Renato e Aldo Pancheri a Palazzo delle Albere – Di Daniela Larentis
«Viaggio nel colore e nel segno», mostra curata da Waimer Perinelli e presentata da Annachiara Marangoni, visitabile fino al 25 agosto – Intervista ad Aldo Pancheri
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«Viaggio nel colore e nel segno» è il titolo della prestigiosa esposizione allestita a Palazzo delle Albere, Trento, dedicata a due importanti artisti del panorama trentino: Renato Pancheri, a dieci anni dalla sua scomparsa, e Aldo Pancheri, figlio di Renato.
La mostra è stata inaugurata lo scorso 12 luglio alla presenza di Waimer Perinelli, curatore dell’evento, stimato giornalista, critico d’arte e Presidente del Centro d’Arte La Fonte di Caldonazzo, e di Corrado Bungaro, assessore alla cultura del Comune di Trento, con intervento critico dell’apprezzata poetessa e curatrice Annachiara Marangoni.
Sarà visitabile fino al 25 agosto nei seguenti orari di apertura: 10:00|18:00.
Il luogo che accoglie il percorso espositivo, il cui allestimento è stato seguito da Nicola Cicchelli, è tanto suggestivo quanto emblematico, la villa cinquecentesca, edificata per volontà della famiglia Madruzzo, nell’immaginario collettivo ha da sempre rappresentato un pezzo di storia della nostra città, ne è da sempre un simbolo (le persone hanno bisogno di simboli in cui riconoscersi, hanno bisogno di identificarsi con i luoghi che custodiscono le tracce del loro passato).
Soffermandoci unicamente sulle destinazioni più recenti del Palazzo, ricordiamo che negli anni ha ospitato diverse autorevoli mostre, molti ne conservano un ricordo nostalgico (più o meno dalla fine degli anni Ottanta al 2011 è stato sede del Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, accogliendo esposizioni di grande rilievo nonché significative collezioni dell’Ottocento e primi Novecento); lungi dal voler alimentare polemiche, è tuttavia innegabile il fatto che questo edificio, rilevante patrimonio artistico e architettonico del nostro territorio, potrebbe assolutamente rappresentare una sede ideale da dedicare alle diverse espressioni dell’arte trentina dall’Ottocento alla contemporaneità (andrebbe ripensato, come sottolinea l’assessore Bungaro, all’interno di un progetto di riqualificazione delle aree culturali di Trento).
Riflettiamo su questa auspicabile possibilità, salendo i ripidi gradini, pregustando il senso di stupore che le opere di Renato e Aldo Pancheri sono solite suscitare nel visitatore.
Sottolinea Annachiara Marangoni nella sua bella presentazione: «[…] il quadro non è mai una finestra da cui affacciarsi, il quadro è incanto, folgorazione, tormento freddo, meditazione e struggimento, il quadro annienta la metafora (in Renato) o semplicemente la sfida (Aldo). Ognuno, padre e figlio, lo fanno a modo loro e in questo diventano inconoscibili. Sono proprio le opere che li distinguono, nessuno dei due si assomiglia e l’eredità non appare se non nel capitale che è la cifra artistica che portano.
«Il forte legame con la poesia e la pittura null’altro è che un sentimento disegnato attraverso il pennello che si distende su ciò che di mentale ognuno di loro vive.
«Se Renato risulta arpionato al paesaggio, dai profili nevosi dei paesaggi, fino ad astrarre questo elemento naturale e concreto, ma anche di contesto, in Aldo ritroviamo lo stesso paesaggio ma con un codice completamente diverso, astratto con una ricerca del colore profonda e delle dimensioni sovra spaziali complesse.
«Parliamo di arte timbrica di limitazioni, sovrapposizioni, idealizzazione di sentimenti, fotografati, dipinti, ritagliati, penetrati.»
La famiglia Pancheri è una famiglia di noti artisti. Gino, Renato e Aldo Pancheri, fratelli i primi due, dei quali Aldo è rispettivamente nipote e figlio (Gino Pancheri muore a seguito del bombardamento di Trento del 2 settembre 1943).
A tutti e tre la Galleria Civica di Trento ha dedicato anni fa una prestigiosa mostra accompagnata da un esaustivo catalogo (nel 1989 a Gino Pancheri, nel 1993 a Renato e Aldo).
Risale al 1990 la mostra dal titolo «I Pancheri: una casa di pittori», organizzata a Milano presso Palazzo della Permanente.
Nel decimo anniversario della scomparsa di Renato Pancheri, il figlio Aldo gli rende omaggio, esponendo le sue opere in un contesto davvero straordinario.
Renato Pancheri inizia ad apprendere le tecniche pittoriche sul finire degli anni Venti del Novecento, frequentando lo studio del fratello Gino, viene a contatto con pittori e critici, come il Gruppo d’Avanguardia Milanese, di cui fanno parte Sassu, Manzù, Birolli, Tullio Garbari e altri, oltre il poeta e critico d’arte Alfonso Gatto.
