«Operazione Misurata»: Riportare a casa in nostri connazionali
La drammatica cronaca di un nostro collaboratore che si trova coinvolto in un'operazione umanitaria in corso con la Libia
Come avevamo anticipato ieri, è in
corso un'operazione umanitaria nel Mediterraneo, con la quale si
sta cercando di trasferire un notevole numero di connazionali dalla
Libia all'Italia.
Testimone dell'operazione un nostro collaboratore, del quale - per
ovvi motivi di sicurezza - al momento non facciamo il nome.
Siamo però stati autorizzati a riportarla e a dire qual è il
Teatro: Misurata.
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Lo scorso giovedì 17 febbraio, l'agente di madrelingua araba a
Bengasi tornava alla sede di un'azienda lombarda per riferire sulla
situazione in Libia.
«La situazione è critica, ma soprattutto instabile. - Riferisce in
ottima lingua italiana. - Si parla ufficialmente di ribelli e di
insorgenza. Il sentimento è anti italiano perché Gheddafi è in
buoni rapporti con il nostro Paese. Ma il pericolo vero è dato da
bande di predoni che vanno in giro armati come i militari,
passandosi per terroristi, quando invece il loro scopo è
palesemente quello di depredare le aziende europee. Consiglio
l'evacuazione.»
A quel punto partono i contatti con l'unità di crisi della
Farnesina che, sostenuta dalla Difesa, decide di attuare un piano
di sgombero per i circa 150 dipendenti di questa azienda, che opera
nel campo petrolifero.
Dopo varie consultazioni, anche con il governo libico, si concorda
di inviare all'aeroporto di Bengasi due C130 dell'Aeronautica
Militare.
Poco prima che gli aerei decollino, l'agente libico riceve una
telefonata da Bengasi, dalla quale apprende che gli insorti hanno
reso inservibile l'aeroporto. Niente di irreversibile, sia ben
chiaro, ma le piste sono state disseminate di cumuli di sacchi di
sabbia per impedire all'aviazione militare di Gheddafi di atterrare
nel capoluogo della Cirenaica.
L'operazione si ferma.
La situazione tuttavia sembra precipitare e l'azienda chiede di
trovare vie alternative per riportare a casa i propri
dipendenti.
Gli incaricati prendono contatto con Bengasi e si concorda che i
150 dipendenti della ditta si portino a Misurata, città epica per
la storia coloniale italiana, che si trova a 350 km da Bengasi e a
150 da Tripoli.
Lì c'è un aeroporto militare che, secondo le osservazioni, risulta
perfettamente in grado di ricevere i nostri C130.
Partono tre pullman da Bengasi, scortati da milizie private di
sicurezza, direzione Misurata.
Nuova allerta per la nostra Aeronautica, che attende
l'autorizzazione al decollo per Misurata, non appena i nostri
avranno raggiunto quell'aeroporto.
Ma le notizie che arrivano, grazie a una telefonata triangolata da
Tripoli, dicono che i rifugiati sono stati accolti dai ribelli, che
occupavano l'aeroporto.
«Non ci hanno uccisi immediatamente - riferisce con freddezza la
persona al telefono - perché… siamo fortunati. Così ci
hanno detto. Ci hanno consigliato di non forzare la buona sorte e
di andarcene via. Cosa dobbiamo fare?»
La pista dell'aeroporto militare è agibile, ma se è controllato da
forze ostili antigovernative, l'operazione è a rischio.
Irrealizzabile.
Ed è troppo pericoloso rimandare a Bangasi i nostri connazionali,
per cui in qualche modo si decide di tenerli in città a Misurata in
attesa di istruzioni.
Intanto l'azienda in questione e l'Unità di Crisi della Farnesina,
che non hanno smesso di cercare una via alternativa, stabiliscono
che non resta che il mare.
La Difesa può mandare sul posto due navi militari, dove già è
operativo un caccia italiano attrezzato per la guerra elettronica.
La Marina libica, a parte le due navi che si sono ammutinate e
portate a Malta, è con Gheddafi, quindi è plausibile che le nostre
navi vengano autorizzate, se non addirittura scortate, fino a
conclusione dell'imbarco.
A quel punto, altri 100 Italiani che lavoravano in altre aziende in
Cirenaica hanno deciso di seguire la stessa strada e raggiungono
gli altri 150 a Misurata. Non sarà uno scherzo l'evacuazione.
Si aprono alcune ipotesi, tra le quali un ponte aereo con
elicotteri dalle navi. Che però risulta impraticabile, per due
ordini di problemi.
Il primo è che ci vorrebbero elicotteri di grande capacità, che
solo le nostre due portaerei Garibaldi e Cavour (tranquillamente
ormeggiate nei nostri porti militari) potrebbero mettere in
campo.
Il secondo è che l'operazione richiederebbe comunque più di una
giornata di lavoro. Una portaelicotteri con la scorta navale del
caso e alcuni chinhook al lavoro non passerebbero inosservati. E
sarebbe impensabile attivare azioni di difesa attiva o passiva in
uno stato estero sovrano.
Non resta che l'attracco delle nostre navi da guerra al porto di
Misurata.
Ma sarà agibile il porto di quella città?
Al momento la nostra storia si ferma qui, mentre sono in corso
sopralluoghi da parte degli incursori di marina per verificare lo
stato del porto e autorizzare di conseguenza l'operazione.
Speriamo di mettere la parola Fine al più presto.