Legge provinciale sulle Pari Opportunità/ 7 – Di Minella Chilà

«Conciliazione? Forse è meglio parlare di condivisione.» – Intervista a Simonetta Fedrizzi Presidente della Commissione Pari Opportunità

Abbiamo incontrato Simonetta Fedrizzi, Presidente della Commissione Provinciale per le Pari Opportunità per parlare di conciliazione familiare, di lavoro al femminile, di violenza contro le donne, di politiche di prevenzione e di tanto altro.
Una discussione a tutto tondo che ha toccato punti dolenti e scottanti dell'essere mamma e lavoratrice oggi, di benessere familiare, di progetti promossi presso le scuole per parlare di relazioni affettive tra i due generi, per scardinare stereotipi, per combattere le convinzioni sbagliate che non ci fanno crescere e che ci tolgono speranza.
Un interessante confronto con una donna che ha cuore le donne e che immagina un Trentino dove le «pari opportunità tra uomo e donna» non siano soltanto una legge, ma una realtà in cui tutte possano realmente sviluppare le proprie competenze e partecipare attivamente alla vita politica, sociale e culturale del Paese.
 
Qual è la questione «centrale» oggi per le donne?
«Senza dubbio la conciliazione tra famiglia e lavoro, o meglio tra vita e lavoro! E' questo il tema centrale anche delle nostre politiche di promozione e sostegno della parità di genere, la Commissione infatti ha messo in campo una serie di iniziative per favorire il più possibile il benessere familiare e della donna.
«Occorre partire però da un presupposto: non sono i bambini che devono adeguarsi ai ritmi degli adulti, semmai è il contrario, perché il punto fondamentale è che ogni bambino ha il diritto di ricevere tutta l'attenzione, le cure e il tempo necessario dai propri genitori.
«Non tutte le famiglie però sono uguali, non ci sono cliché o standard da seguire, occorre avere la capacità di rispondere alle diverse esigenze dei diversi nuclei familiari che compongono una società complessa e articolata come la nostra.
«Ci sono i figli di genitori separati, le famiglie mono genitoriale anche in Trentino rappresentano una percentuale sempre più alta, ci sono le famiglie dove tutte e due i genitori lavorano a tempo pieno o quelle dei liberi professionisti.
«Ogni famiglia ha una sua vita, le istituzioni devono cercare di dare risposte a tutti i bisogni.»
 
Qual è la situazione dell'occupazione femminile in Trentino?
«Se ogni anno in Trentino 300 donne abbandonano il proprio lavoro perché diventano madri, un problema c'è di sicuro.
«Tra le cause, la mancanza di una rete parentale a cui potersi appoggiare in caso di bisogno... quando la maternità comincia a diventare una corsa ad ostacoli, alla fine le donne sono costrette ad arrendersi per non soccombere.
«Anche l'Azienda spesso non viene incontro alle lavoratrici madri, rifiutando il part-time o scoraggiando forme di lavoro diversificate o non concedendo quella flessibilità necessaria durante i primi anni di vita del bambino...
«Anche la mancanza di servizi per l'infanzia rappresenta un ostacolo al rientro al lavoro della donna. Il Trentino, sebbene la situazione rispetto ad altre parti d'Italia è sicuramente migliore, è ancora sotto quest'aspetto a macchia di leopardo. In alcune valli l'offerta di servizi è ridotta ed a pagarne le conseguenze sono sempre le donne.
«Occorre modificare, anzi invertire le logiche che sinora hanno regnato nel mondo del lavoro.»

«Sono stata molto colpita da una Direttrice donna della IBM che durante il suo discorso di insediamento dichiarò che se le persone fossero rimaste in Ufficio oltre l'orario di lavoro sarebbero state punite.
«Ovviamente era una provocazione, un modo per far capire e lanciare un nuovo messaggio, quasi rivoluzionario: la vita del lavoratore viene prima della sua occupazione, così la propria famiglia, i figli, gli interessi e le proprie passioni».
«È necessario perciò introdurre sistemi nuovi di valutazione del personale e scardinare lo stereotipo che il lavoratore più affidabile è quello che «passa» più tempo in Ufficio.
«Occorre valorizzare le «persone», perché se un soggetto cura i propri interessi, è sereno e riesce a dedicare il tempo che egli ritiene necessario per stare con la famiglia ed i figli sicuramente le ricadute sulle sue performance in ufficio non potranno che migliorare.
«È necessario valorizzare le persone che raggiungono gli obiettivi, non solo quelle che rimangono di più in ufficio.»
 
Invece, l'attuale organizzazione del lavoro penalizza le donne.
«Per esempio non si pensa mai a quanto saranno svantaggiate in futuro le donne che oggi usufruiscono di part-time, aspettativa o congedi vari perché saranno destinate a percepire una pensione molto bassa.
«Il sacrificio maggiore, specie se le coppie si sfasciano (e ciò come sappiamo non succede poi tanto di rado) lo sostengono quindi le donne che si sono accollate determinate scelte familiari compiute a vantaggio del benessere di tutti. Di questo – ricorda alle nostre lettrici - occorre tenerne conto.
«Ma anche chi ha deciso di dedicarsi a tempo pieno al lavoro, citiamo ad esempio le manager di prima generazione, non ha avuto una vita facile.»
 
