Libri, sempre libri, fortissimamente libri! – Di Luciana Grillo
Oggi, 23 aprile, è la Giornata internazionale del Libro. Ne suggeriamo alcuni
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Chi legge, di solito ama anche scrivere… Ma oggi si usano sempre meno la carta e la penna, sostituite velocemente da una tastiera.
Conosco scrittori che usano ancora la matita, che scrivono su quadernoni in diagonale, che scarabocchiano su vecchi block notes da stenografia, che correggono, cancellano, tagliano, buttano via fogli appallottolati, prima di trascrivere sul pc.
Ho incontrato per caso una scrittrice che mi ha fatto omaggio di un suo piccolissimo libro: il titolo è «Vita di Penna», 40 pagine scritte, intervallate da illustrazioni un po’ retro di cui è protagonista quasi sempre un’antiquata penna.
L’autrice è Francesca Mussoi.
Incuriosita, ho cominciato a leggere: è proprio di una penna la vita raccontata da Francesca Mussoi, una penna di proprietà di uno scrittore, «uno di quelli veri, con il sigaro in bocca e folte sopracciglia, chiuso nel suo studio con una scrivania stracolma e traboccante di libri impolverati… scriveva notte e giorno e non amava la tecnologia: niente computer, niente diavoleri moderne».
E la penna, semplice e poco costosa, viveva in simbiosi con lui, con lui aveva viaggiato e conosciuto musicisti, poeti e filosofi, faceva capolino dal taschino della giacca e… desiderava un po’ di leggerezza, quella che trovava soltanto quando, nel verde di un parco, leggevano il giornale.
Non che penna restasse inoperosa, anzi: Loren prendeva appunti, sottolineava, scriveva, una volta scrisse Izmir e tracciò un cerchio «scarabocchiato con mano prepotente, quasi con violenza».
Penna ricorda e a Izmir abbina Damla, una donna di cui Loren si era innamorato e che desidera ritrovare.
Perciò, senza pensarci su, l’anziano scrittore organizza il viaggio, ma Penna è spaventata e, al momento della firma… si astiene!
Ma il viaggio si compie, in una Turchia devastata dal terrorismo: dunque gendarmi, granate che esplodono, tre scampati da salvare e un bimbo a cui Loren affida Penna.
«Per la prima volta Penna era felice, per la prima vota si sentiva utile».
Eventi, sorprese, inattesi atti di generosità si susseguono.
E la storia finisce, con una conclusione inaspettata e felice.
Altro libro, questa volta si parla di guerra, con frasi brevissime e taglienti, con espressioni che rimandano al dolore della gente, alla distruzione delle città, in un’atmosfera grigia dall’odore del fango: è «Ombre russe», di Paolo Pardini, già giornalista della RAI, che sa sintetizzare senza perdere di efficacia, sa stupire senza ricorrere a frottole, sa raccontare con linguaggio asciutto, sa «scavare».
Potremmo pensare alla guerra che oggi si combatte in Ucraina, invece la storia è ambientata nel 1992, durante le ostilità che contrapposero Moldavia e Transnistria, repubblica fedele a Mosca: è una storia di morte e di dolore, ma è anche la storia di un amore inatteso e intenso che sconvolge la vita di due persone adulte, in un momento in cui la vita scorreva a fatica in «una città sotto assedio, dove morire non faceva notizia, in una fredda notte d’inverno sul finire di una stagione irripetibile della storia».
Julia, dagli occhi di smeraldo, è la donna che colpisce al cuore un giornalista che pensava solo che avrebbe scritto e trasmesso delle notizie, un giornalista libero e pronto a raccontare scene di guerra, non a vivere un amore appassionato, non a condividere la delusione e l’amarezza di una bellissima ingegnera mineraria fedele a Mosca, sottratta suo malgrado alla lotta attiva per farla diventare una giornalista della tv, pronta comunque anche ad imbracciare il suo kalashnikov.
E quasi per gioco… torniamo indietro nel tempo e incontriamo giocatori e giocatrici d’azzardo a Venezia, «sede storica del gioco che, come e più della città partenopea è stata nel Settecento per l’élite internazionale capitale del gioco, del carnevale e dei divertimenti» e a Napoli, dove la cultura del gioco del lotto «è attraversata da una strategia della speranza... Si scommetteva su tutto: sulla morte del papa e sull’elezione del nuovo pontefice, sul sesso dei nascituri...».
«Giochi proibiti. Il mondo dei giocatori e delle giocatrici d’azzardo a Napoli tra Settecento e Belle Epoque» è il libro che ci inserisce in questo mondo, abitato, secondo le Constitutiones di Federico II, da «infami che, senz’altra occupazione, quotidianamente, nelle taverne giocavano la loro vita ai dadi».
Esisteva comunque un gioco legale sotto gli Angioini, abolito successivamente da Alfonso I d’Aragona nel 1476; i giochi proibiti però continuarono ad essere praticati, tanto che fu necessaria una proibizione ufficiale «in luoghi come il Corpo di Guardia dei soldati, l’Infanteria spagnola e le case dei loro capitani».
Dal Settecento, il gioco diventa fonte di guadagno per l’erario pubblico: alle carte e ai dadi, oltre che al lotto, si aggiungono nuovi giochi, come la bassetta, il biribissi, il faraone, ma la conseguenza peggiore è «la rovina economica e l’annientamento spirituale di molti giovani di buona famiglia» tanto che il re Carlo di Borbone, arrivato a Napoli, sentito il parere di illustri pensatori, cercò di «delineare i confini tra lecito e illecito»; con l’Unità d’Italia, si riaffermarono i divieti, relativi soprattutto ai giochi d’azzardo «nei quali si attribuisce grande rilievo agli elementi della fortuna e della casualità rispetto all’abilità, e che sono praticati a scopo d lucro».
