Quando la disobbedienza diventa virtù – Di Daniela Larentis
C’è chi abbracciò la povertà abbandonando gli agi, come Chiara di Assisi
Nel libro «Chiara di Assisi – Elogio della disobbedienza» edito da Rizzoli, Dacia Maraini, celebre scrittrice, poetessa e saggista italiana (oltre che drammaturga e sceneggiatrice), descrive in modo insolito e provocatorio la figura di Chiara di Assisi, la santa che prima di diventare tale fu una donna che abbandonò una vita comoda e la possibilità di un matrimonio agiato, vivendo un’esistenza solitaria e abbracciando la povertà (come fece San Francesco: lei aveva solo dodici anni quando lo vide spogliarsi davanti al vescovo dei suoi abiti, rinunciando alle ricchezze per consacrare la sua vita ai poveri e alla Chiesa).
Definendo il suo carattere ecco cosa scrive l’autrice a pag. 79 del libro:
«Prima di tutto il buon esempio. Chi guida deve comportarsi meglio degli altri, altrimenti perde ogni autorevolezza e Chiara era molto autorevole.
«E quando l’autorevolezza sembrava svanire nelle ire di qualche carattere debole, Chiara non si vergognava di supplicare. Le lacrime, l’inginocchiarsi davanti alla disubbidiente non potevano che suscitare sorpresa, vergogna, voglia di emulazione.
«Lei non comandava. Supplicava. E otteneva quello che voleva. Ovvero la pace della comunità, il silenzio, il lavoro comune, la preghiera, i sacrifici, il controllo di sé, la pacifica convivenza.
«Le sorelle sapevano che non chiedeva mai niente per sé, per la sua pace, la sua comodità, la sua soddisfazione, ma per la tranquillità, l’armonia e il benessere della comunità e questo la rendeva irresistibile.»
Commentando queste parole, sorge spontaneo trovarsi d’accordo nel dire che chi guida gli altri deve più di tutti dare il buon esempio.
È il buonsenso che lo suggerisce a ognuno di noi.
Lei viveva nella povertà più assoluta, la amava, la praticava.
Ma cosa significava per Chiara «amare la povertà»? Che significato assumeva per lei questa parola?
A pag. 84 l’autrice ce lo spiega con queste parole:
«Ma povertà non è solo una bella parola, una idea astratta e attraente; povertà significa mancanza di ogni comodità, mancanza di cibo, mancanza di pulizia, di vestiti caldi, di un cuscino per la testa, di una sedia per non stare in piedi, di una medicina quando si è malati, di una coperta calda, di un paio di scarpe.
«Si può amare tutto questo? La risposta di Chiara è sì.
«È la scelta che rende preziosa la povertà. E vale solo perché voluta e non imposta. Una povertà prescritta può essere terribile e detestabile.
Ma la povertà stabilita con un atto di impegno può dare una grande autonomia. Non dipende da nessuno, nemmeno dal proprio corpo, è un atto di libertà.»
In un’epoca in cui le donne appartenenti a famiglie ricche erano date in spose giovanissime a mariti che divenivano non solo «maestri», ma «padroni» della vita della propria moglie, l’idea della libertà doveva assumere un significato ben diverso da quello a cui siamo abituati noi occidentali ora, nella nostra società moderna.
Lasciando da parte Chiara, per quanto riguarda invece il concetto di fedeltà riferito a quell’epoca, ecco cosa è riportato a tale proposito a pag. 93 del libro:
«La fedeltà è incoraggiata dalla Chiesa anche per l’uomo, ma la sua è una scelta liberamente decisa e segno di virtù, mentre quella della donna è obbligante e necessaria. Pena l’ostracismo, le punizioni anche corporali e spesso perfino la morte».
Come dire «due pesi e due misure».
Non si capisce naturalmente come la fedeltà intesa come valore possa quindi essere stata considerata un optional se riferita agli uomini e assolutamente elemento irrinunciabile se riferita invece alle donne (meglio, lo si capisce, ma è ovvio che come donne non si possa che inorridire).
O lo si considera valore per entrambi oppure no. Così dovrebbe essere, almeno, a rigor di logica.
Sarebbe come dire, tanto per fare un esempio forse poco «felice», che «rubare» è un reato se chi ruba ha i capelli neri e non lo è se chi ruba ha i capelli biondi.
O rubare è un reato o non lo è, a prescindere dal colore dei capelli di chi ruba.
Tornando alla fondatrice delle Monache Clarisse, c’è da sottolineare che Chiara fu una donna davvero eccezionale.
Ci ha trasmesso un esempio di coerenza, di nobiltà d’animo, di grande umanità, di intraprendenza, di spirito di sacrificio e di coraggio.
Un modello per tutti a cui potersi ispirare (anche se non occorre aderirvi in maniera così esasperata), in un mondo che spesso inganna, allontanandoci da una vita autentica.
Daniela Larentis
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L'immagine sotto il titolo riporta un dipinto di Giuseppe Cesari (Santa Chiara con la scena dell'assedio di Assisi), olio su tela conservato all'Hermitage a S. Pietroburgo.