Scoperto come il nostro cervello riconosce gli odori

Lo studio, pubblicato su Nature, è condotto dall’Istituto Italiano di Tecnologia a Rovereto e dall’Università di Harvard a Boston

Una ricerca italo-americana condotta dai ricercatori del Centro dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) a Rovereto e dell’Università di Harvard a Boston (Usa) spiega per la prima volta i meccanismi che utilizza il cervello per riconoscere gli odori.
Lo studio, pubblicato su Nature, getta una nuova luce sui processi cerebrali coinvolti nella continua elaborazione delle informazioni che ci arrivano dai nostri sensi, in particolare dall’olfatto.
Inoltre, grazie a questo risultato, in futuro i ricercatori potranno pensare alla realizzazione di un olfatto artificiale da trasferire sui robot e altre macchine intelligenti.
Se parliamo di vista o udito, gli scienziati conoscono abbastanza bene i meccanismi che ci portano a distinguere due colori oppure due note.
 
Questa conoscenza si traduce in teorie relativamente consolidate: sappiamo quale lunghezza d’onda deve emettere un neon per apparirci di colore rosso e quale frequenza deve produrre una tastiera elettronica per farci sentire un sol.
Lo stesso non vale per gli odori: non siamo in grado di dire che odore ha una molecola semplicemente guardando la sua struttura chimica. 
Immaginate che al ristorante vi portino un sorbetto con un piacevole profumo di agrumi. Se foste uno chef potreste usare le informazioni olfattive che il vostro naso vi dà per capire se è stato usato il limone oppure il lime, frutti che emanano molecole odorose percettivamente simili, ma chimicamente diverse.
Se non siete interessati alla ricetta noterete semplicemente che si tratta di un sorbetto agli agrumi anziché di uno al caffè, ossia scarterete le piccole differenze chimiche tra gli odori di limone e lime per generalizzare usando la categoria unica di agrume.
 
Trovare la maniera migliore per scegliere flessibilmente tra discriminazione e generalizzazione olfattive a seconda della nostra esperienza e dei nostri scopi non è semplice e, fino ad oggi gli scienziati non conoscevano il codice usato dal cervello per percepire un odore. 
Il nuovo studio risponde per la prima volta a questa domanda. Il team di scienziati italo-americano, coordinato da Bob Datta della Harvard Medical School di Boston, ha identificato i trucchi che usa il cervello per discriminare e generalizzare tra molecole odorose che hanno strutture chimiche con vari gradi di similarità.
Il team di scienziati autore della scoperta comprende due gruppi di ricerca italiani del Centro di Neuroscienze e Sistemi Cognitivi dell’IIT di Rovereto, il team di Giuliano Iurilli, rientrato in Italia grazie alla Fondazione Armenise Harvard e quello di Stefano Panzeri, coordinatore del Centro.
 
Giuliano Iurilli (foto), uno degli ideatori della ricerca, è stato lo scienziato che ha fatto da ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Dopo un dottorato in Neuroscienze e Robotica all’IIT, si è spostato ad Harvard nel 2012 dove ha iniziato lo studio sui meccanismi cerebrali alla base della percezione degli odori e i loro effetti sui nostri comportamenti quotidiani.
Nel 2018 ha vinto il Career Development Award della Fondazione Armenise Harvard, finanziamento da un milione di dollari per 5 anni che promuove la ricerca di base in campo biomedico.
Grazie a questi fondi, Iurilli è tornato in Italia e ha dato il via al suo laboratorio di neurofisiologia all’IIT di Rovereto.
Portando con sé un pezzo fondamentale della ricerca fatta a Boston, e contribuendo a portarla a termine utilizzando il finanziamento Armenise Harvard.
 
«Abbiamo sviluppato metodi di analisi ad hoc – spiega Giuliano Iurilli – e abbiamo visto che inizialmente i neuroni sensoriali presenti nel naso catturano le molecole odorose e le analizzano quasi come fanno i cromatografi, macchine che descrivono precisamente le differenze chimiche tra molecole diverse.»
Tutta questa precisione riguarda però soltanto la prima porta per il riconoscimento degli odori, che è appunto il naso.
Quando le informazioni raccolte ed elaborate dal naso arrivano in una struttura più centrale del cervello chiamata corteccia olfattiva, ecco che invece qualcosa cambia.
In questa fase, le descrizioni degli odori cominciano a personalizzarsi e a non rispettare più le differenze chimiche.
 
È qui che entra in gioco la memoria. Le nuove somiglianze descritte nella corteccia olfattiva rispecchiano meno la chimica e più le precedenti esperienze del soggetto.
E così se per il nostro naso abbiamo di fronte, ad esempio, una molecola di etanolo e una di octene-3-ile acetato, per la nostra corteccia olfattiva abbiamo davanti semplicemente il profumo di una grappa alla genziana.
«Abbiamo scoperto che questo avviene perché le esperienze passate modificano il modo in cui i neuroni della corteccia olfattiva si scambiano le informazioni chimiche che hanno ricevuto dal naso, – conclude Giuliano Iurilli. – Ora possiamo cominciare a pensare concretamente a come costruire un cervello artificiale che faccia la stessa cosa in un robot.»
Le possibili ricadute della scoperta, infatti, potranno essere nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale, attraverso la realizzazione di un sistema olfattivo artificiale, ovvero di un sistema intelligente in grado di valutare la sicurezza di un ambiente o di riconoscere un oggetto valutando rapidamente le molecole volatili presenti proprio come nell’essere umano.

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