Saverio La Ruina porta al Cuminetti il dramma degli «Italianesi»

Giovedì 31 gennaio e venerdì 1 febbraio andrà in scena il monologo «Italianesi» che gli è valso il premio Ubu quale miglior attore italiano

Il calendario della rassegna «Tendenze Prosa», che affianca la Stagione 2012/2013 del Cento S. Chiara arricchendola di una particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea, propone per giovedì 31 gennaio e venerdì 1 febbraio il terzo dei sei spettacoli in cartellone.
Sul palcoscenico del Teatro «Cuminetti» sarà Saverio La Ruina con il suo monologo «ITALIANESI».
Italianesi, ovvero «italiani» in Albania e «albanesi» in Italia, è una pagina di storia bianca, resa toccante da un'interpretazione capace di donare poesia ad ogni oggetto e ad ogni nome.
Si tratta di uno degli spettacoli di maggior successo della passata stagione teatrale, interpretato da uno dei migliori attori italiani, Saverio La Ruina, vincitore con questo spettacolo dell'edizione 2012 del Premio Ubu come miglior attore.

Esiste una tragedia inaudita, rimossa dai libri di storia, consumata fino a poco tempo fa a pochi chilometri dalle nostre case.
Alla fine della seconda guerra mondiale, migliaia di soldati e civili italiani rimasero intrappolati in Albania a causa dell’avvento del regime dittatoriale, costretti a vivere in un clima di terrore e fatti oggetto di periodiche e violente persecuzioni.

Con l’accusa di attività sovversiva ai danni del regime, la maggior parte di loro fu condannata e rimpatriata in Italia.
Donne e bambini furono invece trattenuti e internati in campi di prigionia, colpevoli soltanto di essere mogli e figli di italiani.

Hanno vissuto in alloggi circondati da filo spinato, controllati dalla polizia segreta del regime, sottoposti a interrogatori, appelli quotidiani, lavori forzati e torture.
In quei campi di prigionia rimasero quarant’anni, dimenticati.

Come il protagonista della storia che ci racconta Saverio La Ruina nel suo nuovo monologo, testo finalista all'edizione 2011 del Premio «Riccone per il Teatro».
Tonino, nato in Albania nel 1951, è vissuto nei campi di concentramento per quarant’anni nel mito del padre e con il sogno dell’Italia, dove ha potuto finalmente arrivare nel 1991, a seguito della caduta del regime.

Furono 365 coloro che, riconosciuti come profughi dallo Stato, arrivano in Italia all'inizio degli anni Novanta.
Erano convinti di essere accolti come eroi, ma paradossalmente condannati ad essere italiani in Albania e albanesi in Italia.

Con la compagnia «Scena Verticale», da lui fondata nel 1992 assieme a Dario De Luca e che negli anni si è rivelata una delle più interessanti realtà teatrali nazionali, Saverio La Ruina affronta il suo terzo monologo rivelandosi ancora una volta un narratore eccellente, discreto ma efficacissimo nel porgere le parole al suo pubblico in un tono sommesso, dosando sapientemente silenzi e gesti.
Maglioncino dimesso, pantaloni demodé, una sedia in uno spazio per il resto immensamente vuoto: non gli serve altro per far agire l'urgenza del racconto, la potenza della lingua che riverbera un calabrese aspro e dolcissimo.

Il suo Tonino, come già le due straordinarie figure femminili dei suoi precedenti spettacoli – Dissonorata, in scena al Teatro Cuminetti qualche anno fa, e La Borto – è la voce di un sorprendente atlante degli umiliati e offesi: non un personaggio, ma un'esperienza.
Quello di La Ruina, che la critica ha paragonato ad Eduardo De Filippo per la capacità di condurre passo passo lo spettatore dentro l'anima di un personaggio, è un racconto di dislocazione, di sradicamento continuo e impenitente in cui il protagonista è straniero ovunque, vittima di un eterno ritorno a un'origine che non lo riconosce.

Le musiche originali sono eseguite dal vivo da Roberto Cherillo; Dario De Luca ha curato il disegno delle luci.