l’evento come «occasione per riflettere» e il tema scelto, «Sport, arte, musica: quanto bisogna lavorare per far emergere il talento», ha dato ai due protagonisti l’opportunità di raccontare alcuni episodi significativi delle loro carriere, che hanno confermato la fondatezza della tesi enunciata dal titolo dell’iniziativa: con il talento si nasce ma non basta per diventare dei ««numeri uno».
Il primo passo da fare, tutt’altro che facile, è capire qual è il proprio talento. Meneghin, prima di arrivare alla pallacanestro aveva praticato nuoto, lancio del peso e del disco, tutte attività che gli piacevano.
Ma dopo una partita fra scuole qualcosa gli ha fatto intuire che la pallacanestro poteva essere il suo sport.
I fatti gli hanno dato ragione: 836 partite in Serie A, con 8.580 punti realizzati, 272 partite in Nazionale con 2974 punti, dodici scudetti, sei Coppe Italia, sette Coppe Campioni, due Coppe delle coppe, tre Coppe intercontinentali con i club, due bronzi europei, un oro europeo e un argento alle Olimpiadi con la nazionale e il titolo di miglior giocatore europeo di basket.
«Mi piaceva fare quello che stavo facendo, anche se richiedeva dalle quattro alle sei ore di allenamento al giorno a ripetere magari sempre gli stessi esercizi, ma non mi pesava e alla sera tornavo a casa stravolto ma felice, – ha affermato Meneghin, che tra i fattori che hanno determinato il suo successo ha citato la serietà e solidità delle società sportive per cui ha giocato e i compagni di squadra. – Ho avuto la fortuna di militare in squadre che hanno sempre lottato per vincere e più si vince più si vuole riprovare quella sensazione.
«Ho avuto grandi maestri sia fra gli allenatori che fra i compagni di squadra e mi sono anche preso letteralmente dei calci nel sedere dai più vecchi quando non mi impegnavo abbastanza.
«Ma quei vecchi – ha ricordato Meneghin – davano anche consigli e bisogna sempre guardare a coloro che hanno più esperienza e più qualità, imparare da loro.»
Anche per Elio, che è stato giudice del programma «X Factor», umiltà e rispetto per chi può insegnarci qualcosa sono indispensabili per coltivare il talento e farlo crescere.
«Chi ha talento deve ringraziare tutte le sere Dio e non pensare che sia un suo merito e vantarsene con gli altri, – ha detto. – Impegnarsi e voler dare il meglio di sé sembra essere diventata una merce rara, soprattutto fra i giovani italiani, che sembrano soffrire di un morbo di presunzione.»
Entrambi hanno poi sostenuto che l’allenamento, l’esercizio, la pratica costante, sono imprescindibili.
Guai sentirsi appagati solo dallo scoprirsi dotati di talento, non basta: il talento può esprimersi solo attraverso «la fatica, la voglia di fare sempre meglio, la fame di arrivare: è la fame che genera la voglia di faticare».
«Senza fatica non si va da nessuna parte – ha puntualizzato Meneghin – e se poi i risultati non arrivano, la colpa non è degli altri ma tua, che non sei stato determinato nel raggiungere quegli obiettivi».
E bisogna sapere che anche le sconfitte sono importanti e necessarie: «nelle vite dei personaggi celebri c’è sempre qualche sconfitta micidiale, nessuno ha sempre e solo vinto ma ha attraversato fasi nelle quali sembrava non ci fosse alcuna chance», ha affermato Elio ricordando che, Giuseppe Verdi, fu respinto all’esame di ammissione al conservatorio di Milano che oggi porta il suo nome.