«The climbing mind», la mente che si arrampica – Di Nadia Clementi

È un film sulla storia vera di un ragazzo che per recuperare la propria vita, messa a rischio dall’abuso di stupefacenti, si arrampica sul K2

«The climbing mind» è il primo lungometraggio del dott. Giuseppe Aceto, video maker che abbiamo conosciuto nella precedente intervista (vedi).
Il documentario racconta la storia vera del amico Davide, detto Dado, quasi trentenne, vittima di un passato segnato dall’abuso di sostanze stupefacenti che gli provoca una grave compromissione della normale funzione cognitiva che lo legherà ai farmaci per il resto della sua vita.
[Di sostanze stupefacenti ne abbiamo parlato nel dossier fornito dalle Forze dell'ordine - NdR

Solo dopo anni di riabilitazione ritrova un fragile equilibrio tra il rimorso di aver segnato la sua esistenza e la voglia di vivere accettando se stesso.
È la passione per la montagna in ogni sua forma che permette a Dado di riprendersi, dalla contemplazione al trekking fino alle scalate. La sfida è quella di avvicinarsi al K2 con l’intento di arrivare più in alto possibile per riprendere le redini della sua vita.
L’intento del documentario è duplice: da un lato raccontare una storia che affronti temi che portano l’essere umano ad un degrado irreversibile; dall’altra rendere lo strumento documentaristico utile per lo stesso protagonista. Un progetto in cui Davide può mostrare a se stesso che la progettualità è ancora possibile.
Il documentario culmina nel tentativo di realizzare un’impresa che, al di là dell’aspetto sportivo realmente impegnativo, rappresenta la concretizzazione di un sogno che segna la ripresa del pieno controllo della propria volontà. 
Cliccando l'immagine che segue si apre il trailer.

 


Di come è nato e il perché di questo documentario lo chiediamo direttamente al giovane regista Giuseppe Aceto. 
 
Ci racconta brevemente la storia del protagonista del suo documentario?
«Davide ha avuto un’adolescenza caratterizzata dall’abuso di sostanze stupefacenti di diverso genere, un giorno dei suoi diciannove anni ha assunto una particolare droga sintetica che ha mandato in cortocircuito il suo ipotalamo e lo ha lasciato per mesi in preda delle allucinazioni.
«Dopo un difficile percorso di riabilitazione e disintossicazione oggi Davide conduce una vita quasi normale.»
 
Quali sono oggi le difficoltà fisiche e mentali ereditate dalla tossicodipendenza?
«Durante la riabilitazione a Davide è stato diagnosticato un disturbo psichiatrico e tutt’oggi prende dei farmaci per stabilizzare l’umore; per il resto si può dire che conduce una vita normale, ha ripreso a lavorare e lo sport rappresenta un importante parte delle sue giornate. Certo poi rimangono le difficoltà relazionali e soprattutto la paura del pregiudizio.»
 
Come avete deciso di raccontare la sua storia al pubblico e perché?
«Inizialmente volevo raccontare una storia di rinascita attraverso lo sport montano, poi iniziando le riprese e vivendo a stretto contatto con Davide mi sono reso conto che questa rinascita c’è stata fino ad un certo punto.
«Sarebbe ipocrita dire che persone come Davide possono condurre una vita normale o che possono fare tutto quello che fanno gli altri. Davide ha fatto degli errori in passato e ne paga le conseguenze, da qui è partita l’idea del K2, o meglio dell’arrivo al campo base, perché rappresenta la progettualità in una persona che, apparentemente, non ha un futuro davanti a se.
 

 
In quali luoghi avete girato il film?
«Per ora le riprese sono state effettuate nelle montagne trentine dove Davide arrampica e fa escursioni. Ora la sfida è arrivare in Pakistan e da li partire con il trekking.»
 
Questo rappresenta sicuramente una delle parti più complesse della produzione di questo documentario, in che modo avete trovato i fondi necessari?
«In realtà il progetto è totalmente autofinanziato, sia io che Davide stiamo investendo delle nostre risorse per realizzare il film. Però questo non basta, nonostante si tratti di un documentario da budget relativamente ridotto sarà indispensabile il contributo di sponsor privati.»
 
Avete già in mente aziende o altre realtà che potrebbero aiutarvi?
«Stiamo attivando una campagna su internet di raccolta fondi, chiunque visitando il sito www.theclimbingmind.com può donare anche una piccola somma; inoltre ci stiamo muovendo per trovare finanziamenti da aziende di articoli sportivi, casse rurali e privati.»
 
Davide ha trovato delle difficoltà nel raccontarsi?
«Direi di no, sicuramente il fatto di passare insieme del tempo e condividere con lui scalate e trekking ci ha avvicinato e in questo modo lui ha maggiore confidenza. Così come nella vita di tutti i giorni Davide può sembrare un ragazzo chiuso e riservato davanti alla telecamera ha invece trovato un suo modo per aprirsi.»
 

 
Il finale prevede una spedizione di 160 chilometri che vi porterà dal Pakistan fino al campo base del K2, quando avete intenzione di partire e come siete organizzati?
«Il periodo ideale per questo tipo di trekking è agosto-settembre quindi probabilmente partiremo in quel periodo. Siamo in contatto con delle guide italiane e pakistane che risiedono in loco che ci consentiranno di arrivare in sicurezza fino al campo base insieme ai portatori; grazie alle tecnologie moderne questo tipo di impresa è adatto più o meno a chiunque, a patto che sia sano e allenato, la vera sfida sarà raccontare questa impresa che è soprattutto tra Davide e la sua volontà.»
 
Quale messaggio dovrà arrivare al pubblico che vede il documentario?
«Tra gli intenti c’è quello di raccontare le dinamiche complesse che si sono instaurate tra Davide e il mondo e che mi hanno affascinato fin da quando l’ho incontrato la prima volta.
«Non c’è un messaggio che dovrà passare, l’obiettivo è immortalare la spinta esistenziale e per quanto possibile la particolare percezione che Dado ha di ciò che lo circonda, spero che questo susciterà delle riflessioni nello spettatore.»
 

 
Quando vedrà la luce il documentario finito? Avete intenzione di presentarlo a qualche concorso?
«Non appena rientrati dalla spedizione monterò tutto il girato, si tratta di mesi di riprese, inoltre mi occupo anche delle musiche quindi si tratterà di un lavoro piuttosto lungo. In ogni modo per dicembre, massimo gennaio, il lavoro sarà completato in quanto è prevista l’iscrizione del documentario al Film Festival della Montagna 2015.»
 
Nadia Clementi - [email protected]
Dott. Giuseppe Aceto  - [email protected] - www.theclimbingmind.com