NATO: Gli Stati Uniti tra disimpegno e riposizionamento

A 65 anni dalla sua nascita, «il legame transatlantico è un filo sempre più sottile»: l’Europa deve trasformare la propria «Force de Frappe» in «Task Force»

Sembra dunque che un po' alla volta gli USA tendano a occuparsi sempre meno dei problemi europei.
Il che è un dato positivo, dato che è ora e tempo che l'Europa - dopo aver scatenato i conflitti più spaventosi della storia - ha deciso di seppellire l'ascia di guerra, lasciando in tutta comodità agli americani il ruolo di nume tutelare armato.
In altre parole, è giunto il momento di trasformare la propria «Force de Frappe» (forza di persuasione) in «Task Force» (forza operativa di pronto intervento).

Il declino o l’irrilevanza della NATO sono stati predetti molte volte durante i suoi 65 anni di storia, e non si sono mai avverati.
Ciò non è tuttavia un motivo sufficiente per escludere il rischio che l’Alleanza sia destinata a indebolirsi, quasi fino alla rottura del legame transatlantico che ha finora garantito la sicurezza dell’Europa, e quindi dell’Italia.
Il rischio è reale alla luce di almeno tre fattori principali.
In primo luogo, la riduzione dei bilanci della difesa dei Paesi europei li rende non solo meno in grado di intervenire militarmente in caso di crisi, come quelle in corso in Africa e Medio Oriente, ma anche meno importanti per l’amministrazione americana: è normale che Washington si chieda sempre più spesso perché continuare a investire, militarmente e politicamente, in un’alleanza militare con partner che sono sempre meno in grado di contribuire efficacemente a operazioni congiunte.
In secondo luogo, gli Stati Uniti sono sempre meno interessati ad intervenire nelle crisi in corso nel vicinato dell’Europa, proprio in una fase in cui esse si moltiplicano, dal Sahel alla Siria all’Ucraina, indebolendo così il legame transatlantico in materia di sicurezza.
In terzo luogo, il sistema internazionale appare sempre meno favorevole alla proiezione esterna dell’Occidente, con potenze regionali economicamente sempre più forti e culturalmente distanti dai valori occidentali, mentre la governance globale continua a mostrarsi debole e inefficace.
Tale contesto mette a dura prova la capacità transatlantica di fare fronte comune e incidere sulle questioni di sicurezza dell’agenda internazionale.
 
L’Italia ha molto da perdere da una rottura del legame transatlantico in materia di sicurezza.
Non essendo una grande potenza in grado da sola di intervenire per risolvere gravi crisi nel suo vicinato (con la rilevante eccezione dell’operazione in Albania nel 1997) ha contato sulla NATO per incanalare la propria azione di politica estera e di difesa in una cornice multilaterale e renderla quindi più efficace, come avvenuto in Bosnia Erzegovina, Macedonia e Kosovo negli anni Novanta.
Allo stesso tempo, la presenza di un forum di coordinamento transatlantico ha permesso all’Italia di influire in una certa misura sulla politica estera e di difesa altrui per proteggere i propri interessi nazionali, come nel 2011 quando si è riusciti a spostare il comando delle operazioni in Libia da una coalizione ad hoc al comando militare integrato NATO nel quale anche il rappresentante italiano ha avuto un ruolo al tavolo decisionale – ad esempio nella scelta degli obiettivi da bombardare, scelta
cruciale vista la presenza di impianti ENI in Libia.
 
L’indebolimento o il venire meno di questa cornice multilaterale, stante l’assenza di un sostituto europeo, si risolve in una situazione di «libera tutti» per cui altri Paesi europei intervengono unilateralmente, come nelle prime fasi delle operazioni in Libia nel 2011 o in Mali, senza coordinamento con l’Italia, e quindi senza tenere in considerazione gli interessi nazionali italiani, che potrebbero venire danneggiati dalla stessa azione degli alleati europei.
 
La probabilità che il rischio si realizzi è media.
Da un lato infatti i suddetti fattori ne fanno un rischio reale, non remoto. Dall’altro lato vi sono almeno due elementi che non lo rendono un rischio altamente probabile.
Il primo è la comunanza di valori ed interessi tra gli alleati sulle due sponde dell’Atlantico: come dimostrato dalle votazioni in sede ONU e dalla composizione delle principali missioni internazionali guidate dagli Stati Uniti negli ultimi 25 anni, è molto difficile per Washington trovare in altre regioni del mondo alleati migliori degli europei.
Il secondo elemento è il carattere non-permanente dell’attuale tendenza americana al non intervento nelle crisi nel vicinato dell’Europa: la fatica dovuta agli interventi massicci in Iraq e Afghanistan può essere smaltita nel corso di pochi anni, stante gli investimenti statunitensi nella difesa, e gli interessi globali degli Stati Uniti comunque costituiscono un vincolo forte a non abbandonare a loro stesse regioni come il Medio Oriente.
 
Date le cause profonde del rischio, l’azione italiana per prevenirlo non può che essere di medio-lungo periodo. In primo luogo, si tratta di favorire la crescita economica in Italia, riequilibrando i conti pubblici senza continuare con i tagli che hanno ridotto negli ultimi anni il bilancio della difesa.
Senza uscire dal tunnel recessione-austerity, ci saranno sempre poche risorse e poca volontà di dedicarsi alla politica estera e di difesa.
Allo stesso tempo, le risorse destinate alla difesa vanno concentrate nel mantenimento delle capacità operative, tagliando gli uffici non essenziali. Venendo al piano strettamente esterno, tre azioni sembrano necessarie e possibili.
 
La prima è volta a migliorare la capacità europea di intervenire militarmente in caso di crisi, capacità da utilizzare quando necessario con o senza gli Stati Uniti, attraverso una maggiore cooperazione, specializzazione ed in prospettiva integrazione degli strumenti militari nazionali.
Questa azione necessita, sul piano politico-diplomatico, una riflessione ed un accordo all’interno dell’Ue su quali siano le priorità europee ed il modus operandi in caso di crisi, perché senza un accordo politico strategico nessun meccanismo di cooperazione militare da solo è sufficiente.
Essere maggiormente in grado di contribuire alla sicurezza collettiva, a livello sia politico che militare, è il miglior – se non l’unico – modo per gli europei non solo di proteggere i propri interessi vitali, ma anche di essere un alleato importante degli Stati Uniti in fatto di politica estera e di difesa e quindi di poterne condividere, e in una certa misura influenzare, strategie e risultati.
In ciò consiste il mantenimento di un legame transatlantico di sicurezza che continui a giovare agli interessi nazionali dell’Italia.
  
A.M. e I.S