In seguito a un’analisi accurata, si prendono in considerazione i giochi che si sviluppano in Europa e anche il contrasto fra gioco d’azzardo e Stato biscazziere: nei luoghi termali nascono i casinò, che ancora attraggono i giocatori, anche in Italia dove ne sono rimasti quattro, a Venezia, a Sanremo, a Saint Vincent e a Campione d’Italia.
Questo gioco d’azzardo è considerato il gioco dei ricchi; ai poveri, rimangono il lotto e le lotterie, «oppio della miseria» secondo Balzac.
Pelizzari analizza per genere chi gioca: a Napoli, tra il 1870 e il 1887 subirono processi per gioco d’azzardo 131 uomini e 53 donne; tra il 1901 e il 1917, 192 uomini e 92 donne, puniti e punite con condanne al carcere e sanzioni economiche.
Il gioco comunque attirava, la speranza di vincere era forte, molti giocatori finivano col perdere ogni loro avere, le lettere di denuncia pervenivano a prefetti e questori ed erano scritte da mogli e madri per mettere un freno al vizio di mariti e padri che riducevano in miseria le loro famiglie.
Per concludere, passo a un genere completamente diverso e mi affido ad un autore speciale, il professore-filosofo-sacerdote, don Marcello Farina, che ha scritto «Cantami qualcosa pari alla vita» prendendo a prestito per il titolo i versi di Mario Luzi che «affida alla parola (in particolare alla parola poetica) il compito di volare alto e la esorta, contemporaneamente, a crescere in profondità».
Farina sceglie ventuno parole, inizia con desiderio, continua con parole, gratitudine, «virtù profonda… virtù provata dalle difficoltà e dall’oscurità dell’esistenza, è la capacità, sempre da ritrovare, di vedere che il bene è più resistente e più consistente del male» e chiude il breve capitolo citando il teologo tedesco Bonhoeffer:
«Per colui che è grato / ogni cosa diventa un dono / poiché sa che per lui / non esiste assolutamente un bene meritato. / La gratitudine rende la vita veramente ricca…»
E dopo la gratitudine, è la volta della bellezza, quella che per Dostoevskij salverà il mondo, poi seguono la felicità, la serenità che «non nasce all’improvviso…, essa appartiene a quell’arte di vivere che chiede consapevolezza, esercizio di mediazione, che si alimenta anche di silenzio e di contemplazione… Epicuro la chiamava atarassìa…il grande mistico medievale, Meister Eckhart, la chiamava rilassamento…», la semplicità che «suppone l’accettazione della complessità… non è un punto di partenza, ma di arrivo di un cammino che va mantenuto aperto… è quiete contro l’inquietudine, leggerezza contro gravità, spontaneità contro riflessione estenuante…».
E quanto alla gratuità, don Marcello si chiede: «Siamo poi così sicuri che il rito faticoso dei regali sia nel segno della gratuità...? Gratuità è lasciare il tempo che ci è dato a disposizione dell’altro…».
Ricorda Calvino a proposito della leggerezza, «non superficialità… ma non avere macigni sul cuore», e aggiunge: «La leggerezza è medicina, balsamo, ristoro per il corpo e per lo spirito, perfino sogno, preghiera, l’oltre cui si può tendere…».
Le parole sono tante, tutte significative, sulle quali riflettere, meditare: pazienza, umiltà, ascolto, ospitalità (e qui ritorna il pensiero a Calvino e alle sue «Città invisibili»), perdere, sofferenza, noia (con riferimenti a Vasco Rossi e a Blaise Pascal, a Bernanos e a Pessoa),testimone, spiritualità, rinascere (come non pensare a Rainer Maria Rilke e alla sua Lettera a un giovane poeta?
«Nasciamo per così dire, provvisoriamente da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno, più definitivamente».
Leopardi, la sua indimenticabile Ginestra, l’avvento delle magnifiche sorti e progressive, la fiducia, la curiosità, il benessere fanno pensare ad abilità, a quel progresso che secondo David Maria Turoldo «non è quando scienza / accresce la tua dipendenza dalle cose:/ progresso è solo quando spezzi / la tua schiavitù».
E per concludere, l’ultima parola che ci suggerisce don Farina è incanto: «l’incanto non è evasione, non è perdita di tempo, non è esperienza di privilegiati che se lo possono permettere. È l’inizio di un mondo diverso che deve prima abitare negli occhi, perché, se ti incanti davanti a un volto, non ti succederà di sfigurarlo; se ti incanti davanti a un’anima, non ti succederà di occuparla; se ti incanti davanti a una terra, non ti succederà di sfruttarla».
Con gli occhi e il cuore colmi di parole, penso che non ci sia nulla di più bello della lettura!
Francesca Mussoi, Vita di Penna, illustrazioni di Elisabetta Dal Pont, prefazione di Marco D’Incà, pp 48, Infinitoedizioni 2021, € 7,90.
Paolo Pardini, Ombre russe, postfazione di Paolo Ghezzi, pp 271, Del Faro ed.2023, € 15,00
Maria Rosaria Pelizzari, Giochi proibiti – Il mondo dei giocatori e delle giocatrici d’azzardo a Napoli tra Settecento e Belle Epoque, Franco Angeli ed 2022, pp 174, € 24,00
Marcello Farina, Cantami qualcosa pari alla vita, ViTrenD 2022, pp 112, € 16,00.