È del 1947 la sua prima personale a Trento, curata dal critico Silvio Branzi. L’artista si dedica soprattutto al paesaggio, partecipando a numerose mostre regionali, nazionali e internazionali in sedi istituzionali di grande prestigio e in gallerie private.
Osserva Waimer Perinelli, curatore della mostra: «Aldo e Renato sono l’anello di congiunzione fra un Post-impressionismo modificatosi in tempi brevissimi con una componente espressionista del padre e recenti ricerche cromatiche e grafiche del figlio.
«Renato ha sviluppato una personale indagine della natura, servendosi di una grande colorata sensibilità. Aldo dipinge con intensa liricità sia composizioni astratte con forme in equilibrio dinamico sia immagini figurative a cui si può anche associare una dimensione poetica.
«La sua ispirazione si accosta con uguale intensità alla realtà del mondo circostante non disdegnando l’analisi sociologica in particolare, in questo tempo vicino, al ruolo importante riservato all’immagine con l’accattivante provocazione del corpo strumento essenziale alla vita ed al piacere.»
Aldo Pancheri respira l’arte fin da bambino, fin da giovane ha la possibilità di sviluppare il suo talento innato ricevendo le prime gratificazioni.
Appena tredicenne, viene presentato da Alfonso Gatto in un’esposizione personale alla Sala degli Specchi di Trento (nel 1954). Studia all’Accademia di Belle Arti di Bologna nella scuola di Virgilio Guidi e colleziona una serie di importanti premi (il primo premio Diomira nella X edizione e due secondi premi al San Fedele, a Milano).
Insegna disegno architettonico e ornamentale a Trento, città in cui per un anno condivide l’atelier con il pittore Aldo Schmid. Negli anni 70 si trasferisce a Milano, entra in amicizia con l’architetto Luciano Baldessari, artista di fama internazionale, il quale lo introduce nell’articolato mondo dei collezionisti ed amici dell’ambiente artistico.
Espone a Venezia alla galleria «Il Traghetto», Gianni De Marco diventa il suo gallerista. Negli anni 80 collabora con lo stampatore Giorgio Upiglio in tecniche sperimentali con composti plastici di sua invenzione.
L’artista trentino di adozione milanese mantiene il forte legame con le sue radici in questi lunghi anni di intensa e incessante attività.
Nel 2014 dà vita al «Movimento Arte Timbrica», risultato di molti anni di espressività nell’ambito della pittura segnica. Sue opere si trovano in prestigiose gallerie e sedi istituzionali, sia in Italia che all’estero.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e di porgergli alcune domande.
Come è nata l’idea di questa prestigiosa esposizione a Palazzo delle Albere?
«L’idea è nata da una proposta del giornalista e critico d’arte Waimer Perinelli, dopo averlo informato che quest’anno ricorrevano i 10 anni esatti dalla scomparsa di mio padre Renato Pancheri.»
Come è strutturato il percorso espositivo?
«Il percorso espositivo è strutturato in modo tale da evidenziare, anche con opere di grande formato, il lavoro di mio padre e nel contempo di suggerire come la sua presenza sia stata per me il trampolino di lancio nel mondo dell’arte.»
Quante sono le opere esposte e a quali periodi sono ascrivibili?
«Le opere esposte sono circa 40, i periodi a cui sono ascrivibili coprono complessivamente il lavoro svolto sia da mio padre che da me nel corso degli anni.»
Renato e Aldo Pancheri, due apprezzati pittori trentini: che cosa vi accomuna maggiormente dal punto di vista artistico?
«Dal punto di vista artistico ciò che ci accomuna è una serietà di intenti e il credere nel proprio mondo espressivo. Mio padre dagli anni ’70 in poi propone un paesaggio espressionista con grande intensità di colore e partecipazione emotiva.
«Per quanto mi riguarda ho un percorso più frastagliato con passaggi dall’informale all’astratto geometrico al figurativo, inteso però in senso multimediale.»
A dieci anni di distanza dalla scomparsa di suo padre, c’è un ricordo di lui legato alla pittura che più di tutti gli altri le è rimasto nel cuore?
«Il ricordo che più mi è rimasto impresso di quando io ero bambino e lui adulto, è l’andare assieme a dipingere en plain air nei dintorni di Trento.»
Qual è l’insegnamento più grande che suo padre le ha trasmesso?
«Se vogliamo parlare di insegnamento, non solo di fatto genetico, la costanza nel proprio lavoro e, almeno a livello inconscio, la possibilità di trasmettere emozioni attraverso le proprie opere, condivise dagli altri.»
Progetti futuri?
«I progetti futuri si basano soprattutto sull’arte timbrica, e mi auguro, in tempi brevi, di esporre a Tokyo, a New York e Washington (a patto che il lavoro iniziato in proposito sia coronato da successo).
«Se non dovesse funzionare mi consolerà il motto nel peggio il meglio o, come recita la filosofia Zen, ho trovato opposizione, ho trovato approvazione.»
Daniela Larentis – [email protected]