Mancanza di educazione? – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
No, la dobbiamo chiamare «mala educazione» che è quella che stiamo proponendo in questo momento ai nostri ragazzi
Si dice che i bambini e gli adolescenti di oggi usino ormai comunemente un linguaggio da postribolo. E quando mi chiedono che fare per contenere parolacce e volgarità, rispondo «Non c’è niente da fare. Battaglia persa!».
E non lo dico perché giustifico le scurrilità del linguaggio nel parlare comune, ma perché ormai le parolacce le dicono tutti.
I bambini le sentono in continuazione dagli adulti, dai genitori, dalla gente dello spettacolo, nei dibattiti pubblici, dai politici.
Quindi non sono un «peccato».
Il fatto più consistente, caso mai, è che oltre a questo il modo di parlare, il comunicare è diventato ingiurioso, offensivo e violento. Cosa pretendere?
Alla fine, il turpiloquio è la cosa meno grave se paragonato ai comportamenti irrispettosi, di insulto e che oggi con sempre più frequenza incitano all’odio.
Inutile lamentarsi della mancanza di educazione dei giovani se i modelli che proponiamo loro sono ben altri.
Come pretendere che in un litigio un ragazzo non mandi a… quel paese (ma questa espressione è ormai d’altri tempi) un genitore, se è lo stesso genitore che insulta il proprio figlio, o magari offende apertamente l’insegnante che, a suo parere, ha valutato ingiustamente il proprio pargolo, oppure ridicolizza senza mezzi termini una persona di cui non condivide il modo di essere.
Come aspettarsi che a scuola gli scolari ascoltino chi parla, rispettino i compagni e non li offendano, se gli adulti per primi non rispettano le regole comuni, sono offensivi e prevaricatori?
Cosa significa parlare di legalità, di onestà, di rispetto dei più deboli, quando prevale negli atteggiamenti comuni, tra gli uomini pubblici, quelli che contano, arroganza, falsità, imbrogli, malaffare, esibizionismo e il proprio tornaconto?
Non è mancanza di educazione. La dobbiamo chiamare, caso mai, «mala educazione» quella che stiamo proponendo in questo momento.
Perché non si trasmettono con le parole valori come rispetto, accoglienza, partecipazione, ma è con i fatti e l’esempio che educhiamo alla tolleranza e alla comprensione, alla disponibilità e alla solidarietà così come all’empatia.
Non si diventa «buoni» perché ci dicono di esserlo o ci spiegano come fare, ma perché vediamo come si comportano gli altri.
Lo spiegano molto bene le neuroscienze e la scoperta dei neuroni a specchio che dimostrano quanto conti il comportamento degli altri nell’attivare empaticamente le nostre risonanze interne.
Far crescere, dunque, vuol dire educare con l’esempio e non dire quello bisogna fare. Non è che non serva mettere limiti e dare regole di comportamento.
Però è necessario partire dal proprio modo di agire. Prima di dire come bisogna comportarsi, l’educatore deve mostrare con i fatti e con il suo modo di essere quello che chiede.
E poi è necessario cominciare dalle piccole cose quotidiane come educare a chiedere «per cortesia», domandare «permesso» prima di entrare, salutare non con un mugugno, ringraziare per un aiuto, attendere il proprio turno sia per prendere qualcosa che per parlare.
Regole elementari e di base, che devono essere fornite ai bambini e rispettate da tutti.
Sempre. Regole che valgono in famiglia e a scuola. Ovunque.
Giuseppe Maiolo
Doc. Psicologia dello sviluppo – Università di Trento
www.officina-benessere.it