Associazione Castelli del Trentino – Di Daniela Larentis

«Gli incontri del giovedì»: Manuel Fauliri e Marta Romani parleranno del sovrano Berengario I e del ruolo di donna, moglie e madre di Adelaide di Borgogna

Manuel Fauliri: Il monogramma di Berengario I  e il Sigillo di Berengario.

Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, è al suo secondo appuntamento.
Ricordiamo che tutti gli incontri in programma godono del patrocinio della Regione Trentino Alto-Adige, della Provincia Autonoma Trento, della Comunità Rotaliana, del Comune di Mezzolombardo; inoltre, della collaborazione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, del Museo degli Usi e Costumi della gente Trentina e della Fondazione Museo Storico del Trentino.
Sono riconosciuti da IPRASE e validi ai fini dell’aggiornamento del personale docente della Provincia Autonoma di Trento.
Il prossimo incontro si terrà giovedì 18 ottobre alle 20.30 a Mezzolombardo in Sala Spaur, Piazza Erbe, e avrà come protagonisti Manuel Fauliri, dottorando in Storia medievale presso l’Università di Trento, e Marta Romani, dottoranda in Culture d’Europa sempre presso l’Università di Trento, i quali parleranno rispettivamente della vita del sovrano altomedievale Berengario I (888-924) e del ruolo di donna, moglie e madre di Adelaide di Borgogna nell’ascesa al potere imperiale della dinastia sassone (secolo X).
Due parole sui relatori, ai quali in vista dell’incontro abbiamo rivolto alcune domande.
 

 
Manuel Fauliri, dottorando in Storia medievale presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento, si è laureato con lode nel 2013, discutendo con Maria Cristina La Rocca, docente di Storia medievale presso l’Università di Padova, una tesi triennale dal titolo «L’arrivo dei Longobardi in Italia: migrazione o invasione nel recente dibattito storiografico»; nel marzo del 2016, ha poi conseguito con lode una laurea magistrale, discutendo con la stessa docente una tesi dal titolo «Per una biografia di Berengario I (888-924): contesti, fonti, memoria», argomento di cui parlerà nel suo intervento il 18 ottobre.
 
Nell’incontro di giovedì 18 ottobre lei parlerà della vita di un sovrano altomedievale, Berengario I: in che contesto si va ad inserire la figura di questo sovrano?
«La vicenda di Berengario I viene a collocarsi in un contesto molto particolare, tradizionalmente assunto a simbolo del medioevo più profondo, oscuro, di violenza, in cui i signorotti agiscono spadroneggiando come gli pare. Si tratta del periodo immediatamente successivo alla morte dell’ultimo erede di Carlo Magno, Carlo III detto il Grosso, deposto nel novembre 887 malato e ormai ritenuto inadatto al regno e che morirà nel gennaio dell’888. La deposizione di Carlo il Grosso fu seguita dall’elezione, nei rispettivi territori, dei cosiddetti re nazionali che si sarebbero installati sui frammenti di ciò che un tempo aveva costituito l’impero carolingio. Nel novero di tali sovrani, che la tradizione ci ha consegnato come re deboli (reguli) si inserisce la figura di Berengario che resse il trono del regno italico in uno dei periodi più emblematici dell’età medievale e, nonostante tutto, ancora poco indagati dalla storiografia.»
 
Quali saranno i punti principali che verranno toccati nel suo intervento?
«Nel corso del mio intervento cercherò di presentare la vicenda di tale sovrano, attraverso le fonti documentarie, narrative e materiali che testimoniano la sua attività. Si tratta di una storia avvincente anche per le testimonianze che lo riguardano e che permette di immergerci in quel mondo lontano e davvero poco noto, tra l’età carolingia e ciò che tradizionalmente viene indicato come il secolo di ferro.
«Vedremo dunque le origini di Berengario I, la sua ascesa al potere, per assistere poi alla cruenta morte a Verona per mano del suo fedele Flamberto nell’aprile dell’anno 924. Cercherò inoltre di illustrare quali linee interpretative sono state a lungo dominanti e quali interpretazioni sono state fornite recentemente per valorizzare una figura a lungo lasciata nell’ombra nonostante le significative testimonianze giunte fino a noi.»
 
