«Stefano Cagol - works 1995|2015» – Di Daniela Larentis
In mostra alla Civica di Trento, Curata da Margherita de Pilati e Denis Isaia, percorre le principali tappe della carriera dell’artista trentino
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STEFANO CAGOL - WORKS 1995|2015 è il titolo dell’ultima mostra curata da Margherita de Pilati e Denis Isaia, dedicata al noto artista trentino. Appena inaugurata, resterà aperta al pubblico fino al 12 giugno 2016.
In un allestimento cronologico, negli spazi della Galleria Civica di Via Belenzani a Trento, sono illustrate le tappe della carriera di Stefano Cagol, dalle prime sperimentazioni sul linguaggio del video, sino ai progetti più recenti come «The Body of Energy (of the mind)» prodotto dalla Fondazione tedesca RWE e presentato in un’esposizione personale a Berlino e in una decina di musei europei.
In mostra circa 40 opere, tra le quali i progetti itineranti che da anni caratterizzano la ricerca di Cagol, i progetti partecipativi, come quello realizzato all’Ilva di Taranto, e il lavoro presentato nel Padiglione Maldive durante la 55ª Biennale di Venezia: «The ice monolith».
L’artista si esprime in maniera molto efficace mediante la video arte, riuscendo a rappresentare, attraverso il proprio sguardo, un’idea del mondo diversa, più immediata rispetto a quella veicolata dai prodotti degli altri media, conducendo lo spettatore verso una conoscenza più vera e diretta delle cose e facendolo riflettere su importanti temi sociali: l’obiettivo della video arte è infatti, innanzitutto, l’esigenza di conoscere la realtà nella sua immediatezza, andando oltre le regole espressive degli altri grandi media audiovisivi (come sostiene Youngblood la video arte aspira a creare lavori che sperimentano e spostano il confine della nostra conoscenza).
The End of the Border, Stefano Cagol @ Bokfjorden, backstage from icebreaker.
Due parole sul ventennale percorso artistico di Stefano Cagol, il quale si è formato all’Accademia di Brera e alla Ryerson University di Toronto.
Tra il 1995 e il 2015 ha partecipato a numerose residenze d’artista e ricevuto borse di studio fra le quali: International Center of Photography a New York; International Studio and Curatorial Program ISCP a New York; BAR International a Kirkenes, nell’Artico.
Ha esposto in Italia e all’estero, ha partecipato a Manifesta7 nel 2008, alla 54ª Biennale di Venezia con un evento collaterale e alla 55ª Biennale di Venezia nel 2013 invitato dal Padiglione Maldive.
Nel 2009 ha vinto il Premio Terna per l’Arte contemporanea e nel 2014 il premio Visit della fondazione tedesca RWE.
Nel 2015 il progetto «The Body of Energy (of the mind)» è stato presentato al Maxxi di Roma, al Madre di Napoli, al Maga di Gallarate, a Museion di Bolzano, alla Kunsthalle di San Gallo, allo ZKM di Karlsruhe e al Museum Folkwang di Essen.
Robol, De Pilati, Cagol e Isaia.
All’ingresso della mostra su un display a luci LED scorrono alcuni eventi avvenuti durante quella che l’artista definisce «la madre di tutte le date»: l’11 settembre, che nell’immaginario collettivo mondiale si collega tristemente all’attentato alle Torri Gemelle del 2001, un giorno in cui, in anni ovviamente differenti, avvenne il golpe che portò al potere Pinochet, e in cui Henry Hudson scoprì l’isola di Manhattan; l’11 settembre è anche il compleanno dell’artista: in quel giorno del 1969 nacque Stefano Cagol, il quale, attraverso questa data divenuta un simbolo universalmente riconosciuto, si mette in relazione con gli avvenimenti del passato.
Compiendo a ritroso il percorso espositivo, osserviamo i lavori degli esordi, indugiando in particolar modo innanzi all’opera video intitolata «Stars & Stripes».
La bandiera americana, che alla fine del XVIII secolo era simbolo di indipendenza e libertà, negli ultimi cinquant’anni è stata associata anche ad aggressività e crisi dei valori, come ha sottolineato all’inaugurazione della mostra, riferendosi a quest’opera, Margherita de Pilati, curatrice dell’evento assieme a Denis Isaia.
Nel 1999, durante una delle sue prime permanenze a New York, Cagol realizza un video che riprende la bandiera a stelle e strisce mossa dal vento.
