La «mia» Via de la Plata (6ª puntata) – Di Elena Casagrande
Dal Passo di Béjar entriamo in Castilla y León, con le sue pianure infinite, popolate da mucche e tori. Ci attende il Pico de la Dueña con la speranza di un clima migliore
La strada centrale di Calzada de Béjar.
(Puntate precedenti)
È ancora buio quando lasciamo l’hostal Asturias. In breve – ci dicono – ritroveremo il cammino. Macché: finiamo addirittura in autostrada! È pericoloso, qui corrono troppo.
Trovato un varco nella recinzione (evidentemente fatto da un altro pellegrino) ne usciamo e, finalmente, arriviamo ad Aldeanueva del Camino.
È nota per il suo quartiere ebraico ed il celebre ponticello a schiena d’asino, lungo la sua strada principale che è la Via romana de la Plata.
Dopo la colazione alla churreria, proseguiamo per Baños de Montemayor, un centro termale con hotel liberty e lunghe file di peperoni rossi alle finestre delle case.
Lo raggiungiamo nel primissimo pomeriggio. Sulla strada di ingresso al paese ci accosta un’automobile rossa: è l’hospitalero cui abbiamo telefonato ieri per chiedergli ospitalità.
Ci offre dell’acqua ed un passaggio: ringraziamo, ma gli diciamo che va tutto bene e che vogliamo finire la tappa a piedi.
Ci aspetterà al rifugio, che è anche un museo (che qui si chiama centro de interpretación) sulla Via de la Plata.
Lì proiettano un cortometraggio sulla Plata. Paolo ed io, alla fine del filmino, ci guardiamo commossi e ci diciamo in contemporanea: «Ma davvero la stiamo facendo anche noi?»
Ceniamo al rifugio, tutti insieme, dopo il pranzo a La Peña e dopo un descanso (riposino) alla piscina naturale termale di Baños e la S.Messa: l’indomani ci attende il Puerto (passo) de Bejár da cui entreremo in Castiglia.
La chiesa di Baños de Montemayor.
Sulla strada romana, nel bosco, lasciamo l’Extremadura ed entriamo in Castiglia
Al Passo arriviamo, dopo una dura salita nel bosco, che è ancora buio. Fotografiamo il confine tra Extremadura e Castilla y León e poi proseguiamo, tra castagni centenari pieni di ricci verdi, verso Calzada de Bejár.
Lì, all’albergo dei pellegrini, proprio sul cammino, che i lugareños (abitanti del luogo) ci mostrano orgogliosi, ci offrono del caffè.
Mi fanno i complimenti perché non ho la guida italiana, ma quella gialla, tedesca, che vedono nello zaino. Sono molto offesi, perché la nostra guida riporta di un albergue de peregrinos in cui si dorme a terra e senza docce, mentre non è così.
Si prosegue, attraversando il paesino con case in pietra e balconi di legno intagliato. Oramai siamo in provincia di Salamanca ed il paesaggio si apre. Si vedono le piane di Castiglia, gialle e punteggiate di querce.
Il paesino di Valverde de Valdelacasa è deserto e l’unico bar è chiuso, ma ci raggiunge inaspettatamente un
tale, il sindaco (el alcalde), che ci apre la Chiesa di Santiago, per farcela visitare. Davanti ha una suggestiva croce di granito. Vicino c’è un abbeveratoio molto grande, ricorda quelli della regione francese dell’Aubrac.
Passa una mandria e vedo il mio primo toro a meno di un metro: ha dei muscoli potenti e definiti sulle spalle e un’andatura lenta e calma. Da quel momento so individuare un toro.
Mosaico della Plata di Aldeanueva del Camino.
L’incontro con Don Blas di Fuenterroble e la sua passione per i pellegrinaggi
Dopo il pranzo al Centro sociale di Valdelacasa si riparte ed arriviamo a Fuenterroble de Salvatierra nel tardo pomeriggio. C’è un hospitalero olandese che è rigido e non ci fa entrare nel rifugio. Dice che deve ancora finire le pulizie?!? Dopo un po’ ci dà 4 letti (ma non nelle stanze dipinte, dove alloggiano dei giovani
per uno scambio culturale) in quella che sembra una rimessa. C’è puzza di benzina. In serata, finalmente,
arriva Don Blas Rodriguez (un altro personaggio di questo cammino), che è appena tornato da uno dei suoi
pellegrinaggi con trattore e carro, in cui ha portato in giro per la Spagna la statua di Santiago.
