Boko Haram e Ansaru: le minacce alla stabilità della Nigeria

Perché l’Italia è direttamente interessata allo sviluppo della situazione – Di Marco Di Liddo

Nella notte tra il 14 e il 15 aprile scorso alcune milizie della setta salafita nigeriana Boko Haram (in lingua hausa: «l’educazione occidentale è peccato») hanno rapito circa 276 adolescenti tra i 16 e i 18 anni (foto), prelevandole dal campus della Government Secondary School di Chimbok, cittadina nello Stato nord orientale del Borno.
Successivamente, le ragazze sono state trasferite in diverse basi del gruppo terroristico sia all’interno della Nigeria, nell’immensa foresta di Sambesa (60.000 km², pari alla superficie di Veneto, Piemonte e Lombardia), sia, in misura minore, nei Paesi limitrofi, quali Niger, nella regione del Lago Ciad, e Camerun, nei pressi delle Montagne Mandara del Parco Nazionale di Waza.
Le ragazze, costrette a convertirsi alla religione islamica, sono state forzate a sposarsi con i miliziani bokoharamisti.
 
Ad un mese dal rapimento, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha proposto al governo nigeriano di scambiare le ragazze con i prigionieri bokoharamisti detenuti nelle carceri nazionali.
Al di là dell’ottenimento della liberazione dei membri imprigionati (molti dei quali sono in carcere soltanto perché appartenenti alle famiglie dei miliziani pur non avendo mai compiuto attività legate al terrorismo), lo scopo di Boko Haram potrebbe essere quello di ottenere maggiore legittimità.
Infatti, nel trattare con il movimento jihadista, le autorità centrali nigeriane lo riconoscerebbero implicitamente come interlocutore politico valido, aumentandone il prestigio e i proseliti.
Inoltre, dato che sin dall’inizio della vicenda Boko Haram ha dettato i tempi e le metodologie del colloquio con lo Stato, qualora il governo di Abuja accettasse i termini della trattativa, dimostrerebbe la debolezza delle istituzioni, incentivando il gruppo a proseguire con l’insorgenza.
A dichiararsi favorevoli a una eventuale mediazione tra governo e terroristi sono stati alcuni governatori federali del nord della Nigeria, in particolare Kashim Shettima, attuale massima carica dello Stato del Borno.
Tuttavia, una simile offerta potrebbe nascondere alcune insidie: infatti, non è da escludere che questi «volenterosi» governatori musulmani del nord vogliano aumentare la propria autorità politica e il proprio potere affrontando direttamente l’insorgenza islamista e sfruttando le difficoltà del governo centrale.
 
Se la trattativa tra Stato e gruppo terroristico appare, al momento, una soluzione difficilmente percorribile, l’attuazione di una massiccia operazione militare per liberare le adolescenti rischia di risolversi in un enorme fiasco.
Infatti, il governo nigeriano, sin dall’inizio dell’insorgenza bokoharamista nel 2009, ha utilizzato un approccio fortemente repressivo nei confronti della setta, dei suoi membri, sostenitori e simpatizzanti.
In più di un’occasione, Abuja ha imposto lo stato d’emergenza nelle regioni che ospitano le basi di Boko Haram, impiegando le proprie Forze Armate con risultati discutibili.
Le ridotte capacità delle truppe nigeriane non sono state finora in grado di infliggere un considerevole danno al movimento terroristico, soprattutto a causa dell’ostinazione nell’utilizzare strumenti convenzionali in un contesto di guerra asimmetrica e contro forze di guerriglia.
Inoltre, la scarsa professionalità, gli abusi di potere, l’eccesso nell’uso della forza e le violenza indiscriminate ai danni dei civili hanno alienato il sostegno popolare alle Forze Armate ed hanno aumentato il dissenso dei locali nei confronti del governo.
In questo modo, il fronte terroristico ha potuto usufruire di un bacino di reclutamento e di una sempre maggiore rete sociale alimentati dal malcontento della popolazione.
Infine, non bisogna dimenticare che le stesse Forze Armate appaiono fortemente contrarie a una eventuale missione di salvataggio nella foresta di Sambesa, dove le milizie bokoharamiste avrebbero l’enorme vantaggio della conoscenza del territorio e potrebbero utilizzare al meglio le tattiche della guerriglia.
 
