Storie di donne, letteratura di genere/ 261 – Di Luciana Grillo

Anne Stevenson, «Le vie delle parole» – Lettura assai gradevole, che fa pensare e talvolta sorridere. Improbo lavoro per l’ottima traduttrice

Titolo: Le vie delle parole
Autrice: Anne Stevenson
 
Traduzione: Caròa Buranello
Editore: Interno Poesia Editore 2018
 
Pagine: 128, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
 
Anne Stevenson è una poetessa molto nota e amata nei Paesi anglofoni, da noi è quasi sconosciuta.
Nacque in Inghilterra nel 1933, ma visse negli Stati Uniti, cambiando spesso città per seguire il padre negli spostamenti dovuti alla sua carriera universitaria.
La madre trasmise alle figlie l’amore per la lettura, dal momento che era lei stessa a leggere alle ragazze i romanzi di Dumas e Scott, di Hugo, Dickens e Jane Austen.
Il padre amava la poesia, e dunque le figlie conobbero e amarono Shakespeare e Yeats. Anne studiò musica, imparò a suonare sia il violoncello che il pianoforte.
Abbandonò lo studio della musica per dedicarsi alle amate materie letterarie, ma la conoscenza della musica l’accompagnò sempre nella composizione delle poesie.
 
Si è sposata quattro volte e ha vissuto prevalentemente nel Regno Unito.
Ha scritto e pubblicato poesie, ha ricevuto riconoscimenti importanti, ma non ha mai aderito a scuole poetiche, rimanendo sempre un’autrice libera di raccontare in versi l’amore per la natura, di ricordare momenti della sua vita, di esprimere sentimenti sinceri, senza cadere però in toni confessionali o impregnati di sentimentalismo.
La musica naturalmente l’ha guidata nella scelta di parole con le quali Anne sembra giocare, movimentando sillabe e suoni.
Utilizza anche termini scientifici o vocaboli del mondo finanziario accostandoli in modo lieve e servendosi di una chiave giocosa.
 
Per Anne Stevenson la poesia è arte del ritmo.
Nella silloge Le vie delle parole sono entrate poesie pubblicate su riviste; si toccano i temi più vari che la traduttrice Carla Buranello ha reso in un italiano poetico e sognante, ma al tempo stesso preciso e concreto.
La lettura delle ventisei poesie è immersione in un mondo delicato che si squaderna sotto gli occhi delle lettrici e dei lettori senza ritrosia: chi legge entra in sintonia con l’autrice, ne condivide i pensieri, sia quando Anne Stevenson sostiene che «le poesie, siano maschi o femmine, sono vanesie/… sfoggiano vocali, o esibiscono catene/… Le vie delle parole sono strette ed egoiste, /esige ognuna uno spazio adeguato al proprio peso. /Non serve scandire i versi ad ogni frase,/ ma una sorta di battito deve integrare/il suono che la poesia fa quando è inventata. /Sennò, scrivi prosa…», che quando nella poesia Il Ministro dice: «…faremo venire il ministro del culto/ per badare alle parole… Serve il ministro/perché le parole sappiano dove andare».
 
C’è leggerezza in questi versi, come se un sorriso aleggiasse su di essi. Stevenson spiega con garbo anche come Fare poesia: «Devi abitare la poesia/ se vuoi fare poesia./ E cosa significa abitare?/ Significa portarla come un abito, indossare/le parole, sedendo nella luce più netta,/ nella seta del mattino, nel fodero della notte…»
Si susseguono brevi poesie, qualcuna è più lunga, come Pronuncia, in cui Anne racconta con sottile ironia il suo arrivo in Europa, il lavoro, il matrimonio («Le nozze, a quanto pare, furono un gran successo./ Il matrimonio pure, per un po’,/ però non sopravvisse./ Cambiammo mentre il mondo cambiava/nei non previsti anni sessanta.» e come Arioso dolente, poesia dedicata ai nipoti quando saranno nonni in cui ricorda teneramente i genitori e la nonna con versi incisivi: «Gesti di carta, immagini, risate in bianco e nero… La coscienza attraversa gli eventi in punta di piedi/ Così tanto sentiamo, così poco diciamo/Ma è dal nostro respiro che dipende il passato…»
 
Lettura assai gradevole, che fa pensare e talvolta sorridere.
Improbo lavoro per l’ottima traduttrice che ha mantenuto la musicalità dei versi in una lingua come la nostra, tanto diversa dall’inglese.
 
Luciana Grillo – [email protected]
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