Storie di donne, letteratura di genere/ 103 – Di Luciana Grillo

Raquel Robles, Piccoli combattenti – Credo che questo sarebbe un ottimo testo da proporre anche nelle scuole

Titolo: Piccoli combattenti
Autrice: Robles Raquel
 
Traduttore: Caputo Iaia
Editore: Guanda 2016 (collana Narratori della Fenice)
 
Pagine: 155, brossura
Prezzo: € 15
 
Figlia di desaparecidos, Raquel Robles racconta con la semplicità e la dolcezza di una ragazzina tutto il male che l’ha colpita quando i suoi genitori sono stati rapiti dal Nemico e sono andati incontro al Peggio.
Accanto a lei c’è il fratellino da proteggere, al quale raccontare le favole, con il quale giocare perché non senta la mancanza del papà e della mamma, al quale far capire: «Allora gli spiegai tutto. Lui mi guardava con quegli occhi verdi così belli, quegli occhi che quando mi guardavano era come se fossi di fronte a mia madre…»
 
Ospiti in casa di zii anziani, «La zia non era troppo portata alle effusioni» mentre c’era «una nonna alla quale si illuminavano gli occhi solamente quando ci vedeva, ma che per il resto del tempo piangeva…», si ritagliano un loro spazio, frequentano i bambini del vicinato e sperano nell’apparizione improvvisa dei genitori.
È un’amica della mamma, invece, a ritrovarli, a raccontare quello che sa, «la casa è a posto, anche se un po’ in disordine, non è stato facile trovare questo libro perché tutti i libri erano per terra… I vestiti, le carte, era tutto sottosopra…», a consolarli quando piangono.
Il rapporto sorella-fratello è straordinariamente tenero, «Lo tenevo abbracciato… e lo difendevo da tutte quelle stupide maestre che lo sgridavano. Dopo piangeva un po’ con me in bagno e gli passava. Una cosa stupefacente… Io non piangevo quasi mai… anche perché pensavo che se piangevo mio fratello sarebbe andato definitivamente in pezzi, e sapevo di avere una responsabilità: lui. Dovevo proteggerlo.»
 
Non è facile la vita di questi fratelli, devono spostarsi da altri zii, in un’altra città, cambiare ancora ambiente e compagni: a Tucuman li ospita la sorella del padre e per loro questa è l’occasione di conoscere il nonno e altri cugini, anche alcuni figli di poliziotti, il Nemico: «…con il Nemico non si sa mai. Con il Nemico se non si vince si perde…», ma al momento di rientrare a Buenos Aires, la nonna dichiara che resterà lì, e per il bambino il dolore – un’altra perdita – è insopportabile, tanto che le dice: «Se resti qui io muoio».
Ma la vita continua, la ragazzina si innamora, la nonna muore, i fratellini vanno al mare con gli zii e «stare vicino al mare faceva qualcosa al cuore… Se mamma fosse stata con noi le avrei fatto sicuramente le treccine su tutta la testa… e le avrei messo collane di conchiglie e braccialetti di foglie.»
 
La mamma e il papà non torneranno e i ragazzi capiscono che il Peggio li ha inghiottiti. Ed è la sorellina a farsi coraggio, a parlare: «I suoi occhietti chiari pieni di odio e di dolore mi si conficcarono nel petto così a fondo che mi stupii che non mi sanguinasse».
Raquel Robles con la grazia e la saggezza di una donna che ha sofferto, accomuna idealmente ai suoi genitori tutte le vittime dei genocidi, ricordando con tenerezza la nonna ebrea e invitando noi lettori a guardare ai migranti come a esseri umani.
«I peggiori – ha detto a un giornalista che la intervistava – non sono gli assassini, ma coloro che giustificano i crimini.»
Credo che questo sarebbe un ottimo testo da proporre anche nelle scuole.
 
Luciana Grillo
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