Francesca Mannocchi al Festival dell’Economia – Di Daniela Larentis

Ha presentato a Trento il libro «Io Khaled vendo uomini e sono innocente», dialogando con il sociologo Stefano Allievi e la giornalista Tonia Mastrobuoni – L’intervista

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Fra i più interessanti appuntamenti di questa edizione 2019 del Festival dell’Economia di Trento, segnaliamo, nell’ambito degli «Incontri con l’autore», la presentazione di un libro di Francesca Mannocchi, scrittrice e giornalista de L’Espresso, dal titolo provocatorio «Io Khaled vendo uomini e sono innocente», edito da Einaudi.
Domenica 2 giugno 2019, nella biblioteca comunale di via Belenzani, nel cuore della città, l’autrice ha dialogato con il sociologo Stefano Allievi (vedi nostra intervista), professore ordinario presso l’Università di Padova, uno dei massimi esperti nello studio dei fenomeni migratori, in sociologia delle religioni, e in studi sul mutamento culturale in Europa (al quale dedichiamo un articolo di approfondimento in riferimento al suo libro presente al Festival dell’Economia intitolato «Immigrazione, cambiare tutto» edito da Laterza, 2018), e con Tonia Mastrobuoni, giornalista e corrispondente da Berlino de «La Repubblica», coordinatrice dell’incontro.

Il protagonista del romanzo dell’autrice è Khaled, un libico che ha poco più di trent’anni, il quale ha partecipato alla rivoluzione per deporre Gheddafi, sentendosi poi tradito da quella stessa rivoluzione a cui ha preso parte. Così, lui che voleva fare l’ingegnere è divenuto un anello della catena che gestisce il traffico di migranti. Francesca Mannocchi collabora da anni con numerose testate, italiane e internazionali, e televisioni. Ha realizzato reportage da Iraq, Libia, Libano, Siria, Tunisia, Egitto, Afghanistan.
Ha vinto il Premio Giustolisi con un’inchiesta sul traffico di migranti e sulle carceri libiche e il prestigioso Premiolino 2016.
Ha diretto con il fotografo Alessio Romenzi il documentario «Isis, Tomorrow» presentato alla 75ª Mostra internazionale del Cinema di Venezia.

Durante la conferenza ha raccontato come la Libia, un Paese ricco grazie al petrolio, oggi viva un drammatico stallo nella totale assenza di istituzioni stabili.
Prima della caduta di Gheddafi ospitava 1,5 milioni di migranti economici su 5 milioni di abitanti. Allo scoppio della rivoluzione parte di quei migranti sono tornati a casa. Gli altri sono rimasti incastrati in un Paese in guerra civile e hanno diritto a protezione internazionale.
«Contrapporre la retorica della vittima sui migranti alla retorica dell’invasione è un errore. Entrambe le visioni sono figlie di una banalizzazione, – sottolinea l’autrice. – Tutte le persone che se ne vanno dalla Libia, fuggono dalla guerra.
«Khaled in questo libro ci impone di andare all’origine della questione: dobbiamo tornare a parlare del diritto delle persone di spostarsi, come del resto ribadisce il sociologo Stefano Allievi nel suo intervento critico.
«Non dobbiamo assecondare una retorica che ci impone che una persona affamata abbia diritto ad essere accolta e una sana no» ha sottolineato Mannocchi durante la presentazione del suo libro, innanzi a un folto pubblico.
 

