Storie di donne, letteratura di genere/ 70 – Di Luciana Grillo
Anne Tyler, «Una spola di filo blu» – «Esiste un colore che si chiama blu mediterraneo? Esiste, esiste, ed è bello perché è insieme passato e futuro»
Titolo: Una spola di filo blu
Autrice: Tyler Anne
Editore: Guanda 2015 (Collana Narratori della Fenice)
Pagine: 391, brossura
Traduttrice: Laura Pignatti
Prezzo di copertina: € 18,50
Anne Tyler è una scrittrice americana molto prolifica, vincitrice del Premio Pulitzer nel 1988.
I suoi romanzi presentano famiglie americane che vivono, crescono, si modificano, si evolvono, in un clima di assoluta quotidianità, se vogliamo un po’ provinciale.
I fatti raccontati si svolgono nei dintorni di Baltimora; la famiglia al centro del romanzo è quella dei Whitshank e la protagonista intorno alla quale ruotano amori amicizie litigi fughe e dolori è Abby, che fa da trait d’union fra la generazione dei suoi genitori e suoceri e quelle dei suoi figli e nipoti.
Il desiderio più vivo di Abby è dimostrare il valore della famiglia unita – nella buona e nella cattiva sorte – che si ritrova al mare o nella casa di famiglia intorno alla tavola imbandita.
Perciò raccoglie attorno a sé anche ospiti (i figli li chiamano i derelitti) che, pranzando con tutta la grande famiglia, ne apprezzano l’affettuosa convivialità e l’orgoglioso senso di appartenenza.
È un po’ come se Abby volesse sempre dimostrare a se stessa e agli altri di essere stata capace di creare una bella famiglia, realizzando una sorta di quadro affascinante, anche se non mancavano fra i vari componenti malumori e rivalità.
L’abilità della Tyler è saper caratterizzare tutto il romanzo con una patina di normalità che rende la storia di Abby, e tutte le storie collegate a questa, anche la nostra storia.
È esemplare la risposta di Abby alla figlia Amanda che – davanti ad una parete «così piena di foto di famiglia che non restava spazio tra una cornice e l’altra» – le chiede: «Come fai a vederle così?», risponde «in tono allegro: Oh, non ho bisogno di guardarle» perché, forse, li ha tutti nel cuore.
L’equilibrio della famiglia si scompone quando Abby «cominciò ad allontanarsi, in un certo senso, anche quando era presente».
Ripetendosi le assenze, due dei suoi quattro figli (ma uno in realtà non lo era) decidono di andare a vivere nella grande casa di famiglia, dove Red, il marito di Abby, ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza, e dove è poi tornato con Abby.
La Tyler non si lascia sfuggire l’occasione di andare a ritroso e raccontare la storia dei genitori di Red, del padre che aveva costruito per altri la casa con l’accogliente portico, e della madre Linnie Mae che giovanissima, per amore, aveva lasciato la sua famiglia d’origine ed aveva affrontato, con amorevole leggerezza, le difficoltà di una vita con Junie, non sempre collaborativo, giovane uomo che si era lasciato scegliere da una ragazzina innamorata e tenace.
E il blu del titolo?
Blu è la camicia, un dashiki confezionato da Abby, che Red indossa per il suo matrimonio e per il funerale della moglie (nonostante l’opposizione delle figlie); blu è la spola di filo che si srotola davanti agli occhi di Denny, il figlio problematico; blu è il dondolo nella loro casa… «…stavo pensando ad un blu medio… più scuro dell’azzurro e più chiaro del blu marina… forse si chiama blu ceruleo… o magari…blu olandese… Stavamo seduti insieme sul loro dondolo tutte le sere d’estate…, e il dondolo era di un blu bellissimo, forse blu mediterraneo. Esiste un colore che si chiama blu mediterraneo?»
Esiste, esiste, ed è bello perché è insieme passato (dolce nel ricordo) e futuro (ricco di speranza).
Luciana Grillo
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