La strana storia dell'uomo diviso in due metà – Di Daniela Larentis

Una cattiva e l’altra buona: è il racconto «Il visconte dimezzato» di Italo Calvino

Il visconte dimezzato fa parte della «Trilogia degli antenati» (insieme a Il barone rampante e a Il cavaliere inesistente), il cui autore è Italo Calvino, uno dei più grandi scrittori del Novecento (famosi i suoi racconti, i suoi romanzi e le celebri Fiabe italiane).
È una storia inverosimile, dal tono ironico, che narra le vicende del visconte Medardo di Terralba il quale, essendosi arruolato nell’esercito cristiano per combattere i Turchi, dopo essere stato colpito da una cannonata viene diviso in due.
La prima metà è prepotente e cattiva (la parte destra, il Gramo) e una volta portata all’ospedale e curata torna a casa seminando il terrore (alla morte del padre diviene la padrona di tutti i possedimenti e inizia a seminare il panico con la sua malvagità).
 
A pag. 52 del capitolo quinto (nel libro Il visconte dimezzato di Italo Calvino - Oscar Mondadori) ecco una delle situazioni in cui si evidenzia la sua crudeltà.
«La cattiveria di Medardo si rivolse anche contro il suo proprio avere: il castello. Il fuoco si alzò dall’ala dove abitavano i servi e divampò tra urla altissime di chi era rimasto prigioniero, mentre il visconte fu visto cavalcare via per la campagna.
|Era un attentato ch’egli aveva teso alla vita della sua balia e vicemadre Sebastiana. Con l’ostinazione autoritaria che le donne pretendono di mantenere su coloro che han visto, Sebastiana non mancava mai di rimproverare al visconte ogni nuovo suo misfatto, anche quando tutti s’erano convinti che la sua natura era votata a un’irreparabile, insana crudeltà.
«Sebastiana fu tratta malconcia fuori dalle mura carbonizzate e dovette tenere il letto molti giorni, per guarire dalle ustioni
 
La seconda è l’esatto contrario (la parte sinistra, il Buono), di una bontà esasperata ed eccessiva, fino a risultare fastidiosa.
A pag. 116 del capitolo nono viene descritto un episodio che sottolinea questo aspetto.
 
«Però l’intento di mio zio andava più lontano: non s’era proposto di curare solo i corpi dei lebbrosi, ma pure le anime. Ed era sempre in mezzo a loro a far la morale, a ficcare il naso nei loro affari, a scandalizzarsi e a far prediche.
«I lebbrosi non lo potevano soffrire. I tempi beati e licenziosi di Pratofungo erano finiti. Con questo esile figuro ritto su una gamba sola, nerovestito, cerimonioso e sputasentenze, nessuno poteva fare il piacer suo senz’essere recriminato in piazza suscitando malignità e ripicche
 
Alla fine le due parti (che considerate singolarmente risultano essere insopportabili) si riuniscono dopo varie vicissitudini e il visconte diventa nuovamente un’unica persona.
Ecco cosa è descritto nel cap. decimo, pag 132 (la voce narrante è il giovane nipote del protagonista).
«Così mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di esser dimezzato. Ma aveva l’esperienza dell’una e l’altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio
 
Questa storia tanto divertente quanto arguta enfatizza il fatto che in ogni persona coesistono sia la cattiveria che la bontà, poiché ognuno è fatto di luci e di ombre.
Ogni parte presa da sola non è felice né rende felici gli altri, solo ricomponendosi e vivendo in una situazione di equilibrio si può raggiungere quel senso di completezza che porta benefici non solo a se stessi, ma anche alle persone con cui ci si relaziona.
 
Calvino dichiarò in un’intervista che «tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra» e chissà, forse aveva proprio ragione.
Resta il fatto che la cattiveria repelle, disgusta, ma anche l’apparente perfezione alle volte può alquanto irritare, soprattutto perché, sapendo che nessuno è perfetto, la si immagina simulata e non reale.
 
Daniela Larentis
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