La dottoressa Fedrizzi riporta le testimonianze della maggioranza di loro dalle quali è emerso un quadro sconfortante: una vita di rinunce che non ha permesso loro, in alcuni casi, di costruirsi una famiglia o di avere figli, negli altri di investire tempo nelle relazioni affettive.
Insomma, risultato: donne sole e con mille sensi di colpa.
 
Quali sono allora le soluzioni?
«La conciliazione diventerà sempre di più una questione centrale. Occorre immaginare un progetto di architettura sociale che integri e contemperi le diverse esigenze.
«Ed è per questo che istituzioni, politica, parti sociali, economiche e culturali saranno chiamati a mettere in campo, ognuno nel proprio ambito, competenze e risorse.»
 
Simonetta Fedrizzi sostiene con fermezza che la conciliazione non «fa bene» solo alle donne e alle famiglie che ne beneficiano direttamente, ma anche alle aziende perché quelle che decidono di investire nell'organizzazione del lavoro tenendo conto delle esigenze familiari riceveranno un beneficio economico in termini di: migliori prestazioni rese dai dipendenti, maggiore fidelizzazione e sensibile riduzione del turn over. Tutto questo è provato dai fatti.
 
La conciliazione è un tema strategico, ma perché sembra riguardare solo ed esclusivamente le donne?
«Sono loro che si sobbarcano l'onore delle cure parentali, sembra un'impresa titanica delegare per una donna.
«Più parliamo di conciliazione più conveniamo che questo termine in fondo non rispecchia appieno il significato che vorremmo assumesse, perché evoca e richiama concetti legati a visioni opposte da comporre o a litigi da mediare, sarebbe meglio cominciare ad usare un altro temine: condivisione che vuol dire aiuto, sostegno, divisione equa di compiti e di ruoli.
«La strada è tracciata, ma il cambiamento deve partire anche da noi donne, dobbiamo imparare a delegare, impostando relazioni affettive che tengano conto delle nostre esigenze, iniziare a combattere nei luoghi di lavoro per difendere la condizione di madre lavoratrice, chiedere e pretendere maggiore flessibilità per consentirci di vivere appieno la nostra vita familiare. Meno rinunce, maggiori soddisfazioni.»
 
E sul tema della violenza contro le donne?
«La Commissione ha investito soprattutto nell'area dell'informazione, sensibilizzazione e prevenzione utilizzando un linguaggio diverso, quello teatrale.»
«Uno dei primi spettacoli che abbiamo portato in Trentino, anche in periferia, attraverso una campagna mirata di sensibilizzazione si intitola Viola, descrive l’orrore quotidiano della violenza domestica, ma anche la capacità delle donne di reagire, di parlare, di aiutarsi o farsi aiutare.
«Uscire dal tunnel della violenza si può.
«Il messaggio importante è che la rete amicale e parentale a volte può salvare dalla disperazione una donna, una mamma.
«La radice della violenza di genere si nutre di una distorta cultura di potere e di disparità , promuovere politiche di prevenzione vuol dire incidere sulla cultura della parità.
«Le donne hanno voglia di raccontare le loro storie maledette, quando organizziamo gli incontri che prevedono l'intervento di chi ha subito violenza, le testimonianze sono davvero toccanti, a riprova del fatto che c'è voglia di uscire allo scoperto, di parlare del proprio dolore, di condividerne il peso. 
 
Quali sono i progetti realizzati dalla Commissione nelle scuole?
«Nei prossimi mesi verrà realizzato un progetto riguardante il tema della violenza di genere negli istituti scolastici superiori in collaborazione con il Centro per la mediazione della Regione Trentino-Alto Adige, d'intesa con l'Assessorato provinciale alla Solidarietà Internazionale e alla Convivenza e l'Assessorato provinciale all'istruzione.
«L'accordo verrà attuato attraverso la sottoscrizione di un protocollo d'intesa, nel quale saranno precisate le azioni promosse ed i percorsi formativi da intraprendere per prevenire il fenomeno, tra la Provincia Autonoma di Trento, la Commissione Provinciale per le Pari Opportunità, i due assessorati sopra citati e la Regione.
«È stato lanciato nel 2010 nelle scuole trentine, un concorso biennale dal titolo Uguali, ma diversi, che ha riscosso molto interesse tra gli studenti. Si trattava di elaborare uno spot audiovisivo finalizzato a promuovere un messaggio a sostegno del rispetto delle pari opportunità nelle relazioni fra persone.»
 
I video realizzati sono disponibili nel sito della Commissione e raggiungibili tramite questo link.  
Le Minerve dimenticate è una nuova iniziativa rivolta alle scuole, al fine di promuovere percorsi che valorizzino le figure femminili con lo scopo di scoprire e riscoprire alcune figure femminili che hanno dato il loro importante contribuito nei vari campi e settori dell'arte, della letteratura, delle scienze...
Anche i docenti verranno sempre più coinvolti in percorsi di formazione per aiutare i ragazzi a rivedere l'impostazione dei loro rapporti, ad interrogarsi sui rapporti e sulle relazioni con l'altro sesso. 
 
L'incontro si è concluso. Ci salutiamo consapevoli di avere ancora tante cose da dire e da fare per promuovere una cultura di parità, ma con una speranza... la voce di un ragazzo quindicenne che intervenendo in uno degli incontri promossi dalla Commissione ha detto «Chi usa la violenza è un debole».
 
Minella Chilà
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