Sotto il profilo politico, il presidente nigeriano Jonathan, cristiano di etnia Ijaw, si trova ad affrontare uno dei momenti più critici della sua amministrazione.
Indeciso tra l’attuazione della trattativa e il rinnovato utilizzo delle forza militare, Jonathan appare isolato e attaccato sia dalla società civile che dagli influenti governatori musulmani del nord del Paese.
Per quanto riguarda la prima, questa è riuscita, tramite i social network (famoso l’hashtag #BringBacKOurGirls) a dare risalto internazionale alla vicenda, trasformando una problematica interna in un caso internazionale, limitando così il ventaglio di opzioni militari a disposizione del governo.
I secondi, che si sono offerti di avviare una trattativa per il rilascio delle adolescenti, potrebbero avere una posizione ambigua nei confronti di Boko Haram.
Appare possibile, infatti, che alcune cellule e milizie periferiche del gruppo siano manovrate dai governatori federali.
Questi ultimi potrebbero utilizzare l’insorgenza etnico-religiosa radicale contro il governo centrale per ragioni di opportunità politica. Non è un mistero che la decisione di Jonathan di ricandidarsi alle presidenziali del 2015, rompendo la consueta alternanza tra musulmani e cristiani al vertice dello Stato, abbia suscitato fortissime critiche negli ambienti politici e militari islamici del Paese.
Quindi, esiste la possibilità che alcune influenti eminenze grigie nazionali, islamiche e Hausa-Fulani, abbiano fomentato o contribuito alla crescita operativa di Boko Haram per delegittimare Jonathan e la classe dirigente cristiana e Yoruba.
 
Il rapimento delle adolescenti rappresenta soltanto il più recente episodio di violenza perpetrato da Boko Haram.
Infatti, dal 2009, quando la setta ha iniziato il proprio processo di trasformazione da organizzazione caritatevole a movimento terroristico, il numero di attentati contro la popolazione cristiana, le Forze Armate e le istituzioni governative sono aumentati esponenzialmente.
Parallelamente, le capacità tecniche del gruppo sono cresciute in sofisticatezza e letalità, come testimoniato dall’attacco, avvenuto tramite duplice autobomba, che il 20 maggio ha ucciso 140 persone nella cittadina di Jos, nello Stato centrale del Plateau.
Si stima che, ad oggi, Boko Haram abbia ucciso più di 13.000 persone, la grande maggioranza delle quali civili.
Ad oggi, Boko Haram rappresenta una vera e propria struttura para-statale nelle regioni federali nord-Orientali del Paese (Borno, Yobe, Kano, Adanawa, Plateau).
Infatti, nelle aree rurali, nei piccoli villaggi e nelle periferie delle città più grandi (Maiduguri, Kano, Jos), il movimento controlla il territorio, amministra la giustizia e impone la propria autorità.
Questo elemento politico, assieme ai dati inerenti al numero di attacchi hanno contribuito a definire il nord-est della Nigeria come una vera e propria zona di guerra.
Nello scorso novembre, il «Report on Preliminary Examination Activities 2013» della Corte Penale Internazionale (CPI) ha identificato l’insorgenza nel nord est della Nigeria come un «non-international conflict», ossia con una fattispecie giuridica che descrive quella che comunemente viene chiamata guerra civile.
Il documento della CPI è seguito di poche settimane all’atto attraverso il quale il Congresso degli Stati Uniti ha ufficialmente inserito Boko Haram nella lista delle organizzazioni terroristiche mondiali, equiparandole a gruppi come Tehrik-i-Taliban Pakistan (Movimento dei Talibani del Pakistan) ed al-Shabaab (Harakat al-Shabaab al-Mujahideen, Movimento dei Giovani Combattenti).
 
