Tavola rotonda «L’Africa dei missionari e la salute negata»
Grandi esperienze portate oggi alla tavola rotonda di Palazzo Geremia
La salute in Africa è stata al
centro dell'incontro pubblico tenuto stasera a palazzo Geremia,
nell'ambito della manifestazione «Sulle rotte del mondo» che vede
al centro i missionari trentini nel Continente nero.
Grande l'affluenza di pubblico, segno questo che l'interesse e
l'affetto della gente trentina nei confronti del nostri missionari
è più saldo che mai.
In apertura il saluto dell'assessore provinciale alla solidarietà
internazionale, Lia Giovanazzi Beltrami, che ha sottolineato come i
missionari nei prossimi giorni visiteranno anche numerose scuole
trentine, per portare il loro esempio ai giovani, e del sindaco di
Trento Giampaolo Andreatta, che ha detto come il Comune del
capoluogo sia in piena sintonia con questa importante
manifestazione.
A moderare i lavori il giornalista Paolo Mantovan. I relatori Carlo
Spagnolli, roveretano, di cui è notissimo l'impegno in favore dei
malati nel travagliato Zimbabwe (così come in passato nel Corno
d'Africa), suor Maria Amabile Martinelli, medico, originaria di
Calceranica, dal Sudan, padre Giorgio Abram, in Ghana dal 1976,
originario di Ronzone, fra i massimi esperti nel campo della lebbra
dei bambini, e Pedro Miguel, filosofo e antropologo angolano.
A rompere il ghiaccio suor Martinelli, che ha operato in numerosi
paesi africani, dedicandosi negli ultimi anni anche al problema
dell'aids. In Sudan sta curando attualmente una scuola per
infermieri, nel sud del paese, travagliato da una guerra finita
solo da pochi anni e quasi totalmente privo di infrastrutture.
«È cruciale in Africa la formazione del personale - ha detto suor
Martinelli - ed è cruciale che resti lì dove serve, anziché fuggire
all'estero. Serve dunque un cambiamento professionale, ma anche
umano, perché il tessuto umano è stato letteralmente distrutto
dalla guerra.»
L'indice di mortalità in Sudan, come in molte parti dell'Africa, è
molto alto, così anche l'indice di natalità (solo il 5% dei parti è
assistito). È forte il peso della medicina tradizionale (guaritori,
sciamani). Cresce il fenomeno dei bambini di strada. La scuola è
importante ma ha i suoi problemi: solo il 7% degli insegnanti hanno
ricevuto un'istruzione formale per fare questo mestiere. Le classi
sono spesso composte da più di 100 alunni.
Pedro Miguel, entrando nel merito, ha detto che «Tutti nel mondo ci
ammaliamo, ma come ci curiamo dipende da paese a paese, da cultura
a cultura».
Per capire come l'africano concepisce la salute, Pedro Miguel è
ricorso al linguaggio del mito, narrazione anonima che spiega come
si sono originate le cose (in questo caso un mito dei Dogon del
Mali). Secondo questo mito l'uomo è «il tutto in uno», è dunque un
insieme organico. L'approccio alla salute e alla malattia deve
tenere conto di questa visione d'insieme, così come molte altre
realtà (la famiglia, le lingue e così via).
«In Africa non esiste la malattia, esiste l'uomo malato, l'uomo nel
suo insieme, inserito nella sua comunità. Il guaritore tiene conto
di questo e non agisce sulla malattia ma sull'insieme.»
L'antropologo angolano ha quindi stigmatizzato alcuni luoghi comuni
e alcune generalizzazioni proprie dell'Occidente, come quella che
spinge a spiegare i conflitti africani con il concetto di «lotte
tribali».
E ancora, «L'africano non è stato inventato dall'uomo bianco.
Quando l'occidentale è arrivato in Africa l'africano c'era già, con
la sua cultura, la sua lingua. I bianchi con i concetti come quello
di paganesimo hanno cercato di cancellare tutto questo. I
missionari a loro volta ci hanno portato la loro divisione di corpo
e anima, che però è greco-latina, non biblica o ebraica. Il loro
approccio non era completo, non puntava all'uomo nella sua
interezza.»
Giorgio Abram ha ripreso questi temi parlando del rapporto fra
medicina ufficiale e medicina tradizionale.
«Nel caso della lebbra è emblematico: la lebbra è emarginante,
sfigura le persone. Nella lebbra vediamo esattamente l'unità della
persona; essa è considerata non a caso una malattia che viene da
dio. Una malattia mandata per espiare qualche colpa. Ecco l'aspetto
spirituale, ecco l'unità anima-corpo che l'Occidente ha
dimenticato.»
La conseguenza non accettabile per noi è che, in questo modo, la
malattia viene considerata incurabile. Spesso sono gli stessi
familiari a impedire che il malato venga ricoverato in
ospedale.
«Far capire che la lebbra è una malattia come tutte le altre
significa misurarsi con questa complessità, che va oltre al malato,
che coinvolge la parentela, la famiglia allargata, il clan.»
Nell'Africa di padre Abram, comunque, il rapporto fra medici e
sciamani cresce: sono 1200 quelli che sono entrati in contatti con
i medici solo nell'area dove opera il missionario trentino, e
esperienze del genere sono in corso un po' ovunque in Africa.
«Se noi non vogliamo creare dipendenza, cioè neocolonialismo,
dobbiamo formare personale locale, far crescere le competenze lì
dove servono.» Questo è stato l'appello finale.
Infine Carlo Spagnolli, una vita spesa in Africa al fianco di chi
soffre. Medico, missionario «in senso laico», oggi lavora in
Zimbabwe, paese che attraversa un periodo di grandi difficoltà.
«Dovunque io sia stato a lavorare - ha detto, - soprattutto in
strutture missionarie ma anche in ospedali governativi, ho operato
in realtà pienamente inserite con le realtà locali. Non abbiamo mai
avuto problemi con i guaritori. Accettiamo perfettamente che prima
di arrivare in ospedale il malato faccia il suo iter, con la
famiglia e con i guaritori. Qualche volta ci possiamo risentire,
quando vediamo il carcinoma in forma avanzata che poteva essere
"preso" prima. Non posso spogliarmi insomma della mia formazione di
medico, ma accetto volentieri il confronto con le culture locali.
L'ospedale missionario ha una particolarità: a differenza delle
strutture pubbliche, non rifiuta nessuno, neanche i più poveri o i
malati terminali. In Africa molte strutture, anche governative,
sono diventate a pagamento. Questo è molto grave. E' questa la
salute negata. In Zimbabwe si stanno privatizzando tutti i servizi,
specie di tipo specialistico. Le periferie e i villaggi rimangono
scoperti. Le uniche strutture a disposizione dei poveri sono oggi
quelle missionarie, di tutte le confessioni. Ciò significa che la
fede tradotta in opere ha un forte impatto sulla vita della
gente.»