Il 15/1 chiudono le coop sociali che gestiscono le mense di carceri

Sono a rischio 200 posti di lavoro delle 10 cooperative che con coraggio stanno gestendo le mense degli istituti di pena

«Sebbene sia difficile oggi parlare di re-inserimento sociale e lavorativo dei detenuti bisogna prendersi la responsabilità di farlo. Un detenuto che impara un mestiere in carcere, è un criminale in meno che torna a delinquere al termine della sua pena.
«Lo stesso ministero di Giustizia e il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) confermano che grazie al lavoro delle cooperative sociali il tasso di recidiva, cioè di ex detenuto che torna a delinquere, si abbatte dal 80% a meno del 10%.»
A ricordarlo è Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà – Confcooperative richiamando l'attenzione su quanto accadrà tra pochi giorni alle cooperative sociali che gestiscono le mense degli istituti penitenziari.
 
«Sono le esperienze, i fatti, a parlare sotto gli occhi di tutti. Il 15 gennaio chiuderanno le 10 cooperative sociali in Italia che, con delle sperimentazioni coraggiose, stanno gestendo da anni le mense degli istituti di pena. È così che riescono ad assumere e dare un'opportunità di re-inserimento sociale e lavorativo ai carcerati.»
«Il mese scorso – continua Guerini – sono stati proprio dei detenuti i protagonisti invisibili della cena organizzata a Roma dall'Autorità Europea Antifrode in occasione dell'evento per il Semestre Italiano di Presidenza dell'Unione Europea. Camerieri e cuochi normali e speciali allo stesso tempo, in grado di competere con i migliori ristoranti stellati e, allo stesso tempo, costruirsi un futuro diverso, migliore.»
 
«Certo, si parla di storie, che fanno molto meno rumore di un arresto eccellente, generano meno indignazione. Chiediamo alle Istituzioni – prosegue Guerini –  un’assunzione di responsabilità e distinguere le buone esperienze e prendere, con determinazione, le decisioni più adeguate. Nel corso del 2014, la nostra organizzazione ha scritto tre lettere al ministro della Giustizia per segnalare il problema, ma senza che si riuscisse ad affrontare con determinazione il caso».
«Solo qualche mese fa l'Italia per rispondere alla condanna della Corte per i diritti dell'uomo per le condizioni delle carceri – conclude Guerini – valorizzava l'esperienza dell'inserimento lavorativo, adesso invece che estendere queste esperienze al resto del Paese, le cancelliamo con un colpo d’ala, come se niente fosse. È come se dall'oggi al domani si decida di chiudere un'impresa d'eccellenza e mandare a casa oltre 200 lavoratori, detenuti che in carcere stanno cercando di ripartire, diventare pizzaioli, camerieri, cuochi.»