Roberto Codroico, ritorno all’essenzialità – Di Daniela Larentis

Dopo la prestigiosa esposizione dello scorso anno a Palazzo Trentini, l’artista sta lavorando a opere di grandi dimensioni e ai suoi «Teatrini» cangianti – L’intervista

Roberto Codroico.
 
L’estro creativo dell’arch. Roberto Codroico, noto protagonista del panorama artistico trentino contemporaneo, non si è fermato certo con la pandemia; sta lavorando infatti da molti mesi alla realizzazione di opere di grandi dimensioni, ma si sta anche dedicando alla creazione di nuovi esemplari dei suoi noti Teatrini, sempre più animati e cangianti.
L’artista conta al suo attivo importanti esposizioni sia in Italia che all’estero; quella allestita negli spazi di Palazzo Roccabruna, nel cuore della città di Trento, a testimonianza del suo lungo percorso artistico, è del 2018.
L’ultima grande mostra a Palazzo Trentini, sede della presidenza del Consiglio Provinciale, risale all’estate scorsa: «Codroico-Scherer, astrazione e realtà» del 2020, dedicata a lui e al famoso artista altoatesino Robert Scherer, al quale è legato da una lunga amicizia.

Organizzata da Lucia Zanetti Vinante, è stata pensata, come lei stessa ci racconta, come un confronto fra «l’astrazione e la realtà», un’indagine nell’ambito dell’arte contemporanea attraverso due artisti che, se pur diversissimi, «entrano in dialogo ripercorrendo la strada intrapresa agli inizi dello scorso secolo da Wassily Kandinsky, con la |Teoria dei colori e il primo quadro astratto del 1911, nonché dalla sua compagna Gabriele Münter, rimasta invece fedele, per tutta la vita, al figurativo».
La prestigiosa esposizione, accompagnata da un prezioso catalogo, ha peraltro messo in luce lo stretto legame fra la comunità trentina e altoatesina, del resto la nostra città è sempre stata un punto di incontro tra culture e popoli diversi; lo stesso Codroico, perfettamente bilingue, testimonia attraverso la sua arte il ponte esistente tra la cultura tedesca e italiana.
 

Roberto Codroico, Quando volano gli aquiloni, 2011, ©.
 
L’arch. Roberto Codroico ha maturato una lunga esperienza nell’ambito del restauro e della valorizzazione del patrimonio, ha operato in questo campo per molti anni svolgendo l’attività di funzionario ai Beni Culturali, fra i suoi importanti interventi su noti edifici storici ricordiamo a Trento il Castello del Buonconsiglio e il Palazzo delle Albere, le chiese di Santa Maria Maggiore, della Santissima Trinità e un lungo intervento di restauro lapideo del Duomo, nonché la Rocca di Riva del Garda, il Castello di Fornace, Castel Romano nelle Giudicarie, per citarne alcuni a titolo esemplificativo.
Nato in Germania, vissuto per molti anni in Veneto (trascorre l’adolescenza a Padova e si laurea in Architettura a Venezia), di adozione trentina, per lungo tempo è stato infatti responsabile della tutela e restauro dei principali monumenti e centri storici del Trentino.
È stato fra l’altro membro delle Commissioni Comprensoriali per la Tutela del Paesaggio in rappresentanza del Servizio Beni Culturali; della Commissione Provinciale per la tutela del Paesaggio; della Commissione Edilizia del Comune di Trento; della Commissione Beni Culturali; del Comitato Tecnico del Castello del Buonconsiglio.
Docente universitario, studioso e storico dell’arte, è autore di diversi saggi sull’argomento, conta al suo attivo un centinaio di pubblicazioni.
 
La produzione artistica di Codroico è molto vasta e muta nel tempo; la sua è una pittura solo in una prima fase figurativa; attorno agli anni Sessanta ritrae teste e nudi femminili, alternandoli a crocefissioni, nature morte, qualche paesaggio, passando a lavori dalle forme astratte, curvilinee e molto colorate.
Il segno da chiuso diventa via via sempre più astratto, una trasformazione che avviene anche grazie all’incontro e alle frequentazioni con importanti personaggi del Novecento, come Hans Richter, che considera il suo Maestro, uno dei fondatori del movimento Dada, come determinanti sono per lui i contatti con Vlado Kristi, Kurt Kren, Otto Muehl, per citarne alcuni.
Egli si reca da Richter verso la fine degli anni Sessanta per sottoporgli alcune domande inerenti a uno studio sulla «quarta dimensione della pittura» che sta conducendo, raggiungendolo a Locarno, in Svizzera, un incontro al quale ne seguiranno molti altri e che influenzerà la sua arte.
Il minimalismo delle opere di Roberto Codroico, caratterizzate dalla costante presenza di linee pure, esprime la necessità di un ritorno all’essenzialità.
 

