Storie di donne, letteratura di genere/ 10 – Di Luciana Grillo

«La stanza di Garibaldi» – Di Claudia Patuzzi

Titolo: La stanza di Garibaldi
Autore: Patuzzi Claudia 
 
Editore: Manni 2005 (collana Pretesti)
Pagine: 320, brossura 
 
Prezzo di copertina: € 18,00
Disponibilità: Difficile da reperire
 
Una grande famiglia in movimento tra Italia e Belgio, basculante tra lingua italiana e lingua francese, tra l'attaccamento alle radici e l'esigenza di un cambiamento profondo, è al centro del bel romanzo di Claudia Patuzzi, insegnante-scrittrice, appassionata lettrice, studiosa e divulgatrice di romanzi scritti da donne.
La storia che la Patuzzi racconta è complessa, perché parla di vite che si incontrano e si lasciano, si attraversano e si ritrovano: al centro campeggia un prete ormai anziano, Ghislain, che, fin da giovnissimo, ha dedicato la sua vita a Dio, dopo essere stato abbandonato dalla madre che segue il suo secondo marito - Annibale, detto «il Niba» - in Italia, in tempo di guerra.
Altri personaggi si affollano davanti agli occhi attenti di una giovane donna che per lunghi anni, con caparbietà, ha raccolto documenti, lettere, testimonianze e foto di famiglia, per poi isolarsi in una torretta di tufo, posta sul retro della casa del mare, e ricomporre infine la storia dello zio Ghislain e di tutti i suoi parenti da raccontare ai lettori.
 
Il romanzo si apre in forma epistolare.
Una «fata dubbiosa» ringrazia lo zio di uno strano regalo, un pacchetto a sorpresa che contiene una tazzina, un piattino rotto in tre parti ed una fotografia sbiadita, in cui si riconoscono lo zio in abito talare ed una specie di brigante, o di eroe: si tratta di Garibaldi.
Dalla risposta di Ghislain scaturisce il mistero, un triplice mistero: la sua condizione di figlio illegittimo, l'abbandono e la morte della madre, un «suo segreto».
Allora la «fatina» ripercorre all'indietro la storia, riportando il lettore dal 1997 al 1985, dal 1979 al 1919.
Rivivono così suo padre Rolando, «dio agreste» la cui «buona fede incanta» e la mamma Henriette, sorella di Ghislain e figlia di Eugenie, la cui voce «ha il tono di un lamento capriccioso...e lo sguardo incantato e felice».
 
E nel grande e complesso affresco appaiono anche i nonni di Ghislain ed Henriette, Cyrille Balthasar («infelice matematico...occhi freddi... Ghislain ne aveva paura...») e Amélie Molitor, le loro figlie Germaine, Irma e naturalmente Eugenie che, in una «sera dei bisbigli», aveva creduto alle parole dolci di un ospite dei suoi genitori, di passaggio a Bruxelles: era l'affascinante Paul Mancini, di orgogliosa origine corsa.
Con l'aiuto morale della madre e delle sorelle, Eugenie riuscì a nascondere per parecchi mesi la gravidanza al suo severo genitore, mentre il bel Paul, davanti ad una notizia così inattesa, pensò bene di eclissarsi, almeno in un primo tempo.
Attraverso le lettere di Ghislain, la fatina ricostruisce l'intera storia familiare, dalla morte misteriosa di Paul, che accanto a Eugenie e Ghislain aveva provato a costruire la sua famiglia, alla fuga di Eugenie con la neonata Henriette, dalle vicende di Ghislain e delle zie alla stanza dove dormì Garibaldi, una «stanza più rossa di un cardinale di Tiziano».
 
E proprio da questa stanza, che a Henriette ricorda un'altra camera in un'altra casa di un'altra città, nel 1919 la mamma chiede perdono al figlio abbandonato e gli rivela quel segreto che Ghislain, ormai vecchio e stanco, affiderà ad uno strano pacco dono.
Così, i misteri sono svelati ed il cerchio si è chiuso, con un gioco abile di lettere e ricostruzioni che, in qualche modo, sottolineano la necessità della memoria e del ricordo.
Solo alla fine del romanzo, l'autrice dichiara che le lettere sono la riproduzione fedele di quelle che lo zio le aveva scritto, dando così al suo lavoro la forza di una storia vera e, con amarezza sincera, racconta che il bel palazzo dei suoi antenati è stato venduto.
Oggi ospita negozi, un garage, un bar - ristorante.
Nonostante tutto, però, la storia di Ghislain rimane, a testimonianza di tempi remoti, insieme alle foto ingiallite che, dopo qualche tempo, la fatina ha scoperto, debitamente occultate, nella casa dei suoi genitori.
 
Questo è un romanzo che si legge volentieri, ben strutturato, sofferto, scritto per noi lettori, ma forse, o soprattutto, per rendere omaggio allo zio Ghislain, uomo bianco come la neve, offeso da un ingiusto abbandono, eppure profondamente legato ai suoi cari.
O forse anche per rimettere ordine fra le tessere di un mosaico e dare ad ogni tessera il giusto posto.
Come ha scritto Dacia Maraini nella postfazione, i protagonisti maschili sembrano più cari all'autrice, tratteggiati come sono con affettuosa comprensione, con tenero amore. Quelli femminili, invece, sono descritti con una sorta di sospetto, se non di rancore, come se la Patuzzi volesse giustizia per Ghislain, vittima incolpevole di una mamma che lo ha amato molto, ma non quanto quel Niba che l' ha allontanata da lui.
Ancora una volta, dunque, una storia di famiglia, una saga attraversata da gioie ed incomprensioni che - sembra dirci l'autrice - forse si sarebbero potute evitare, semplicemente aprendo gli occhi e facendo parlare i cuori. 
 
Luciana Grillo