«I valori sono più forti del potere», Lech Walesa - 15/9/2010
La Lectio magistralis del premio Nobel per la pace 1983 L'ultimo appuntamento del suo viaggio in Trentino

Questa mattina, nella Sala Depero
della Provincia autonoma di Trento, Lech Walesa ha tenuto una
Lectio magistralis, ultima tappa della sua permanenza in
Trentino in cui ha potuto conoscere realtà caratteristiche e luoghi
un tempo visitati da papa Wojtyla.
Giovani, Europa, impegno politico, libertà.
Molti e importanti i temi toccati dal premio Nobel per la pace 1983
ed ex premier polacco dal 1990 al 1995, che si è rivolto ad
un'attenta platea composta anche da non pochi ragazze e
ragazzi.
Ha parlato per un'ora a braccio davanti a 200 persone, quasi
divertendosi di poter raccontare la sua esperienza.
La portante della sua lezione è l'Europa, tanto vero che
non sarebbe male proporlo per il prossimo «Premio De Gasperi -
Costruttori dell'Europa».
Nei suoi discorsi accalorati e convinti, Walesa non cessa mai di
ricordare che senza l'Europa la sua morbida rivoluzione sarebbe
stata un fallimento.
Non tanto per quanto possa aver fatto nell'appoggiare
Solidarnosc [la Comunità Europea ha il vizio di non
aiutare nessuno - NdR], ma perché l'Europa si sostituì al
mercato Sovietico, che rappresentava l'80% dell'intero prodotto
interno lordo.
La seconda forza che sorregge i discorsi di Walesa è la sua
condanna del comunismo.
Dura, inflessibile, senza appello.
E con qualche presunzione storica.
«I vostri comunisti non sono stati duri come i nostri, - ricorda
alla sua platea. - Il comunismo ha ucciso nel mondo qualcosa come
200 milioni di persone.»
Vi inserisce le vittime della Russia, che da sole comprendono la
metà della cifra mostruosa.
Ma vi inserisce anche Pol Pot, un bastardo che ha fatto uccidere
nel suo Lahos tutti quelli che riteneva filo-europei,
intesi come tali perché avevano studiato o magari solo perché
portavano gli occhiali.
Eppoi, i nostri comunisti non li conosce. O non conosce i caratteri
originari. Non sa che alla fine della Seconda guerra mondiale i
comunisti italiani hanno fatto il possibile per impedire
che i prigionieri italiani in Russia (80.000) venissero
rimpatriati, perché «avrebbero sputtanato l'idea del sogno
sovietico.
Non sa che dei nostri ragazzi in Russia ne sono tornati solo
10.000. Né che, grazie ai nostri comunisti, sono stati
rimpatriati nel corso di 12 (dodici) anni…
Però conosce i suoi comunisti, che paragona ai
«rapanelli»: rossi fuori, ma bianchi dentro.
È bastata la parola del Santo Padre «per convincerli a fare il
segno della croce».
Beati loro. Altre culture, altri mondi, altra fame. Altri tempi.
Altra Europa.
La terza portante del suo discorso è stata rivolta al Trentino.
«Dio non ha dato a tutti le stesse opportunità, - dice scherzando,
anche se non troppo. - Il vostro territorio è qualcosa che dovrebbe
appartenere a tutto il mondo. Non l'avevo mai visto e la maggior
parte della mia gente non lo vedrà mai… Fatene buon uso. Non sapete
quello che avete.»
In verità lo sappiamo, dato che l'Unesco ha riconosciuto le
Dolomiti come patrimonio dell'Umanità.
Quello che non sa è che la fame patita dai Trentini non era diversa
da quella dei Polacchi, anche se a guardarci adesso sembra
impossibile.
Ma il suo è stato un discorso davvero emozionante, e mi dispiace
che molti colleghi giornalisti non siano venuti ad ascoltarlo.
«Non mi piace Walesa.» - Mi ha detto un giornalista.
Piaccia o meno, comunque lo si voglia vedere, è uno dei testimoni
positivi della nostra era, quella che è riuscita a ricucire lo
strappo mortale e indelebile della prima metà del Novecento.
«Oggi desidero lasciare a voi qualcosa di me - ha detto alla sua
udienza - ma allo stesso tempo mi piacerebbe prendere qualcosa da
voi. La vostra saggezza, i vostri punti di vista.»
Il fondatore di Solidarnosc ha invitato fin dall'inizio il
pubblico a intervenire, a esprimersi, a dialogare. Ci teneva,
perché anche lui voleva arricchirsi dell'esperienza fatta in
Trentino.
Le domande alla fine della Lectio Magistrali non sono certo
mancate. Qualcuna fatta più per far sentire la propria domanda che
per ascoltare la sua risposta. O quesiti però che aveva già posto
lo stesso Walesa all'inizio dell'incontro.
«Ci sono tre domande - aveva detto - che io mi pongo oggi e
riguardano le basi sulle quali vogliamo costruire un'Europa Unita.
Mi chiedo, anzitutto, quale progetto economico vogliamo adottare. È
chiaro: il libero mercato rimarrà. Ma forse non nella forma
moderna, perché presenta grossi problemi di ingiustizia
sociale.»
Altra domanda che Lech Walesa pone a se stesso e al suo pubblico
riguarda il futuro. Quali sono le basi per costruirlo? Il premio
Nobel per la pace racconta che quando, nelle sue conferenze, pone
questo quesito la metà dei partecipati risponde di ritenere
sufficienti libertà, libero mercato e giustizia.
Ma non sembra essere questa la posizione di Walesa, che prosegue
così.
«Il 50% sostiene invece che è necessario basarsi su valori
condivisi. Ma i vari paesi hanno principi diversi, ecco allora che
è compito dei giovani costruire una tavola dei valori comuni,
perché ci vuole tempo per farli assimilare.»
Altra domanda, sulla questione della democrazia. Perché sempre più
affiorano nel mondo minoranze violente che non accettano di essere
messe da parte. E grandi maggioranze fatte da un gruppo ristretto
di uomini.
Su quali basi vogliamo costruire una democrazia globale? Come
potremo competere con le decisioni prese da Paesi molto più grandi
e popolosi dei nostri come Cina e India?
Ha lo sguardo rivolto verso il futuro Lech Walesa, ma non dimentica
certo il suo passato e la sua storia personale divenuta vicenda
collettiva.
Racconta così, anche a beneficio dei molti giovani presenti (noi
l'avevamo già pubblicato l'altro ieri - Vedi
intervista), la storia di una Polonia stretta
nella morsa di 200.000 soldati sovietici di stanza nei suoi
confini.
La vicenda di uno sparuto gruppo di uomini convinti contro ogni
previsione di poter cambiare la situazione con la non violenza.
E questo in un momento storico in cui tra i politici europei e tra
le gente comune dilagava la paura che un vero mutamento sarebbe
stato possibile solo attraverso una catastrofica guerra
nucleare.
Lech Walesa racconta dunque dell'elezione a Papa di un polacco che
avrebbe poi contribuito all'avvio di una rivoluzione inaspettata e
pacifica.
Da questa bella storia il fondatore di Solidarnosc trae un
insegnamento per tutti.
«Vorrei farvi notare - dice a concludere - che la forza, il denaro,
il potere sono importanti. Ma ben più importanti sono i valori
dello spirito.»