Roberto Codroico, Confidenze, acrilico, 2016 ©.
 
Attualmente si sta dedicando alla realizzazione di opere di grandi dimensioni, sta costruendo anche dei nuovi Teatrini che vanno ad aggiungersi ai moltissimi realizzati nel corso di questi lunghi anni di attività.
I Teatrini, definiti anche scatole o box, sono stati creati dall’artista a partire dal 1970 sotto gli influssi degli Azionisti Viennesi e, come sottolinea lo stesso Codroico, seguendo i suggerimenti di Hans Richter ed il contrappunto di Ferruccio Busoni.
 
Essi possono essere concepiti come uno spazio architettonico dove può accadere qualsiasi cosa nell’interazione con l’osservatore che li maneggia, rinviano non solo ai ricordi dell’artista ma a una visione del mondo da molti condivisa; possono essere pensati anche come scrigni dentro cui ognuno di noi può ritrovare qualcosa di sé stesso, qualcosa che credeva perduto, un luogo che potremmo definire magico dove poter rivivere antiche e nuove suggestioni.
Il video che vi proponiamo ne mostra alcune, il progetto è di Roberto Codroico, con la partecipazione di Claudio Sandri, Roberto Sandri e Lucia Zanetti Vinante (e la gentile presenza di Valentina).
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo in merito al lavoro che sta conducendo.
 

Cliccando l'immagine si avvia il filmato.
 
Le sue famose «scatole», i Teatrini, sono pezzi unici i in movimento, afferenti a periodi diversi. Può raccontarci qualcosa al riguardo?
«Iniziai nel 1970 a realizzare le prime scatole, box o Teatrini, come sono state definite in più occasioni. La produzione si fermò nel 1974, per poi riprendere nel 2005.
«Premetto che sono degli oggetti che si animano tenendoli tra le mani, hanno bisogno di essere aperti per essere mostrati e poi richiusi, nello spazio possono assumere infinite posizioni.
«Nello stesso movimento di apertura e di chiusura cambiano continuamente. Sul finire degli anni Sessanta, io ero studente di Architettura all’università di Venezia, ebbi modo di frequentare un corso di cinema underground, realizzato dalla Biennale di Venezia.
«Nell’occasione vennero mostrati diversi film, partendo da quelli di Hans Richter, maestro indiscusso del cinema astratto, che io avevo peraltro pochi mesi prima conosciuto in Svizzera. All’epoca ero particolarmente affascinato dagli artisti della cosiddetta Scuola degli Azionisti Viennesi.
«Non avendo a diposizione corpi da dipingere né ampi spazi da utilizzare, iniziai a crearmi delle piccole scatole, in un primo momento di cartone, dentro cui inserivo degli oggetti sopra i quali poi facevo gocciolare il colore, documentando questa azione attraverso la fotografia.
«Successivamente, pensai che avrei potuto incollare gli oggetti dentro le scatole, in modo che diventassero esse stesse degli oggetti non solo da fotografare.
«Nel 1971, arrivò a Venezia per tenere una conferenza lo scultore anglo-nipponico Noguchi, con il quale ebbi occasione di intrattenere un breve colloquio; mi fece da interprete il prof. Mazzariol, che aveva fondato da poco l’università internazionale dell’Arte che io frequentavo.
«Consegnai a Noguchi una delle mie scatole, gli piacque e mi consigliò, come del resto fece anche Mazzariol, di realizzarle in legno e non in cartone. Una volta salito in motoscafo salutò con il braccio, allontanandosi con la mia scatola. Decisi di seguire quel consiglio, con la mia prima borsa di studio comprai infatti un Black&Decker e iniziai a realizzarle in legno.»
 

Roberto Codroico, Teatrino, 2006 - Iinterno © Roberto Codroico, Teatrino, 2006, esterno ©.
 
Può condividere un ricordo relativo alle sue visite a Hans Richter?
«Nel corso di una di quelle visite a Locarno, era il 1970, Richter mi mostrò uno spezzone del film che il cineasta Papadopulus gli aveva dedicato. Era una sinfonia ritmata, creata dall’alternarsi e sovrapporsi d’immagini girate nel suo studio e alcuni spezzoni tratti dai film astratti degli inizi degli anni Venti e dei suoi quadri.
«Naturalmente, ne restai molto colpito. Un’esperienza, il legame con Richter, che mi portò all’astratto; su Richter scrissi anche un articolo pubblicato sulla rivista Cinema Nuovo diretta da Guido Aristarco, dal titolo Ribellione antinazifascista nell’avanguardia di Richter, accompagnato dall’immagine di una delle mie distorsioni fotografiche.»
 
