Ernesto Massimo Sossi a HUMAN RIGHTS?' #EDU – Di D. Larentis

Organizzata da AIAPI è visitabile presso la Fondazione Opera Campana dei Caduti a Rovereto, Trento. Tema di quest’anno: il diritto all’educazione e all’istruzione

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Ben 161 artisti provenienti da 37 Nazioni si sono confrontati sul tema del diritto all’educazione e all’istruzione in una prestigiosa mostra a Rovereto, Trento, presso la Fondazione Opera Campana dei Caduti.
La collettiva curata da Roberto Ronca è organizzata da AIAPI| Associazione Internazionale Arti Plastiche Italia – Comitato Nazionale IAA/AIAP UNESCO Official Partner, – con il patrocinio di UNRIC | Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite- Obiettivi per lo sviluppo sostenibile | IAA / AIAP | UNESCO | Comune di Rovereto - Provincia Di Trento.
Inaugurata in giugno, la collettiva resterà aperta al pubblico fino al 23 settembre 2018. Orario di visita continuato tutti i giorni: dalle ore 9.00 alle ore 19.00.
 
La Conferenza Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura di Parigi del 1960, ha ribadito che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma il principio di non-discriminazione e proclama che ogni persona ha il diritto all’educazione e considera che la discriminazione nell’educazione è una violazione dei diritti enunciati nella Dichiarazione stessa.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, pur rispettando la diversità dei sistemi educativi nazionali, ha il dovere non solo di vietare qualsiasi forma di discriminazione nell’educazione, ma anche di promuovere l’uguaglianza di opportunità e trattamento per tutti nell’educazione.
L’istruzione aiuta a ridurre le disuguaglianze e a raggiungere l’uguaglianza di genere. Consente inoltre alle persone di tutto il mondo di vivere una vita più sana e sostenibile. L’istruzione è anche cruciale per favorire la tolleranza tra le persone e contribuire a società più pacifiche.
 
Abbiamo avuto il piacere di intervistare uno degli artisti in mostra, Ernesto Massimo Sossi. Nato a Taranto nel 1963, inizia a occuparsi di fotografia alla fine degli anni Settanta, si laurea in Architettura a Venezia, dove collabora con Italo Zannier. Ha al suo attivo numerose mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero, da anni lavora dividendosi fra Londra e Senigallia.
 

 
Partiamo dal titolo della scultura presentata quest’anno, «Educhiamo all’amore»: lei crede che ci sia bisogno di «educare all’amore» nella nostra società? Dove nasce, secondo lei, questa diseducazione all’amore e al rispetto nei confronti in particolare delle donne?
«Più in generale penso che ci sia bisogno di educare all’amore e al rispetto verso colei/colui che ci sono prossimi. Come ci ha insegnato Martin Luther King “abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli”. Viviamo tempi volgari.
«Viviamo in una società in cui si litiga e ci si divide su qualsiasi cosa. Una società in cui genitori incapaci di guadagnarsi il rispetto dei propri figli, pensano di acquisire maggiore stima andando a malmenare una povera insegnante che ha la grave colpa di aver messo un brutto voto al nostro bambino ciuccio.
«Viviamo in una società dove se una donna viene violentata per strada la prima cosa che si va ad indagare è di quanti centimetri è la gonna che la donna indossa, perché se i centimetri della gonna sono pochi, allora se l’è cercata.
«Siamo nati e viviamo in una società fortemente maschilista dove i ruoli di potere sono, nella quasi totalità, ben saldi nelle mani degli uomini. Alle donne, nel migliore dei casi, è riservato il ruolo di first lady e il contentino che “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Dietro però! E ancora, anche quando donne e uomini si trovano a svolgere le medesime mansioni lavorative, alla donna è riservata una retribuzione più bassa.
«Si potrebbe continuare facendo centinaia di esempi in cui la mancanza di rispetto e di amore nei confronti delle donne è più che evidente. Non basta fare battaglie ideologiche per declinare al femminile Architetta o Ministra.
«Il rispetto e l’educazione nei confronti delle donne è un processo che deve partire già all’interno della famiglia, della scuola, delle istituzioni e in tutti quegli istituti deputati alla formazione della coscienza civica dei cittadini. Solo attraverso politiche di welfare che riducano effettivamente le diseguaglianze sociali creando al contempo benessere materiale e morale possiamo uscire da questo abbrutimento in cui sta degenerando la società contemporanea.
«Un Ministro della nostra Repubblica (guarda caso uomo) diceva che con la cultura e con le arti non si mangia. Forse è vero. Ma si diventa certamente esseri umani migliori. Io ritengo che compito dell’Artista sia anche quello di mettere in evidenza e far emergere le contraddizioni della nostra società e indicare possibili vie di fuga.
«Attraverso l’Arte si può e si deve smuovere le coscienze e arrivare a una piena e reale uguaglianza fra individui. L’Artista ha per sua natura il compito politico di lottare per una società migliore.»
 