Ci fa visitare la sua Chiesa di Santa Maria La Blanca che è quasi notte, con tutte le stupefacenti sculture di
legno chiaro con cui ha riempito la Chiesa.
Si narra che abbia ristrutturato le pietre di questa chiesa toreando nella fiesta di paese e guadagnando, così, le offerte necessarie.
È una persona che trascina, piena di energia. Ci mostra il punto in cui, all’equinozio di primavera, la luce entra in chiesa e, orgoglioso, ci fa vedere anche lo scavo esterno di un tratto di Via de la Plata, con tanto di sezione, per spiegare la tecnica costruttiva romana per le strade dell’Impero. L’atmosfera è di quelle rare e preziose.
Le statue della Chiesa di Fuenterroble.
Un toro fotografato con il «flash» da Enrico ci carica: quanta paura!
L’indomani si parte un’ora e mezza buona prima dell’alba. Siamo diretti al Pico de la Dueña, dove don Blas e gli amici del cammino hanno posto una croce di ferro come simbolo di questo pellegrinaggio. Sono 21 km nel nulla stupefacente delle pianure castigliane: un enorme sentiero delimitato a destra e sinistra dai fili spinati, col bestiame (ganado) lasciato libero (suelto).
«Ci sono tante vacche nere e tori», – dico ai miei compagni!
Enrico mi risponde, in dialetto trentino: «Elena, no i è tori, le è vache» (non sono tori, sono vacche) e, dopo un po’, decide di scattare una bella foto, con la sua macchina tradizionale e col flash, che si aziona in automatico.
Ecco che, neanche il tempo di scattare, il toro sbuffa, punta lo zoccolo anteriore destro a terra, solleva una nuvoletta di polvere (modello cartone animato!) e ci carica con tutta la forza di cui è capace un animale di almeno 500 kg di peso.
Per fortuna, a meno di un metro da noi…d’improvviso… si ferma.
Paolo ed io, nel frattempo - non so come – riusciamo a scavalcare il filo spinato e finiamo nel campo accanto… con le mani sugli occhi per non vedere lo scempio che, siamo certi, stanno per subire il nostro amico e Luigina. Ma, per fortuna, il toro (capito Enry? Il toro!) si è fermato.
Siamo pietrificati: ci sono mucche e tori sia a destra che a sinistra. Come continuare con un pericolo del genere?
Enrico chiama Don Blas che lo rassicura: «Il toro vuole solo le vostre merendine (?) nello zaino, voi camminate tranquilli, sempre diritto!»
Bah… Merendine zero. Fame molta. Nulla nel cammino. Ieri sera cena a base di scatolette di piselli, senza nemmeno un pezzo di pane, all’unico bar/tienda del paese (baretto con rivendita di alimentari).
Le immense pianure di Castiglia.
Alla croce santiaghista del Pico de la Dueña, tra pale eoliche e fame
Bisogna arrivare al Pico, con la sua croce e poi scendere verso il nostro fine tappa. Finalmente si vede un ometto di pietra con una bella freccia gialla e concha dipinte e dietro la croce di Santiago. Facciamo una pausa nel parco eolico del Pico. Enrico ci offre dei mini-würstel crudi, che ci sembrano la cosa più buona al mondo.
Alla finca vicino all’Arroyo de los Mendigos dei contadini, dopo averci visto arrivare, subito ci portano dell’acqua fresca: Dio li benedica.
In un’oretta e mezzo di marcia tra querce e prati arsi dal sole siamo a San Pedro de Rozados, dove, al bar, i gestori ci dicono che hanno aperto un albergue privato (Il Miliario). Ci prepareranno la cena a base di insalata mista ed agnello arrosto. Accettiamo sia il pernotto, che la cena.
Io e Luigina abbiamo una stanza carina tutta per noi, in tipico stile castigliano. C’è anche un caminetto, per le giornate invernali.
Luigina, dopo cena, vuole rifare lo zaino. Mi lamento un po’ perché è tardi e lei non sembra voler finire più.
Apre e richiude mille sacchetti e buste di plastica rumorose…ed il tempo passa. Le do ancora un minuto. Fatto! Finalmente si può dormire: lenzuola candide e letto comodo.
Domani saremo a Salamanca. E, forse, sarà meno caldo.
Elena Casagrande
(La settima puntata de «La Via de la Plata» sarà pubblicata mercoledì 11 maggio)
Ometto e Croce di Santiago al Pico.