Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Adriano Panatta

Al Festival dello Sport di Trento la «squadra» che ha vinto la Coppa Davis


Foto di Nicola Eccher.

 
C’è una sola squadra italiana che ha vinto la Coppa Davis. È «La squadra», quella composta da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Corrado Barazzutti, che nel 1976 a Santiago del Cile conquistarono per la prima e unica volta la principale competizione a squadre del tennis.
Una storia recentemente raccontata da Sandro Veronesi in una docuserie e ripercorsa stasera all’Auditorium Santa Chiara.
 
Era un autunno caldo, l’Italia lacerata era attraversata da tensioni sociali e il paese sudamericano viveva la repressione del regime di Pinochet.
Si pensò quasi di non partire. Il viaggio alla fine si fece, e una volta ritornati a Roma dovettero uscire da una porta secondaria per paura delle contestazioni.
Lo scrittore racconta quegli anni.
«In cinque anni – ha detto Veronesi – giocarono quattro finali, tutte fuori casa. La prima fu vinta, le altre tre no. Sono stati grandi giocatori e assieme hanno formato una squadra straordinaria.
«Quello che hanno fatto loro, in Italia, non lo ha più fatto nessuno, ma quella storia non fu celebrata a dovere. Il senso del mio documentario è stato quello di rendere il giusto onore a questi ragazzi.»
 
Bertolucci all’epoca si trovava già a Buenos Aires, ma le notizie che arrivavano dall’Italia non erano buone. Alla fine, qualche giorno prima, la politica diede l’assenso per la partenza.
«La tensione era salita parecchio – ricorda Barazzutti – ricevevo minacce di morte, non andavamo più in giro, avevamo paura.»
Il clima sul palco è però scherzoso e il pubblico in sala si diverte. Panatta è un fiume in piena, i fidi compagni non sono da meno.
La scaletta dei giornalisti Riccardo Crivelli e Barbara Fantoni ormai è carta straccia. Vengono svelati i retroscena del documentario.
«Siamo stati una squadra vera – afferma Panatta – tra noi c’era grande rivalità quando ci incrociavamo in campo, ma assieme eravamo molto uniti.»
 
«Giocare con Adriano è come quando sei con la moglie – sorride Bertolucci – gli insulti che ricevevo quando giocavano in doppio entravano in un orecchio e uscivano dall’altro. Però accettavo le sue rotture di scatole perché era uno dei migliori al mondo.»
Entrano in scena due racchette, una di cinquant’anni fa e una moderna. «Non so dire cosa avrei potuto fare con le racchette di adesso, è difficile dirlo ora» – taglia corto Barazzutti.
 
Il discorso passa all’addio di Roger Federer che tanto ha emozionato nella notte tra venerdì e sabato.
«Ho trovato di cattivo gusto, volgare e villano il fatto che i due americani [Sock e Tiafoe - NdA] miravano in faccia Federer e Nadal – ha ammesso Panatta – fanno così solo perché non potevano fare altrimenti contro due campioni del genere.»
«Sarebbe stato bellissimo se Federer avesse vinto due anni fa a Wimbledon e chiuso lì la carriera – aggiunge dice Bertolucci – ma le favole non sono sempre a lieto fine.»
 
Nel 1976 a Santiago invece il cielo cileno si tinse d’azzurro.
L’Italia vinse la sfida per quattro punti a uno, lasciando l’unica vittoria al Cile nel match finale, con il trionfo ormai già acquisito da parte della nazionale italiana.
E pensare che quella squadra non la volevano nemmeno far partire.
L'incontro si conclude con i tre tennisti e lo scrittore che giocano sul palco a ping pong. E con tanti applausi dal pubblico dell'Auditorium.