Storie di donne, letteratura di genere/ 105 – Di Luciana Grillo

Carla Cerati, La cattiva figlia – Se c’è una scrittrice che ha saputo fotografare con straordinaria lucidità la vita delle donne, è proprio lei

Titolo: La cattiva figlia
Autrice: Cerati Carla
 
Editore 1990: Frassinelli
Editore 2001: Sperling & Kupfer
 
Pagine: 272, brossura
Prezzo di copertina: € 9,50
 
Venticinque anni fa lessi, quasi per caso, questo romanzo di Carla Cerati e rimasi fulminata tanto dalla storia raccontata quanto dalla prosa rigorosa e ferma, senza sbavature, senza cedimenti verso atteggiamenti mielosi.
Ebbi anche il privilegio di conoscere Carla qui a Trento, in occasione delle Giornate dell’editoria che in quegli anni si svolgevano sotto un tendone, in piazza Duomo. E anche da vicino, la Cerati mi piacque.
Oggi, che Carla ci ha lasciato, non posso non ricordarla in questa rubrica perché, se c’è una scrittrice che ha saputo fotografare con straordinaria lucidità la vita delle donne, è proprio lei.
Occupa anche un posto importante nel mio saggio «Costruire Letteratura con mani di donna», dove sono citati anche altri suoi (per me indimenticabili) romanzi.
 
Fotografa già molto famosa, ha incominciato a scrivere mettendo a nudo sentimenti e affetti, rapporti difficili e imprevedibili tenerezze.
Al centro di ogni romanzo, la famiglia, dal padre «intruso» al fratello tanto amato, al marito, alla madre di cui Carla si considerava, e non senza sofferenza, una «cattiva figlia».
Era spietata e sincera nel confessare: «Da quando mia madre è morta ho ripreso ad amare le domeniche… Mi piace restare a letto sveglia ancora un momento con la consapevolezza di poter fare del mio tempo ciò che voglio; senza apprensione guardo la sveglia sul tavolino alla mia destra: ho davanti a me una giornata piacevole».
 
E sottolineava la sua ansia di libertà, il suo sentirsi in colpa se non partecipava ai pranzi di famiglia, se una volta aveva detto a sua madre: «Si può sapere che cosa vuoi da me? Vuoi impormi il tuo modo di pensare? Mi sai dire che esempi ci ha dato la vostra generazione? Ci avete regalato due guerre e il fascismo e venite ancora a farci la morale!», se viveva le visite della mamma come un’occupazione del suo tempo e dei suoi spazi, se si innervosiva quando «entrava nella mia stanza a qualsiasi ora anche solo per domandarmi dove fosse finito l’uncinetto che stava usando il giorno prima o per ricordarmi che era sabato e si doveva far la spesa per la domenica».
 
Poi, «a ottanta anni passati, ormai sola in una casa inutilmente grande mia madre vedeva come naturale destino di terminare la vita con me. Mi sentii come se qualcuno mi avesse dato una coltellata».
Giulia, la figlia, lavorava, aveva impegni da rispettare e amicizie da mantenere, aveva bisogno di silenzio per concentrarsi, ma la convivenza rendeva tutto molto difficile: «Non le faccio una colpa di non esserci stata da quando avevo vent’anni a quando ne ho avuti quaranta ma di trovare naturale esserci ora che ne ho cinquanta…».
Anche il trasferimento della mamma in un pensionato non migliora i loro rapporti: «…avevo ridotto gli attacchi di mal di testa, ma non ero riuscita a eliminare dai nostri rapporti l’insofferenza e la fatica… io la rattristavo e lei mi irritava, oppure lei si rattristava di irritarmi e io mi irritavo di rattristarla… avrei voluto essere tenera e consolatoria e non ci riuscivo…». Solo un espediente permetterà a Giulia di capire sua madre, di conoscerla meno superficialmente, di apprezzarne intelligenza e capacità: chiederle di raccontare la sua vita, partendo dalla storia della nonna.
 
Tra un incidente e qualche malanno, in un oscillare di sentimenti affettuosi e di insofferenza, passa il tempo, mentre Giulia – che vede il progressivo decadere di sua madre – chiede ai medici di evitare l’accanimento terapeutico.
Infine, sopraggiunge la morte: «Soltanto oggi mi rendo conto di quanto posto abbia occupato questa donna, mia madre, malgrado io non glielo volessi concedere; e di come la sua figura si sia ingigantita nei ricordi che mi trascinano lontano, sempre più lontano, come accade con certe onde anomale che si abbattono sulla spiaggia, solitarie e improvvise, quando all’orizzonte passa, sagoma quasi invisibile, una grande nave».
Grazie, Carla!
 
Luciana Grillo
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