Dopo tre anni, grazie all’accesso a nuove tecnologie che consentono all’artista di compiere nuovi tipi di montaggio, dà vita a «Star & Stripes», un video in cui, distorcendo e raddoppiando l’immagine iniziale, crea un oggetto fluttuante, indipendente, che non è più una bandiera.
Agitata dal vento e riflessa grazie all’utilizzo di uno specchio posto al centro, assume forme iconiche sempre differenti che evocano significati diversi e spesso opposti fra loro: un caccia, una farfalla, le ali di un’aquila, un essere mostruoso.
Stars & Stripes - Redouble, 2013.
Ma sono «Tokyospace & Harajuku Influences series» le opere che più di tutte attirano la nostra attenzione: a partire dai primi anni 2000 Cagol si interessa alla percezione dello spazio, sia fittizio che concreto, e all’interazione tra lo spazio individuale e lo spazio condiviso, in particolar modo nelle grandi metropoli.
Un po’ prima della metà del primo decennio degli anni Duemila, si trasferisce per alcuni anni in più riprese nella capitale giapponese, ove, attraverso una full-immersion, produce quasi un video al giorno, dando vita alla serie Tokyospace (2004) e Harajuku Influences (2006). In quest’ultima serie (Harajuku è il nome del quartiere creativo del centro cittadino dove l’artista abitava), il termine «influenze», che da questo momento sarà ricorrente nei lavori di Cagol, indica il percorso compiuto dall’artista alla ricerca dei passati legami con la cultura giapponese.
Denis Isaia, nel suo intervento in catalogo (una splendida ed esaustiva pubblicazione che accompagna l’evento) scrive: «Stefano Cagol coincide con la sua opera.
«I suoi lavori sono sempre il frutto di una pratica vissuta in prima persona e si nutrono senza filtri dell’esperienza che l’artista fa del mondo.
«Fra il 2000 e il 2007 Cagol inizia una serie di viaggi che lo portano sulle rotte delle grandi città: New York, Miami, Berlino e soprattutto Tokyo.
«Come sottolinea Giovanna Nicoletti è trattando allo stesso modo la natura e la dimensione urbana che Cagol apre la sua ricerca ad una lettura paesaggistica. Inviato speciale da un pianeta sconosciuto l’artista fa ruotare i palazzi, li fonde nel traffico, ne accelera la vista.
«La figura umana sparisce, viene qualche volta evocata come ombra, sfumatura luminosa o liquido primordiale, in The Flu ID (2006), ma il motore è il paesaggio in movimento, fabbrica di velocità e luci: The Fate of Energy (2002), Digital Wind (2002), Meet to the Center (dal 2004), Harajuku Influences (2006).
«Se la città si riconosce nelle icone che ritmano il paesaggio, il paesaggio naturale è colto quando viene mosso da un fulmine o dalle pale dei mulini a vento.
«A Berlino o a New York Cagol riprende i simboli identificativi: la torre della radio, il London Eye, l’Empire State Building. Li omaggia sdoppiandoli, piegandoli, facendoli ruotare su se stessi, sino a diventare una proiezione poetica governata da un paradossale quanto affascinante strabismo prospettico. Cagol è alla ricerca di un rapporto con la geologia urbana. Il paesaggio non è il frutto di una contemplazione statica, esso è il prodotto della sublimazione di un’esperienza […]».
Tridentum (Parallel Convergences) - 2011 - Installazione.
Il titolo dell’opera video «The End of the Border (of the mind)», «La fine del confine (della mente)», è particolarmente evocativo. L’artista, invitato alla Triennale d’Arte di Barents per dare vita a un progetto che si rapportasse allo spazio pubblico come «playgroung», ossia come parco giochi e campo d’azione, concretizza la sua idea compiendo un viaggio di 10.000 chilometri, a bordo di un furgone su cui carica un generatore e un potente faro, in grado di proiettare un fascio di luce lungo fino a 15 chilometri, interessando una vastissima area.
La prima tappa, partendo dalle Alpi italiane, la diga del Vajont, ricordando, dopo 50 anni, il disastro che provocò la morte di quasi 2000 persone, nel tentativo, simboleggiato da quel potente fascio di luce, di andare oltre lo sbarramento, oltre i limiti imposti dagli eventi.
Oslo la tappa intermedia, una città dove appare evidente il labile confine fra paesaggio antropico e naturale; infine, una volta attraversato il Circolo Polare Artico, la destinazione finale del lungo raggio luminoso: un luogo di confine tra la Norvegia e la Russia, Kirkenes, sul mare di Barents.
Daniela Larentis – [email protected]
Incontro al centro, 2005 - Stampa lambda, silicone, perspex su dibond - Collezione M.