Chi era Berengario I del Friuli, era un re debole come tradizionalmente è stato dipinto?
«Parlare di Berengario I significa proiettarsi nel pieno mondo carolingio. Egli nacque attorno alla metà del IX secolo, figlio di uno degli aristocratici più potenti dell’epoca, il marchese del Friuli Everardo, e di Gisla figlia dell’imperatore Ludovico il Pio e sorella di Carlo il Calvo. Nulla lasciava presagire il destino che gli sarebbe spettato, dal momento che il ruolo di marchese sarebbe dovuto spettare al fratello maggiore Unroch, tuttavia la morte di quest’ultimo comportò il passaggio della carica marchionale a Berengario che avrebbe poi assunto la corona del regno d’Italia nell’anno 888 e la corona imperiale nel dicembre 915.
Come già ho ricordato la tradizione ha voluto inserirlo tra i sovrani deboli emersi dalle ceneri del grande impero carolingio, tuttavia Berengario I, tra l’888 e il 924, fu una delle maggiori figure, se non l’unica figura dominante del regno d’Italia. Dovette far fronte a varie insidie, quali la rivalità con Guido e Lamberto di Spoleto, con il cugino Ludovico III che verrà poi fatto accecare, e come se non bastasse si trovò a fronteggiare le incursioni degli Ungari che sul finire del IX secolo fecero la loro comparsa nel regno d’Italia creando ulteriori difficoltà al sovrano.
«Questa è inoltre la fase del medioevo in cui compaiono i primi castelli, tradizionalmente indicata come incastellamento, e che tanta parte giocano nel nostro immaginario medievale; un fenomeno per lungo tempo collegato proprio alle incursioni che investirono il regno in quel periodo. Di fronte a tutte le insidie Berengario tuttavia, nonostante le sconfitte in battaglia e la decisione di scendere a patti con gli Ungari, riuscì a reggere il potere per 36 anni e seppe creare una rete di alleanze con le aristocrazie locali che gli permisero di arrivare a cingere anche la corona di imperatore. L’immagine che è emersa pare dunque molto diversa da quella che è stata dipinta per lungo tempo.»
 
Da un punto di vista metodologico come ha condotto lo studio delle fonti?
«Per uno storico le fonti costituiscono la materia grezza da cui partire per proiettarsi nel passato e cercare di avvicinarsi a quella realtà, cercando di plasmare una ricostruzione che restituisca anche solo un frammento del mondo che si sta indagando. Per un’epoca come l’alto medioevo è necessario accettare che molto è destinato a sfuggirci, per scarsità di fonti o per difficoltà interpretative, il che tuttavia rende la cosa, dal mio punto di vista, ancora più affascinante.
«Le fonti su Berengario I tuttavia non sono così scarse, a cominciare dal testamento dei genitori del futuro sovrano, stilato a Musestre sul Sile non lontano da Treviso, nel castello in cui probabilmente Berengario I passò i primi anni di vita e centro dei possedimenti in Italia del padre Everardo.
«Abbiamo poi un nutrito numero di diplomi, i documenti emanati dalla cancelleria del sovrano durante gli anni di regno, lettere scritte da papi indirizzare a Berengario o in cui egli viene nominato, per arrivare a un testo come il panegirico composto in occasione dell’incoronazione imperiale nel 915 e volto a tessere le lodi del sovrano, o ancora l’opera di Liutprando di Cremona che ebbe un ruolo importante nel diffondere l’immagine negativa di sovrano debole poi accolta per lungo tempo dalla tradizione e che racconta la morte dell’imperatore assassinato a Verona nel 924.
«Nel mio lavoro ho quindi cercato di far dialogare le varie fonti tra loro, alla ricerca di elementi di analogia e differenza con l’intento di restituire un quadro il più completo possibile della vicenda biografica di questo sovrano.»
 
