Aprovato il decreto «anti rave», ma i giovani ne hanno bisogno
Sarebbe da prendere in considerazione la Trentino Music Arena che sta per andare in appalto: ogni tanto potrebbe ospitare una sorta di… piccolo Woodstock
Foto di Woodstock, agosto 1969.
Il decreto «anti rave» fa discutere.
Dopo il raduno di Halloween di Modena, che è stato sgomberato dalle Forze dell’ordine senza colpo ferire, il Governo ha inasprito le pene per coloro che organizzano manifestazioni musicali pubbliche violando la legge. E per coloro che vi partecipano.
Per definizione, i rave party sarebbero «clandestini», a «carattere trasgressivo», inteso questo nella libertà di assumere stupefacenti e bere alcolici. Per questo vengono organizzati senza presentare istanze alle autorità, per questo i luoghi vengono scelti in base alle loro dimensioni e alla riservatezza che riescono a offrire.
In piena pandemia erano doppiamente vietati perché potevano favorire il diffondersi del coronavirus, ma in genere alle autorità non vanno questi raduni fuori controllo.
Chi ha vissuto il fenomeno della Beat generation non potrà mai dimenticare Woodstock, quello che oggi chiameremmo il padre di tutti i Rave party. Organizzato nel 1969 - cioè all’apice della cultura hippie - in un’area rurale anonima dello stato di New York, aveva l’obiettivo di fare «tre giorni di pace e di musica rock».
L’area di 1,2 km quadrati era stata affittata per 10.000 dollari con la previsione di richiamare un pubblico di 50.000 persone.
Senza aver dato molta pubblicità all’evento – e in un periodo dove i social network non erano neanche immaginati – vi parteciparono invece più di 400.000 persone. Forse 500.000, ma non si saprà mai perché i biglietti cartacei andarono esauriti.
I complessi che si esibirono furono centinaia, molti dei quali divennero poi famosissimi.
Senza fare paragoni irriverenti, i rave party possono svolgersi tuttora sulla falsariga di Woodstock.
Ma mentre Woodstock era «regolare», cioè in un’area presa in affitto, con tanto di biglietti, i rave party di oggi cercano di passare inosservati, come se i traffici comunicazionali sui social non potessero essere controllati dalle forze dell’ordine.
Le location scelte sono – all’apparenza – inaccessibili e solitamente illegali.
Quello di Modena era stato organizzato in un capannone smesso, proprietà di qualcuno che ne ha denunciato l’invasione, spaventato dall’idea che vi accadessero reati e che qualcuno si faccesse male, magari diventandone responsabile.
Ciò premesso, le considerazioni da fare sono tre.
La prima è che i giovani hanno bisogno di organizzare festival di questo genere. È fuori discussione.
La seconda è che per organizzarli hanno bisogno di una location adatta, sicura e, possibilmente, attrezzata.
La terza sta nella sottile linea di separazione tra il diritto giovanile di divertirsi come gli pare e la sicurezza che lo Stato deve garantire anche in questi casi, ma in maniera defilata.
Parlandone, viene subito alla mente l’area attrezzata realizzata dal presidente Fugatti in zona San Vincenzo di Trento per ospitare lo spettacolo di Vasco Rossi. Si potrebbe fare, magari con l'aggiunta di una tenso struttura.
E non sarebbe male se il soggetto appaltatore dell'area potesse svolgere anche questi eventi… trasgressivi.
Cum grano salis.