«Sembrerà un’esagerazione, ma talvolta il cane è migliore di taluni esseri umani»
Arthur Schopenhauer: Chi non ha mai posseduto un cane non può sapere che cosa significhi essere amato – Di Daniela Larentis
Nella bellissima poesia «Ode al cane» Pablo Neruda, una delle figure più importanti della letteratura latino americana, premio Nobel per la letteratura, poeta e attivista cileno, definì lo straordinario legame che unisce il cane all’uomo.
Essendo molto lunga mi limiterò a trascriverne solamente l’ultima parte:
«…e l’antica amicizia,
la felicità
d’esser cane e d’esser uomo trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.»
L’amicizia fra l’uomo e il cane si perde nella notte dei tempi.
Fin dalla preistoria l’uomo si servì del cane per cacciare e per fare la guardia, quindi asserire che il cane è il miglior amico dell’uomo ha un fondamento.
Il nostro amico a quattro zampe comunica principalmente attraverso la postura e il riconoscimento di odori e possiede la straordinaria capacità di intuire gli stati d’animo del suo padrone; sa interpretarne i comportamenti (o meglio, a ogni suo comportamento associa una data situazione).
Anche se diversi, sotto molti aspetti l’uomo e il cane si assomigliano.
Vivono ambedue in branco e hanno regole che stabiliscono i rapporti fra individui.
Un’antica leggenda indiana narra che, durante la creazione, il Grande Spirito tracciò una linea sulla sabbia trasformandola in una catena montuosa, separando così gli animali dagli uomini.
Ebbene, il cane balzò dall’altra parte, scegliendo di stare con l’uomo.
Le raffigurazioni pittoriche che testimoniano il legame fra l’uomo e il cane sono molteplici e risalgono a parecchio tempo fa, basti pensare agli Egizi che raffigurarono i cani sui loro monumenti funerari o ai bassorilievi attraverso i quali gli Assiro-Babilonesi ritrassero scene di caccia in cui gli uomini erano affiancati dagli amati quadrupedi.
Per citare degli esempi molto più recenti basti pensare alla pittura del Settecento e Ottocento, per mezzo della quale i nobili prima e i borghesi poi amarono farsi ritrarre in compagnia dei loro amici a quattro zampe, non solo durante la caccia, ma successivamente anche in ambientazioni familiari.
Prima ancora, nel millecinquecento, Albrecht Dürer incise la Melanconia, una figura di donna alata accanto alla quale vi era acciambellato, in un’espressione tristissima, un cane. Forse un levriero.
L’incisione, una delle più famose al mondo, è ricca di significati simbolici.
Il pittore, incisore e matematico tedesco, considerato il massimo esponente della pittura rinascimentale tedesca, la realizzò nel 1514.
Antecedente (del 1434) è la rappresentazione del pittore fiammingo Jan Van EycK, il quale ritrasse i coniugi Arnolfini in compagnia del loro cane.
Il dipinto a olio che simboleggia l’amore coniugale è conservato nella National Gallery di Londra.
Comunque lo si voglia raffigurare, nell’immaginario comune questo animale personifica il valore della fedeltà.
Seneca, filosofo, poeta, politico e drammaturgo romano, asserì che l’amore per un cane dona grande forza all’uomo.
Schopenhauer, uno dei maggiori pensatori tedeschi del XIX secolo, arrivò perfino a dire che chi non ha mai posseduto un cane non può sapere che cosa significhi essere amato.
Forse sembrerà un’esagerazione, ma è pur vero che il cane ama con una dedizione, una trasparenza, una profondità e una tenacia tali, da far quasi supporre che esso sia a volte migliore di taluni esseri umani.
Sicuramente migliore di quelle persone che hanno il coraggio di abbandonare quello che fino all’attimo prima era un compagno di giochi, un amico divenuto ingombrante, qualcuno da allontanare, da lasciare come un giocattolo inutile in balia della sorte, magari sul ciglio di una strada, con il pericolo di essere travolto.
Un cane non è un passatempo. E’ un essere vivente.
Ha un cuore che batte. Prova delle emozioni.
E chi non è in grado di garantirgli una vita dignitosa e bella è meglio che lasci perdere e non si azzardi a comprarlo.
Daniela Larentis