Che tipo di sperimentazioni erano le sue di quegli anni?
«Le mie sperimentazioni di quel periodo erano influenzate dalle opere di Kurt Kren, Otto Muehl, Vado Kristl e dagli artisti della già citata Scuola degli Azionisti Viennesi, aggregati attorno alla P.A.P. Filmgalerie di Monaco, con cui venni a contatto a Venezia in occasione di un seminario tenuto da Gianni Rondolino nell’ambito della Biennale di Venezia. Con alcuni degli Azionisti Viennesi intrattenni una corrispondenza, mi mandarono i loro cataloghi, fra questi Hermann Nitsch, oggi il più noto. Scrissi anche un articolo dal titolo Un giorno della primavera del 1961, pubblicato sulla rivista Cinema Nuovo sotto forma di lettera al direttore.»
 

Roberto Codroico, Teatrino, Il vestito rosso, 2011, esterno © - Teatrino, Il vestito rosso, interno ©.
 
Fra i suoi importanti interventi di restauro un lungo intervento lapideo del Duomo, le facciate del Castello del Buonconsiglio e Palazzo delle Albere, solo per citarne alcuni. Le è capitato di trasferire nella sua arte qualche suggestione derivante dall’esperienza maturata in questo ambito?
«Per quanto riguarda il restauro delle facciate del Castello del Buonconsiglio, ho cercato di raccontare, incidendo sulla malta, la storia dell’edificio in parallelo con quella della città e del territorio.
«Il Palazzo delle Albere è un edificio cinquecentesco straordinario, senza dubbio uno dei palazzi più importanti del Trentino, però anche il più maltrattato, nel senso che in passato, detto in estrema sintesi, esaurita la dinastia Madruzzo e passato alla mensa vescovile, fu devastato da un incendio, nel tempo fu oggetto di diverse soluzioni, divenne convento delle suore, fu adibito a scuola, divenne seminario, fino a diventare casa del contadino, conobbe quindi un lungo periodo di decadenza prima di venir acquisito dalla Provincia, subendo poi diversi interventi di restauro.
«Rispondendo alla sua domanda, mi è capitato di rendermi conto, a posteriori, che le forme di alcune mie opere ricordano in effetti quelle di due delle foglie, complessivamente sono una quarantina, alla base delle colonne del Duomo.
«Senza saperlo, alcune forme dei miei quadri richiamano quelle foglie, ho citato questo esempio per dirle che in tutti i miei lavori si possono trovare tracce della mia esperienza, del mio vissuto.
«Come ho detto in altre occasioni, il mio lavoro ha la ritmicità e la costanza di un diario che compilo in un colloquio solitario, senza perdere di vista il mondo che mi circonda.»
 

Roberto Codroico, Teatrino, 2020 © - Roberto Codroico, Teatrino, 2020, interno ©.
 
C’è un’opera, fra quelle esposte lo scorso anno a Palazzo Trentini, che preferisce più delle altre e che vorrebbe commentare?
«Alla mostra, allestita lo scorso anno a Palazzo Trentini, programmata per il 12 marzo, ma poi spostata a causa del Coronavirus, ho esposto opere degli ultimi dieci anni. Opere in buona percentuale inedite. La scelta, come spesso avviene, è stata condizionata dallo spazio espositivo, dalla grandezza delle opere e da una loro armonica convivenza se esposte una accanto all'altra.
«Non posso dire di avere una particolare preferenza per una di queste opere. Di solito è l'ultimo lavoro che costituisce una maggiore presenza, se non nel cuore, nella mente dell'artista, poiché ha in sé le esperienze del passato ed è già proiettata verso il futuro. Considerato che la mostra era un confronto tra due artisti, amici, il dipinto Confidenze del 2016 rappresenta più delle altre questo dialogo degli opposti linguaggi astrazione e realtà. Se altri vedono qualche cosa di diverso va bene lo stesso…»
 
Da artista come sta vivendo la Pandemia?
«Ho avuto la fortuna di poter continuare a lavorare, lavoro moltissimo. Scrivo anche qualche articolo, l’ultimo dei quali, da poco ultimato, per una rivista che si occupa di linguaggi, ho illustrato la nascita del movimento Dada, a Zurigo, Richter è uno dei fondatori. Sto poi continuando fra l’altro la mia ricerca storica sulla famiglia Lodron e poi dipingo molto.»
 
A quali opere si sta dedicando in particolare?
«Mi sto concentrando principalmente sulla realizzazione di opere di grandi dimensioni, ma trovo il tempo per realizzare anche qualche Teatrino.»

Daniela Larentis – [email protected]

Prima pagina articolo firmato da Roberto Codroico pubblicato  su Cinema Nuovo.