Il dato più preoccupante dell’evoluzione di Boko Haram riguarda la sua dimensione etnica e il legame con le reti jihadiste globali.
Infatti, la radici dell’insorgenza bokoharamista sono da ricercare nel desiderio di emancipazione dell’etnia Kanuri (musulmani, 6% della popolazione nigeriana), gruppo subalterno che abita la poverissima regione nord-orientale del Paese e le area limitrofe del Camerun settentrionale, del lago Ciad e del Niger meridionale.
I Kanuri, schiacciati dalla diarchia tra i due maggiori gruppi etnici di potere del Paese, i musulmani Hausa-Fulani e i cristiano-animisti Yoruba, hanno trovato nell’Islam radicale e nelle dottrine jihadiste l’ideologia al servizio delle proprie rivendicazioni.
Infatti, l’obbiettivo politico di Boko Haram è la creazione di uno Stato Islamico retto dalla Sharia, il cui raggiungimento deve essere ottenuto attraverso il jihad.
Ne consegue l’assoluta peculiarità dello scenario nigeriano, all’interno del quale insorgenza etnica e radicalismo islamico si sono fusi in una realtà che non ha precedenti in Africa.
 
In base a queste considerazioni, si può intuire la ragione per la quale Boko Haram colpisca prevalentemente la popolazione cristiana e Yoruba della Nigeria, accusata di essere occidentalizzata, infedele e al servizio delle nazioni nemiche dell’Islam. In questo senso, il radicalismo salafita e l’ideologia qaedista si sono diffuse e hanno infiltrato realtà conflittuali di lungo corso e società caratterizzate da fratture etniche incancrenite.
Inoltre, con il passare degli anni, la setta islamista ha conosciuto una significativa crescita dei propri legami operativi e ideologici con realtà jihadiste più strutturate come al-Shabaab in Somalia e al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) in Nord Africa e nel Sahel.
Il contatto con queste organizzazioni ha accentuato la qaedizzazione del gruppo, come testimoniato dalla tipologia e dal numero degli attentati (di autobombe e attentati suicidi) precedentemente estranei alla setta, nonché l’inclusione di obbiettivi occidentali nella propria agenda operativa.
In questo senso, l’incremento della retorica anti-occidentale, il rapimento di cittadini stranieri e l’attacco a strutture, uffici e simboli della Comunità Internazionali (come il quartier generale delle Nazioni Unite ad Abuja nell’agosto 2011) lasciano intendere come Boko Haram abbia abbracciato con più convinzione l’ideologia qaedista e, nel prossimo futuro, possa avvicinarsi ulteriormente al mondo globalizzato del jihad.
 
Tali preoccupanti avvisaglie sono confermate dalla nascita di Ansaru (Jamatu Ansaril Muslimana fi Biladis Sudan, Avanguardia per la Protezione dei Musulmani nelle Terre Nere), fazione secessionista di Boko Haram nata nel dicembre del 2011.
Guidata presumibilmente da Mohammed Nur e Khalid al-Barnawi, membri anche della shura (consiglio) di Boko Haram, Ansaru ha una spiccata vocazione internazionalista e intende implementare un’agenda qaedista più matura e di respiro regionale, non circoscritta al teatro nigeriano.
Infatti, i leader del gruppo sono i due responsabili dei rapporti tra Boko Haram, al-Shabaab e AQMI. Inoltre, sembra che al-Barnawi sia in stretti legami con Mokhtar Belmokhtar, uno dei massimi leader jihadisti del Sahel.
A differenza di Boko Haram, che accetta quasi esclusivamente membri di etnia Kanuri, Ansaru non concepisce barriere etniche al reclutamento ed è aperta a tutti i musulmani di Nigeria.
In questo modo, il suo potenziale bacino di utenza include anche gli Hausa-Fulani e tutte le etnie non Kanuri presenti nella regione dell’Africa occidentale.
 
Nonostante l’attuale divergenza ideologica e operativa, la dicotomia e le differenze tra Ansaru e Boko Haram rischiano di assottigliarsi con il passare del tempo.
Infatti, già da alcuni mesi, le milizie bokoharamiste hanno cominciato a sperimentare tecniche operative precedentemente utilizzate solo da Ansaru, come il rapimento di cittadini occidentali.
In futuro, dunque, non è da escludere che l’attuale cesura tra Ansaru e Boko Haram si ricomponga, magari in corrispondenza con l’ascesa di Nur e al-Barnawi all’interno della leadership, e che il fronte jihadista nigeriano assuma una connotazione marcatamente qaedista.
 
