Storie di donne, letteratura di genere/ 279 – Di Luciana Grillo

Lidia Luberto, «Miriam Mafai» – L’autrice ha saputo cogliere e affidare a noi le caratteristiche di una donna speciale

Titolo: Miriam Mafai
Autrice: Lidia Luberto
 
Editore: Maria Pacini Fazzi 2018
Genere: Biorafie
 
Pagine: 84
Prezzo di copertina: € 8
 
Fin dalla prefazione di Irene Giacobbe, ci rendiamo conto che scrivere la biografia di Miriam Mafai non è cosa semplice, perché è stata una donna impegnata nel mondo della politica e del sociale, perché era figlia di un pittore famoso e di una scultrice e musicista di origini ebree lituane, perché è stata una giornalista «sempre in prima linea nel denunciare le violenze e le discriminazioni contro le donne», perché è stata la compagna di un uomo impegnato e impegnativo come Giancarlo Pajetta, perché la sua vita ha attraversato gli anni più difficili del ’900, perché la casa dei suoi genitori era frequentata «da artisti e intellettuali antifascisti: da Giuseppe Ungaretti a Enrico Falqui, da Libero de Libero a Renato Marino Mazzacurati» e dunque Miriam e le sorelle Simona e Giulia «crescono fra pittura, scultura e musica… Mio nonno materno era rabbino, mia madre era ebrea e nessuna di noi figlie è stata battezzata… abbiamo vissuto a lungo in bilico, tra feste e cerimonie diverse, fino a quando decidemmo di scegliere, o fummo costrette a scegliere».
 
Aveva solo 12 anni, Miriam, quando furono promulgate le leggi razziali; da quel momento, lei e le sorelle si sentirono diverse e «da un giorno all’altro, incontrammo la nostra diversità come un pericolo e una colpa».
L’incontro casuale nella Biblioteca Nazionale di Roma con «il primo comunista della nostra vita» segna il destino di Miriam e Simona: conoscono M. Antonietta Macciocchi, cominciano a distribuire volantini e un giornale clandestino, partecipano a manifestazioni.
Miriam di quegli anni ricorda «la fame, il freddo, il dolore per i tanti amici e compagni persi», la sofferenza per la morte di Toto Bussi, fucilato, e la decisione di andare via di casa «per protesta contro il padre che voleva obbligarle a riprendere gli studi».
 
Nel 1943, Miriam si iscrive al PCI e confessa: «Me ne sono innamorata… Una storia d’amore nella buona e nella cattiva sorte, una storia di esaltazione, di passione, di amarezze, di fedeltà», salvo poi prendere le distanze negli anni successivi.
La dichiarazione di Roma città aperta «fu il momento più emozionante della mia vita…avevamo temuto di dover rimanere schiavi…»
Intanto lavora alla Commissione alleata di controllo, al Ministero delle finanze, al Ministero dell’Italia occupata «che ha il compito di tenere i rapporti con il Nord Italia, ancora in mano ai tedeschi e ai fascisti».
 
È in questi anni che Miriam avverte la necessità di una presa di coscienza collettiva, soprattutto quando, fra i Sassi di Matera, si accorge di parlare davanti a piazze vuote, dove è impossibile per le donne uscire di casa e occuparsi di politica.
Miriam però non cede allo scoramento, parla «soprattutto per quelle donne che ancora sono chiuse nelle loro case, che non hanno consapevolezza delle proprie possibilità, che non riescono ancora a spalancare le finestre al nuovo» ma che hanno già ottenuto il diritto di voto.
Alle donne, Miriam «è sempre vicina… pronta e disponibile a dare loro una mano e qualche consiglio, se richiesto… generosa con le donne più giovani… disponibile a condividere il pensiero e la scrittura, mai certa di aver detto la parola definitiva, pronta ad ascoltare… piena di dubbi, maestra nell’articolarli. Nemica dell’ipocrisia, pronta a divertirsi…».
 
Miriam diventa funzionaria del PCI e per circa 10 anni vive, lavora e si sposa in Abruzzo.
Combatte al fianco dei contadini del Fucino – e subito il mio pensiero va a Fontamara – promuove incontri con le donne, sempre spinta dal desiderio di eliminare le ingiustizie e migliorare le condizioni di vita della gente.
Instancabile, non si sottrae mai all’impegno, anche quando attende i suoi bambini.
Gli eventi drammatici del 1956, l’invasione dell’Ungheria e la pubblicazione del rapporto di Kruscev sui crimini di Stalin, hanno un effetto devastante su Miriam e «il partito comunista comincia a starle stretto».
Lascia tutto, riprenderà negli anni ’90 l’attività politica, ma per poco: «È troppo libera per essere di parte e per adattarsi a certi rituali… è sempre più delusa dalla politica e amareggiata.»
 
Trasferitasi a Parigi con il marito, si dedica all’altra passione, il giornalismo. E sempre negli anni ’60 ritrova Giancarlo Pajetta, che sarà davvero l’uomo della sua vita. Entrambi hanno alle spalle un matrimonio finito.
E come accade a Togliatti e Jotti, anche per questa nuova coppia nasce uno scandalo, che in realtà non li turba affatto.
Il loro è un amore maturo, rispettoso delle abitudini e delle scelte dell’altro. Se Pajetta accetta l’idea che Miriam preferisca un’inchiesta giornalistica a un week end di passione, per i figli invece è più difficile capire e accettare un impegno così totalizzante.
Quando nasceranno i nipoti, i figli le ricorderanno che è stata «una pessima madre, un’ottima nonna e una straordinaria bisnonna».
Certo, ad un certo punto il lavoro si mette da parte «per sopraggiunti limiti di età»!
 
Miriam ha scritto per Vie Nuove, per l’Unità, per Noi donne, per Paese Sera, per Repubblica a partire dalla fondazione.
Eugenio Scalfari diceva «che l’unico vero uomo del giornale era Miriam…», lei viveva con intensità e raccontava gli anni del terrorismo, delle stragi, delle battaglie per il divorzio e per l’aborto, per il testamento biologico e per l’utilizzo delle cellule staminali, l’omicidio di Aldo Moro.
Dal 1983 al 1986 è eletta presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, negli anni successivi rivendica il diritto «a svolgere il nostro lavoro liberamente e con la schiena diritta».
 
Luberto elenca diligentemente i premi e i riconoscimenti che Miriam Mafai ha ricevuto, ricorda che le è stata dedicata un’ala della sala stampa della Camera dei Deputati e racconta ampiamente le pubblicazioni che Mafai ci ha lasciato.
Tutti dovrebbero leggere questa biografia, uomini e donne, perché per tutti può diventare ispiratrice di idee e comportamenti.
Un grazie all’autrice, Lidia Luberto, che ha saputo cogliere e affidare a noi le caratteristiche di una donna speciale.
 
Luciana Grillo – [email protected]
(Recensioni precedenti)
 
P.S. Luberto è anche autrice del romanzo «La casa delle bifore» già recensito in questa rubrica a questo link.