Undici bambini operati a luglio da undici novelli chirurghi africani
Una storia vera raccontata da Marco Pontoni in un documentario al «Souls - Insieme per lo Zimbawe»
È una storia semplice ma densa di
emozioni, speranze e promesse, quella raccontata nel documentario
«All Souls - Insieme per lo Zimbabwe» realizzato dall'Ufficio
stampa della Provincia autonoma di Trento per conto
dell'assessorato alla Solidarietà internazionale e presentato a
Rovereto in un partecipato incontro al quale hanno preso parte gli
assessori Lia Giovanazzi Beltrami e Ugo Rossi.
Il documentario, firmato dal giornalista Marco Pontoni e dal
cameraman Federico Danesi, racconta l'esperienza dei medici
trentini Michele Conti e Carlo Spagnolli che hanno realizzato un
tirocinio intensivo per insegnare tecniche operatorie a medici del
posto.
In particolare il dottor Conti ha assistito i colleghi chirurghi
zimbaweani che hanno operato piccoli pazienti affetti da idrocefalo
infantile.
Il corso, che si è svolto lo scorso mese di luglio presso il «Luisa
Guidotti Hospital» a Mutoko, è stato organizzato da Carlo Spagnolli
in collaborazione con l'assessorato provinciale alla solidarietà e
alla convivenza e con l'associazione Life Line di Pozza di
Fassa.
Una serata ricca di emozioni, sia per l'eloquenza delle immagini
proiettate, le testimonianze delle giovani mamme africane, grate
agli amici trentini per aver contribuito a salvare i loro figli, ma
anche per i moltissimi spunti emersi dai successivi interventi.
E così l'assessore Lia Giovanazzi Beltrami ha spiegato della
necessità di lavorare in rete, di non cadere nelle trappole
dell'assistenzialismo neocoloniale, della convinzione che non
occorrono poi tanti soldi per realizzare qualcosa di veramente
utile.
Il collega di giunta Ugo Rossi ha invece rinnovato l'impegno
dell'assessorato e dell'Azienda sanitaria per seguire con
attenzione esperienze come questa che ci fanno crescere perché «ci
ricordano che al centro del nostro agire deve esserci sempre la
persona».
In Zimbabwe, paese che dispone di soli tre specialisti
neurochirurghi, tutti impegnati nella capitale, aver reso autonomi
ben dieci ospedali distribuiti su tutto il territorio nazionale per
quanto riguarda la cura dell'idrocefalo significa restituire salute
e speranza a migliaia di bambini.
Una volta fornite al personale medico e infermieristico locale le
competenze necessarie per operare il più è fatto: la Provincia,
assieme alle associazioni trentine che sostengono l'operato di
Carlo Spagnolli in Africa, come l'associazione Bazzoni Spagnolli
Onlus e Lifeline Dolomites, continuerà a dare comunque il suo
appoggio, sia per la fornitura degli strumenti necessari per
realizzare l'operazione (il catetere necessario per il drenaggio
del liquido cerebrale che si accumula nella testa dei bambini,
acquistato a basso costo in India, con un enorme risparmio rispetto
ad una fornitura dall'Europa), sia adottando alcuni medici
locali (due al momento, quelli operativi al Luisa Guidotti), che
operano in presidi sanitari lontani dalla capitale Harare.
Così facendo si vuole contrastare la tendenza dei più
bravi a lasciare gli ospedali rurali per andare nei centri
urbani o addirittura all'estero, dove possono guadagnare di più,
anche esercitando privatamente.
L'ospedale Luisa Guidotti di Mutoko, nello Zimbabwe orientale, è
uno di questi.
Nato negli anni '60 per iniziativa della Diocesi locale, nel cuore
di un distretto rurale di circa un milione di abitanti, conta circa
200 posti letto, ma arriva ad ospitare normalmente fino a 280
pazienti.
Tre i medici fissi, e numerose infermiere, alcune delle quali
sieropositive: venendo a lavorare a Mutoko, oltre ad accedere alle
cure antiretrovirali, hanno acquisito dignità e consapevolezza
della propria malattia.
Al Luisa Guidotti opera Carlo Spagnolli, arrivato qui con la
famiglia nel 1986, dopo altre esperienze in Africa, soprattutto in
Uganda (dove ha vissuto anche nei periodi più bui, quelli
delle dittature di Idi Amin e Milton Obote).