 
Nell’occasione le abbiamo rivolto alcune domande.
«Voglio essere felice, signor Khaled, mi dice chi mi aspetta di imbarcarsi […]. Vengono da me, come gli insetti vanno verso la luce. Chi vuole essere felice è disposto a qualsiasi cosa... […]». Queste parole possono far riflettere sul fatto che i migranti partono spesso per sfuggire alle guerre, alla fame, allo sfruttamento, alle persecuzioni mirate, alle calamità naturali ecc., ma anche per rincorrere un sogno, per abbracciare nuove occasioni. Kahled è forse in cerca di assoluzione?
«Io non credo che Kahled voglia essere assolto, né noi dobbiamo porci nella situazione di giustificarlo o condannarlo. Credo che la sua dichiarazione di innocenza ci imponga un ripensamento delle condizioni di partenza. Nessuno nasce trafficante, nessuno nasce assassino, nessuno nasce incline al malaffare, lo diventa per le condizioni di partenza.
«Quindi per Kahled dire sono innocente significa dire “se esistesse un altro modo per le persone di muoversi nel mondo io non sarei un trafficante”.
«Questo esercizio logico ci porta a dire quale aspetto del fenomeno noi abbiamo trascurato, ovvero ripensare il punto “A” del ragionamento, cioè le politiche dei visti, le politiche delle sanatorie, le protezioni internazionali; il diritto internazionale non è un dato naturale, tutto si può modificare, si può aggiornare, si può cambiare, bisogna capire su quali basi noi ragioniamo per modificare delle cose, cambiare anche il sistema di protezione internazionale.
«Bisogna leggere i numeri e capire quali sono le condizioni di partenza.»
 
Nel libro, a un certo punto Kahled ricorda al padre le impiccagioni cruente che avvenivano durante la dittatura di Gheddafi. Sintetizzando al massimo, di che cosa, in definitiva, Kahled accusa suo padre?
«Accusa suo padre di non aver dato quello che i padri dovrebbero dare ai propri figli, cioè un esempio. La generazione dei giovani e meno giovani che hanno combattuto la rivoluzione sono figli di una maggioranza che silenziosamente ha accettato quello che io chiamo il regime dell’abbondanza, perché la dittatura di Gheddafi non è stata una dittatura di privazione, è stata una dittatura di grande abbondanza e di grande ricchezza.
«La Libia era ed è un Paese ricchissimo che ha combattuto la rivoluzione nel 2011; ha inventato un’idea di libertà, perché i giovani che hanno combattuto quella rivoluzione non hanno memoria di qualcosa che sia diverso dal regime.
«La dittatura di Gheddafi è stata una dittatura lunghissima (42 anni), a questi giovani è mancato nella maggior parte dei casi un esempio. E di questo vengono oggi accusati i padri. Questi ragazzi scontano oggi senz’altro il disincanto di vedere le aspettative rivoluzionarie sostanzialmente fallite.»
 

 
Lei è d’accordo con il prof. Allievi, il quale, fra le vie ipotizzate per cercare di risolvere il problema, individua quella dell’apertura di canali legali di ingresso oltre alla contestuale costruzione di politiche di sviluppo?
«È necessario. L’unica possibilità è tornare a ragionare sulle vie legali. Possono essere evacuazioni speciali (sono arrivate in questi giorni 149 persone dalla Libia), oppure corridoi umanitari, una soluzione quest’ultima percorribile (questa città ha dimostrato di essere fra i precursori virtuosi). Dopodiché, è di nuovo subappaltare alle organizzazioni, in questo caso cattoliche, in altri casi comunque private, una responsabilità collettiva che dovrebbe essere una responsabilità dei governi, e non perché è utopistica ma perché sono stati firmati dei trattati internazionali che ci impongono di prendere sulle nostre spalle, come è giusto, la responsabilità delle persone vulnerabili.»
 
Un’ultima domanda: Kahled lo ha conosciuto davvero o è un personaggio immaginato?
«Sono tanti i personaggi. Mi piacerebbe tanto che molte delle cose che ho scritto nel libro fossero inventate, purtroppo Kahled è uno ed è tante persone che ho incontrato in questi anni, che ha minato tante certezze che avevo su fenomeni così complessi.
«Spero che ascoltando la sua voce tante persone possano mettere in discussione qualche certezza».
 
Daniela Larentis – [email protected]