La nostra terra ci protegge e ci acclama – Di Daniela Larentis

Nessuna persona può appartenerci, ma noi apparteniamo a certi luoghi

In Vietnam vi è una famosissima baia formata da migliaia di isolotti calcarei che emergono improvvisamente dal mare, la celeberrima Baia di Halong.
Un’antichissima leggenda narra che si sia formata dopo l’inabissamento di un drago; in effetti, i numerosi scogli ricoperti qua e là da rigogliosa vegetazione ricordano proprio le squame lucenti della lunga appendice dell’enorme mostro.
 
Basta guardarsi attorno per accorgersi che questo non è un luogo come tutti gli altri.
Le grotte, scavate dal mare e gremite di stalattiti e stalagmiti, dove il sibilo del vento si insinua creando suggestive melodie naturali, attraggono e custodiscono i sogni e i desideri dei turisti, i quali si spingono fin qui solo per vivere la particolare atmosfera magica, che tutto ammanta e seduce, di questo arcaico luogo surreale. Perfino l’aria è ammorbata da un sottile strato di stregoneria.
Nessuno può sfuggire al suo incanto.
 

  
Così come nessuno può non venir sedotto dal fascino selvaggio delle frastagliate coste irlandesi o da quello delle aspre e poetiche Highlands scozzesi, con le sue numerosissime e suggestive isole (fra cui la splendida isola di Sky, chiamata Isola delle Nuvole dai Vichinghi e Isola Alata dai Celti), o dal richiamo dell’incontaminata Islanda con i suoi geysir, i suoi crateri e le sue caldere che caratterizzano il paesaggio, straordinariamente fantastico, rendendo quasi accettabile l’idea che questo prodigioso luogo possa davvero ospitare la dimora di qualche strega.
Certi luoghi ci affascinano così tanto che sembrano appartenerci.
Ma i luoghi possono appartenere a qualcuno? O è più corretto dire che sono le persone ad appartenere ai luoghi?
 
Io, per esempio, potrei appartenere a un’isola meravigliosa a nord della Francia, quale la straordinaria Ile de Brèhat, in Bretagna.
Quando la visitai, alcuni anni fa, ebbi la strana e fugace impressione di conoscerla e appena vi misi piede avvertii una familiare e assurda sensazione, come di esserci già stata, un autentico dejà-vu.Nessuna persona può appartenerci, ma noi apparteniamo a certi luoghi.
Anche se mi considero cosmopolita, in realtà io sento di appartenere alla mia valle, quella stretta lingua di terra che è la Valle dell’Adige.
Quando, provenendo da Verona, entro in Trentino mi sento a casa. E non mi riferisco a un luogo fisico, al rifugio di mattoni che noi tutti abitiamo.
Mi riferisco alla terra. A quella terra circondata dalle montagne che mi accoglie come una madre ogni volta, avvolgendomi nel suo caldo e confortevole abbraccio.
 


E poi, dopo aver superato Rovereto, appena scorgo Castel Beseno dominare l’intera vallata sopra il paese di Besenello, magnifico e ammantato di luce come una grande astronave in procinto di salpare verso la profondità dell’universo, io provo una gioia infinita e mi sento avviluppata da un’emozione così grande da non poter certo essere qui descritta a parole.
Certe sensazioni non si possono narrare, occorre viverle per comprenderle.
La nostra terra, la madre terra, ci protegge e ci acclama.
E guardando i bei monti di Trento (osservando i quali Alfonso Gatto rammentò con nostalgia la bellezza di quelli che sovrastano la sua Salerno, ricordando con grande dolcezza sua madre), il poeta citato scrisse una delle sue più belle poesie che qui riporto. 
 
 AI MONTI DI TRENTO 
Alfonso Gatto, «Arie e ricordi», 1940-1941
 
Bei monti della sera
azzurra è già l'Italia.
 
Penso a mia madre sola con la luna
nella notte d'ottobre, ancora estiva
la brezza muove i suoi capelli, imbruna
sulle case d'intorno.
 
Così la chiara spera
dei monti a lungo ammalia
nei pascoli la sera.
Odora già l'Italia
di polvere e di rose.
 
Era la luna ancora effusa al giorno,
mia madre a lungo sul mio capo pose
le mani e disse: « vedi, a noi d'intorno
il tempo s'è fermato... ».
 
Bei monti della sera
azzurro è il mio passato.
 
La mattina, mentre faccio colazione, ho il grande privilegio di poter osservare il Monte Bondone e precisamente la sommità del Palon che si affaccia sulla valle dell’Adige e domina la città di Trento. Lo vediamo nella foto sotto il titolo.
Non è mai uguale al giorno prima, muta con il variare delle stagioni, cambia a seconda del tempo, della luce, e di sera lo vedo sparire, inghiottito dal buio della notte.  
Ma io so che c’è e questo mi basta.
Ed è bello sapere che esiste; sentinella attenta punta il suo sguardo verso la valle, mentre noi uomini, incuranti, viviamo quotidianamente la nostra scelleratezza.
 
Daniela Larentis