Il Luisa Guidotti in realtà è più di un semplice ospedale: è una
sorta di villaggio, con un ostello per ospitare i medici che
frequentano i vari corsi di formazione, la scuola-convitto per il
corso triennale per infermiere, e ancora, gli alloggi per il
personale, gli orti e gli animali per garantire al tutto una almeno
parziale autosufficienza, e così via.
In Zimbabwe, come in molti altri paesi poveri, dove la fiscalità
non arriva a coprire le spese sostenute dal governo per
l'assistenza sanitaria, i pazienti devono contribuire ai costi
degli interventi e della degenza.
Anche gli ospedali missionari come quello di Mutoko chiedono un
contributo a chi può permetterselo, ma comunque garantiscono
assistenza sanitaria a tutti.
Il costo vivo della cura, anche quando è coperto dalle
donazioni dall'estero, di associazioni e enti pubblici, non
esaurisce però tutti i problemi.
Un paese come lo Zimbabwe sconta infatti grandi carenze
infrastrutturali, scarsità di personale specializzato e in generale
standard igienico-sanitari estremamente bassi.
Formare del personale specializzato, o con stage all'estero - come
la Provincia autonoma di Trento e l'Azienda sanitaria hanno
iniziato a fare - o direttamente in loco, è dunque
fondamentale.
Il corso organizzato a Mutoko rientra in questa più vasta
strategia: l'obiettivo era formare dei medici locali di chirurgia
generale, provenienti da una decina di ospedali sparsi in tutto il
Paese, al fine di curare una patologia diffusissima, l'idrocefalo,
che affligge i bambini alla nascita.
Parliamo di quei bambini che, detto volgarmente, nascono con la
testa gonfia d'acqua.
Il problema è determinato da infezioni contratte durante la
gravidanza, nel periodo perinatale o dopo la nascita, che
compromettono in maniera irreversibile la capacità del corpo di
assorbire il liquido cerebrale prodotto normalmente, per tutta la
vita, e che assicura un involucro protettivo e di sostegno al
sistema nervoso.
Se ciò si verifica, si crea un accumulo di liquido nel cervello
che, comprimendo le strutture nervose, può determinare dei danni
cerebrali molto gravi o condurre addirittura alla morte del
paziente.
In realtà l'intervento da eseguire (quello che il dottor Conti ha
insegnato ai medici dello Zimbabwe) è relativamente semplice: si
tratta di introdurre un catetere - una derivazione
ventricolo-peritoneale - per drenare il liquido cerebrale dalla
testa alla cavità addominale, dove sarà riassorbito nel
peritoneo.
Questa derivazione, munita di apposita valvola - una volta inserita
sottopelle - dovrà essere portata dal paziente tutta la
vita; per questo è fondamentale non tanto che dei medici europei si
rechino sul posto per realizzare l'intervento ma formare personale
medico e paramedico locale, in modo tale che, oltre ad eseguire
l'operazione, sia anche in grado di ripeterla sul paziente in caso
di malfunzionamenti.
Insomma, questa è la famosa sostenibilità di cui spesso si
parla a proposito dei progetti di solidarietà internazionale:
tradotto in altri termini, e per utilizzare un'immagine molto
comune in Africa, si tratta non tanto di dare il pesce a chi ha
fame ma di insegnargli a pescare.
Un altro aspetto essenziale della sostenibilità è quello di natura
economica: per questo è stato deciso di acquistare gli shunt -
ovvero le valvole - da un fornitore indiano, ad un costo,
37 dollari, enormemente più basso rispetto a quello del mercato
europeo, dove il tutto può arrivare a costare fino a 1.500 dollari,
un prezzo improponibile per un ospedale dello Zimbabwe.
Inutile dire che medici e infermieri hanno partecipato al corso
organizzato a Mutoko con grande entusiasmo.
«Dopo una prima introduzione teorica - spiega Conti - abbiamo
iniziato subito ad operare sui pazienti. La tecnica in realtà è
semplice, e in pochi giorni i medici locali se ne sono
perfettamente impadroniti. Grazie ad essi adesso in dieci ospedali
dello Zimbabwe si potranno curare i bambini idrocefali. Fino ad
oggi a praticare l'intervento erano i soli tre neurochirurghi di
cui dispone lo Zimbabwe, tutti concentrati nella capitale.»