Storie di donne, letteratura di genere/ 35 – Di Luciana Grillo

Helene Floss, «Anni secchi» – È un romanzo breve, intenso e coinvolgente scritto da un’autrice nata a Bressanone

Titolo: Anni secchi
Autrice: Flöss Helene 
 
Traduttore: Festi C.
Editore: Alpha & Beta 2011 (collana Travenbooks) 
 
Pagine: 83, rilegato
Prezzo di copertina: € 10

Giovani donne che soffrono di disturbi alimentari sono spesso al centro di racconti e romanzi. E storie di questo genere ormai sono purtroppo abbastanza comuni.
«Anni secchi» è un romanzo breve, intenso e coinvolgente, originale nella scansione dei tempi, stringato nell’esposizione della vicenda, diverso da tanti altri che percorrono una storia dolorosa, ma forse non hanno la stessa forza narrativa.
L’autrice è nata a Bressanone, vive in Austria, parla indifferentemente in tedesco e italiano, scrive e traduce.
Questo romanzo breve è la sua prima opera, tradotta in italiano da una docente dell’Università di Innsbruck che ha scelto proprio questo testo da tradurre per i suoi studenti.
La protagonista, Dali, parla in italiano, ma pensa in tedesco, vive in Alto Adige ma d’estate lavora come ragazza alla pari presso una famiglia piemontese ricca e raffinata.
Con loro trascorre le vacanze in Liguria, e pensa che «al mattino la prima cosa è guardare il mare...» ma la seconda è fare i conti, nel senso di calcolare le calorie da bruciare, l’attività fisica più adatta allo scopo, la cintura del jeans da stringere di un buco, il peso che deve scendere, perché Dali vuole conquistare «un peso da uccellino».
Così, la ragazza alla pari trascorre i suoi giorni lavorando senza interruzioni, eliminando con caparbietà fino all’ultimo granello di polvere.
Il suo pensiero è costantemente rivolto alla bilancia - che bacia quando il risultato le piace, - all’anguria che «basta per tutta la giornata», alle lunghe camminate che la sfiancano tanto che «la sera le bruciano i piedi per l’asfalto rovente», al cibo che dovrà fingere di aver mangiato, al suo ragazzo - David - che rivede a Vipiteno, alla piscina  fredda di Bressanone, dove si immergerà per fare le sue sessanta vasche.
 
E così passano l’autunno e l’inverno: Dali studia e vive presso una signora che l’invita anche a prendere il caffè, ostinatamente rifiutato da lei.
L’ossessione per il peso da raggiungere e il cibo da evitare, naturalmente, la isola dalle compagne di scuola: Dali vorrebbe andare con loro a fare uno spuntino, ha i crampi allo stomaco, ma «non può mangiare le caldarroste, non può mangiare le noci, i salamini affumicati, le schiacciatine di segale... Cosa darebbe per stare in compagnia...»
È attenta, Dali, a rispondere sempre prontamente che ha già mangiato, a inventare impegni…sceglie ogni giorno le stesse pietanze, sempre magre e prive di condimenti.
David va all’università, a Padova, si sente solo, si preoccupa per lei che ha tanto freddo, che si copre con strati di maglioni ingombranti, che quando va dalla madre affronta «una prova di forza» per resistere.
E si vergogna persino di lei, che digiuna e che sembra ammalata.
Dali ha nostalgia del suo papà, che è morto quando era poco più che una bambina: «Come hai potuto fare questo alla tua piccola?» e precipita nel baratro dell’anoressia, sembra uno spaventapasseri, «i fianchi, due palette. Lembi di pelle penzolanti al posto delle natiche...».
 
La storia procede, nel tradurre il testo avviene una sorta di compensazione, nel senso che alcune espressioni rimangono in tedesco.
Ma la lettura non si interrompe, anche se non si conosce il tedesco. La narrazione è esemplare per chiarezza, scarna fino all’inverosimile (si può dire: anche la narrazione è anoressica?), efficace in modo incredibile: l’anoressia è entrata nelle pagine, consuma la parola scritta.
Le vicende si susseguono, Dali e David vivono insieme, aspettano un bimbo, ma lei già ha deciso che «al più tardi a febbraio riprenderà a digiunare».
Le cose non vanno bene, il piccolo Daniel vive solo tre giorni, Dali ricomincia a contare: se porta a casa la borsa della spesa, 180 calorie; 20 biscotti divisi in due, 40 pezzi a un’ora di distanza fra l’uno e l’altro...fin quando, finalmente, accetta di curarsi, senza «voltarsi indietro».
Dunque, un lieto fine per Anni secchi, ma una straordinaria tensione che, quando si giunge all’ultima pagina, vorrebbe sciogliersi in un pianto liberatore.
Certamente, un testo così è talmente forte da dissuadere lettrici e lettori dal percorrere il calvario di Dali.
 
Luciana Grillo
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