Cassazione: Bufale, chi le scrive rischia il licenziamento

«La notizia inventata di sana pianta dal giornalista fa venire meno il rapporto di fiducia con il datore di lavoro che, pertanto, può procedere al licenziamento»

Occhio a inventare notizie e a pubblicarle su internet o su un giornale di carta stampata: con la bufala scatta il licenziamento perché fa venire meno la fiducia del datore di lavoro nei confronti del dipendente.
Quest’ultimo è infatti responsabile per non aver accertato la verità dei fatti o, addirittura, per aver creato «ad arte» la notizia al solo scopo di fare più click.
È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza che interesserà, oggi più che mai, i copywriter, i giornalisti e chiunque, grazie alla pubblicazione di articoli su siti web, riesce a racimolare uno stipendio.
Il lavoro di chi scrive notizie – sia questi un giornalista iscritto all’albo oppure un qualunque autore di testi, specializzato nel settore – è un’attività a rilevanza sociale che richiede sempre la pratica di un costante scrupolo professionale. Inventare una bufala solo per ottenere qualche visita in più e attirare l’attenzione dei lettori è un comportamento deprecabile che viola quel necessario vincolo fiduciario con l’editore.
 
È vero: il licenziamento – secondo il costante insegnamento della giurisprudenza – non può che essere l’ultima spiaggia, l’estremo rimedio contro chi commette un’azione talmente grave da non consentire più la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Ma è proprio qui che sta il punto: screditare l’immagine di un intero giornale o sito internet per la stravagante mania di creare una notizia non vera è un comportamento irresponsabile che mina le basi del rapporto di lavoro.
Se poi si tratta di un giornalista, il suo comportamento è ancora più grave, essendo questi tenuto al rispetto del codice deontologico e avendo comunque, come dovere principale, la verifica delle verità.
 
E che succede se la bufala è involontaria?
Se l’autore della notizia si è limitato a riportare il testo letto su un altro giornale, senza verificare la fondatezza della fonte?
Il comportamento non è meno grave e consente anche in questa ipotesi il licenziamento. In poche parole per la Cassazione anche una condotta in buona fede, ma negligente, se può essere considerata grave è idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
Nel caso di specie, un professionista era incorso in una pluralità di condotte improntate a grave negligenza, trascurando di compiere le pur indispensabili verifiche necessarie a fornire riscontro alla notizia e così violando uno dei doveri fondamentali cui il giornalista è tenuto nell’esercizio della sua attività.