Quali sono stati i risultati principali del lavoro svolto?
«Lo studio condotto su Berengario I ha fatto emergere una storia affascinante, ricca di elementi che potrebbero costituire del buon materiale anche per un’opera cinematografica, e non sarebbe l’unica figura che potrebbe offrire spunti interessanti, ma l’alto medioevo rimane ancora materia largamente inesplorata in quel versante.
«È evidente come l’immagine tradizionale di sovrano debole tra i tanti sorti dalle tenebre medievali, non corrisponde a quanto le fonti ci dicono, e l’oscurità di quella fase riguarda probabilmente solo la nostra ignoranza e scarso approfondimento su un periodo che ha ancora molto da rivelarci.
«La dinastia carolingia non scomparve definitivamente con la morte di Carlo il Grosso, Berengario infatti discendeva per via materna da Carlo Magno che ne era quindi il bisnonno. Ma non solo per il sangue ne era l’erede, egli infatti agì come i suoi predecessori carolingi e la stessa incoronazione imperiale, come avrò modo di illustrare, si svolse seguendo con precisione il modello del bisnonno; egli appare dunque ben consapevole del patrimonio dinastico a cui può accedere e non esita ad usarlo.
«L’immagine di Berengario I appare quindi ben diversa da quella che la tradizione ha voluto consegnarci, e tuttavia il mio intento non è stato tanto quello di dare un giudizio sul suo operato, piuttosto quella di esplorare, attraverso la sua vicenda, una delle modalità seguite tra la seconda metà del IX secolo e i primi decenni del X per gestire il potere nel regno d’Italia.»
 
A cosa sta lavorando attualmente?
«Attualmente sto concludendo il secondo anno di dottorato in storia medievale all’Università di Trento con un progetto di ricerca attorno alle proprietà pubbliche utilizzate dai sovrani per la creazione di reti di fedeltà, cercando di esplorare in particolare lo strumento del beneficium che costituisce una componente importante del rapporto vassallatico-beneficiario, visto tradizionalmente come la base da cui si sarebbe poi sviluppato il feudalesimo.
«Lo studio assume come protagonisti dell’indagine alcune grandi abbazie di fondazione regia, nate attorno alla metà dell’VIII secolo, ponendo come punto di arrivo dell’indagine proprio la morte di Berengario I nel 924, inteso quindi come ultimo sovrano carolingio.»
 
Progetti futuri?
«Mi piacerebbe molto poter proseguire, una volta concluso il dottorato, con il lavoro di ricerca. I tempi non sono particolarmente favorevoli e non da adesso, ma d’altronde è l’intero mondo della cultura che da molti anni sta soffrendo e viene scarsamente valorizzato.
«Tuttavia la speranza è quella di poter comunque continuare a compiere ciò che per me è un lavoro affascinante che mi consente in un certo senso di viaggiare nel tempo alla ricerca di particolari nuovi da scoprire in società ormai lontane ma che sono lì in attesa di essere esplorate; un patrimonio di conoscenze da trasmettere anche ai non addetti ai lavori e soprattutto alle nuove generazioni, con l’attività di insegnamento ma anche quella divulgativa, cercando magari di stimolare e risvegliare uno dei motori fondamentali dell’intelletto umano, purtroppo sempre più atrofizzato, vale a dire la curiosità.»
 

 
Marta Romani, dottoranda in Culture d’Europa presso l’Università degli Studi di Trento, conta al suo attivo una laurea triennale in Studi storici e filologico-letterari conseguita presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento, conseguita nel 2014, e una laurea magistrale in Scienze storiche presso l’Università degli Studi di Verona (in interateneo con l’Università di Trento), conseguita con lode nel 2017.
 
Nell’incontro di giovedì 18 ottobre lei parlerà della vita di Adelaide di Borgogna: in che contesto si va ad inserire la figura di questa imperatrice del secolo X?
«La figura di Adelaide di Borgogna, come vedremo in maniera più approfondita nei due interventi di giovedì sera, si va ad inserire in un contesto storico e politico piuttosto complesso. Infatti, con la morte dell’ultimo sovrano carolingio nell’888, si scatenarono numerose lotte tra i membri dell’alta aristocrazia europea per affermarsi sul trono d’Italia e su quello imperiale rimasti vacanti.
«Adelaide si trovò proprio al centro di tali scontri: suo padre, re Rodolfo di Borgogna, fu anche sovrano d’Italia, così come lo fu, pochi anni più tardi, il suo primo marito, Lotario II.
«Gli scontri per il trono d’Italia coinvolsero anche il secondo marito di Adelaide, il sassone Ottone I, il quale, dopo anni di conflitti, riuscì a sconfiggere i propri avversari e a ottenere il titolo imperiale per sé e per la propria dinastia.»
 