La prospettiva della crescita, della regionalizzazione e della qaedizzazione del fronte jihadista nigeriano ha fortemente allarmato la Comunità Internazionale.
Infatti, oltre agli attentati contro i simboli occidentali e il rapimento di cittadini stranieri in Nigeria e nelle aree limitrofe, il rafforzamento di Boko Haram costituisce una seria minaccia alla stabilità e agli interessi occidentali.
Innanzitutto, il movimento ha intensificato i propri contatti con la criminalità organizzata locale e trans-nazionale, finanziandosi con i traffici illeciti, di armi, droga e esseri umani.
Gli ultimi due hanno come principale mercato di destinazione l’Europa. In base a queste considerazioni, non è da escludere che Boko Haram favorisca la crescita dei traffici per incrementare i propri introiti, aumentando il flusso di clandestini e di stupefacenti verso le coste mediterranee.
In secondo luogo, la qaedizzazione di Boko Haram potrebbe spingere il movimento ad intensificare gli attacchi contro infrastrutture e cantieri di proprietà di aziende occidentali, nonché di cittadini stranieri, sfruttando la loro numerosa presenza nel Paese.
Tale scenario riguarderebbe sia il nord, attuale epicentro del conflitto jihadista, sia le regioni del sud, dove le infrastrutture e i cittadini occidentali sono maggiormente presenti.
La differenza etnica e la lontananza geografica tra le aree petrolifere e le zone di insorgenza non deve trarre in inganno e non deve far considerare come remota una simile eventualità, come reso evidente dai recenti arresti di cellule bokoharmiste e di Ansaru a Lagos e Port Harcourt.
 
L’Italia, che ha conosciuto direttamente la violenza dell’insorgenza di Boko Haram, come testimoniato dalla tragica morte degli ingegneri Franco Lamolinara e Alessandro Trevisan, appare come uno dei Paesi più interessati dai rischi connessi alla crescita di Boko Haram.
Infatti, la massiccia presenza di tecnici, ingeneri e società italiane sul territorio nigeriano espone i nostri concittadini a sensibili rischi.
Inoltre, qualora le attività bokoharamiste si espandessero anche al sud, gli impianti e il personale dell’ENI si troverebbero ad affrontare la doppia minaccia delle cellule jihadiste e dei residui gruppi attivi del MEND (Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger).
Infine, non bisogna dimenticare che i continui attacchi contro la comunità cristiana nigeriana costituiscono un argomento molto sentito dalla Santa Sede e dal nuovo pontificato di Papa Francesco.    
 
Il rapimento delle adolescenti e l’eco mediatica internazionale che ne è seguita ha permesso di aprire una breccia nel governo nigeriano il quale, contrariamente al passato, si è detto disponibile ad accettare l’aiuto occidentale per liberare gli ostaggi e combattere la minaccia terroristica.
I governi inglese, statunitense, francese e israeliano hanno già offerto supporto tattico, logistico e addestrativo, mettendo a  disposizione team di Forze Speciali, droni e arei da ricognizione per monitorare le remote aree della Nigeria settentrionale.
Tuttavia, una strategia di contro-terrorismo e contro-insorgenza di lungo periodo non può prescindere da un supporto addestrativo, politico ed economico da parte della Comunità Internazionale al governo nigeriano.
Infatti, al di là della mancanza di capacità delle Forze Armate nigeriane, la vera ragione dell’insorgenza e della radicalizzazione religiosa delle comunità etnico-tribali del nord del Paese è di natura economica e sociale.
Boko Haram è nata come sempre sull’immagine di un’organizzazione caritatevole ed educativa, che ha offerto alla popolazione locale il sostegno umanitario necessario per la sua sopravvivenza. Le lacune dello Stato, l’atteggiamento predatorio e autoreferenziale delle classi dirigenti e l’estrema povertà costituiscono il terreno fertile nel quale la radicalizzazione prolifera e si diffonde.
I legami inter-etnici, il diffuso sottosviluppo e le lacune politiche e di sicurezza che caratterizzano molti Paesi dell’Africa  centrale e occidentali lasciano presagire che Boko Haram possa presto trasformarsi in un’organizzazione terroristica regionale, in grado di collegare i diversi fronti di insorgenza dal Niger al Nord del Camerun, dalla Repubblica Centrafricana fino al Sudan.
Il rischio maggiore, dunque, è la creazione di una enorme dorsale di instabilità dal Sahel, alla regione del lago Ciad fino all’Africa Centrale e Orientale, con sostanziali minacce agli interessi economici e alla sicurezza di tutta la Comunità Internazionale.
 
Marco Di Liddo 
(Ce.S.I)