Chi era Adelaide di Borgogna e qual era il ruolo da lei giocato nel contesto politico dell’epoca?
«Adelaide era una principessa borgognone che divenne regina d’Italia e, nel 962, fu incoronata imperatrice insieme al secondo marito Ottone I.
«Rosvita di Gandersheim, autrice dei Gesta Ottonis Imperatoris, un testo encomiastico in cui narra le vicende che portarono all’ascesa imperiale della dinastia ottoniana, definisce Adelaide come colei che avrebbe potuto detenere da sola il potere in Italia dopo la morte del primo marito se solo i suoi avversari non avessero cospirato contro di lei.
«Anche altri autori coevi sono concordi nel sottolineare l’importanza del matrimonio con Adelaide nella legittimazione al regno di Ottone I. Naturalmente, poiché si tratta di opere composte presso la corte ottoniana, si devono applicare alcuni filtri quando le si legge e le si interpreta.
«Ad ogni modo, il fatto che Adelaide venga citata e ricordata in termini così prestigiosi fa comprendere quanto dovesse essere influente a livello politico e simbolico per il mondo dell’epoca. La sua influenza, inoltre, fu molto duratura poiché prese parte alla vita di corte in Italia, ma anche a nord delle Alpi, dagli anni ’50 del X secolo fino al 999, anno della sua morte.»
 
Che fattori di novità ha portato Adelaide di Borgogna nella concezione del ruolo delle regine/imperatrici ottoniane?
«Adelaide fu sicuramente una figura molto importante nel processo di affermazione del ruolo femminile nella corte ottoniana. Ad ogni modo, è importante ricordare che nella dinastia ottoniana (così come in altri contesti geografici e familiari dell’epoca) le donne godevano di un prestigio e di un’influenza che nelle fonti non sempre emerge con evidenza. Il fatto che Adelaide sia molto presente nelle fonti dell’epoca fa sì che la sua figura risulti ben visibile e possa fungere da confronto per ricostruire anche il ruolo delle altre.»
 
Da un punto di vista metodologico come ha condotto lo studio delle fonti?
«Per lo studio della figura di Adelaide sono partita dalla lettura e dall’analisi delle fonti storico-narrative di X e XI secolo che riportavano qualche dato a proposito della vita e dell’attività dell’imperatrice. In seguito, ho cercato di incrociare quanto ricavato con gli elementi presenti in altri tipi di fonti, come ad esempio i diplomi regi e imperiali.
«I diplomi sono documenti ufficiali emanati dall’autorità sovrana con i quali vengono concessi diritti e proprietà a persone o enti ecclesiastici.
«Attraverso l’analisi dei diplomi emessi da Ottone I, Ottone II e Ottone III in cui Adelaide viene ricordata come intermediaria tra il sovrano e il richiedente è possibile intravedere la rete di relazioni che l’imperatrice poteva vantare in quasi tutt’Europa, un elemento importantissimo per delineare l’effettivo ruolo da lei giocato nel corso della sua vita.»
 
Quali sono stati i risultati principali del lavoro svolto?
«Come dico sopra, i risultati ottenuti fino a questo momento sono legati proprio al tentativo di ricostruzione dei legami personali e delle aree geografiche in cui l’influenza di Adelaide appare più chiara e visibile negli anni tra il 952 e il 999.»
 
A cosa sta lavorando attualmente?
«Attualmente sono alla fine del mio primo anno di dottorato di ricerca, il cui scopo finale è appunto tentare di ricostruire la rete di fedeltà e l’influenza politica di Adelaide. In questo momento mi sto concentrando su quello che le fonti, sia narrative che documentarie, ci dicono a proposito dell’azione della sovrana negli ultimi anni della sua vita quando fu al fianco del nipote Ottone III ed esercitò il suo ruolo di imperatrice nonna, un fatto assolutamente particolare per il Medioevo poiché l’aspettativa di vita era nettamente inferiore rispetto ad oggi.»
 
Progetti futuri?
«Innanzitutto, vorrei portare a termine in modo soddisfacente e con risultati originali la mia ricerca. In generale, mi piacerebbe far arrivare la mia passione per la storia anche a persone estranee al mondo accademico, ad esempio attraverso l’insegnamento.
«Credo che sia molto importante far capire che studiare storia non è semplicemente imparare a memoria delle date o degli eventi, ma è anche indagare a fondo le connessioni tra le persone, le loro azioni e le loro aspirazioni, la loro maniera di concepire se stessi e la loro realtà e molto altro ancora.»
 
Daniela Larentis – [email protected]

Marta Romani - Albero genealogico Ottoni.