Il sottotitolo recita: «In Italia ogni TRE giorni una DONNA viene assassinata per mano dell’uomo che diceva di amarla». Potrebbe condividere con noi un pensiero che sintetizzi ciò che ha voluto comunicare allo spettatore attraverso la sua opera?
«Nell’opera Educhiamo all’amore ho voluto affrontare il tema del femminicidio. Femminicidio è un termine tristemente e prepotentemente entrato nella nostra quotidianità, con cui si indica “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
«L’omicidio, l’assassinio, l’uccisione di una donna è un fenomeno di enormi proporzioni e in costante aumento nel mondo e nel nostro paese. È inaccettabile che in una nazione che si vanta di essere fra le sette più industrializzate del pianeta, l’uccisione di una donna stia diventando quasi una notizia di routine. La realizzazione di Educhiamo all’amore, come da abitudine, è stata preceduta da una lunga e approfondita fase di documentazione e di studio.
«Ho letto centinaia di pagine di statistiche e di verbali di interrogatori. La frase più ricorrente era diceva di amarla. Come si può arrivare a pensare che questo sia amore? E che l’amore verso un’altra persona possa portare a questo? Come si genera il cortocircuito mentale che scatta nella mente dell’assassino quando decide che il suo amore deve manifestarsi attraverso un omicidio?
«Analizzando i dati si evince come, circa nel 60% dei casi, il rapporto che lega la vittima e il suo carnefice è di natura sentimentale, con una relazione in atto al momento dell’omicidio o pregressa. Ad uccidere è quindi un marito, un fidanzato o un convivente. Analizzando poi il modus operandi emerge un quadro brutale e primitivo. L’arma più utilizzata è il coltello e in più del 40% dei casi le donne vengono colpite ripetutamente, quasi mai con solo due o tre colpi mortali.
«Per ciò che riguarda il movente, quasi sempre la causa è legata a gelosia e possessione nei confronti della vittima. L’Amore è un’altra cosa. E’ per questo che penso ci sia bisogno di una educazione all’amore. Il nostro concetto di amore inizia a prendere forma già all’interno del grembo materno, si sviluppa durante la fase della nostra adolescenza e continua incessantemente a crescere durante tutta la nostra vita. L’educazione famigliare e gli stimoli provenienti dalla società in cui viviamo sono quindi determinanti nella formazione del nostro personale concetto di amore. Amare ed uccidere sono concetti agli antipodi.»
 

 
Ce la potrebbe descrivere? Come è stata realizzata?
«Quando mi è stato proposto il tema ho pensato subito a un’istallazione. Già in uno degli otto pannelli di cui si componeva l’istallazione “Ecce Homo - burattini, bamboline e altre storie” realizzata nel 2015, avevo affrontato il tema del femminicidio.
«In Educhiamo all’amore ho voluto lavorare su questo tema in maniera diversa. Volevo che l’opera risultasse dolce e nello stesso tempo un pugno allo stomaco.
«Alle scarpette rosse, oramai simbolo internazionale della battaglia contro la violenza nei confronti delle donne di tutte le età, ho affiancato una donna che, pur portando ben evidenti sul proprio corpo le cicatrici del passato, rinasce, in acque dorate, a nuova vita.»
 
Nelle sue opere è ricorrente l’utilizzo del colore rosso. Cosa rappresenta per lei e che significato assume in questa scultura?
«Ho sempre associato il colore rosso alla sofferenza. Non è un caso infatti che in molti dei miei autoritratti questo colore sia largamente presente. Ma questa è tutta un’altra storia. Tornando all’opera Educhiamo all’amore, penso che quando si affrontano temi così forti e delicati sia giusto affidarsi a simboli immediati e potenti e al contempo facilmente riconoscibili.
«Le scarpe rosse sono diventate simbolo della lotta contro il femminicidio e alla violenza contro le donne, grazie all’artista messicana Elina Chauvet che le utilizzò per la prima volta in una installazione artistica davanti al consolato messicano in Texas, per ricordare le centinaia di donne uccise nella città messicana di Juarez.
«Da quel giorno le scarpette rosse sono diventate il simbolo della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Il colore rosso è stato scelto in quanto simbolo dell’amore, della passione che si trasforma in male ed in violenza, simbolo della possessione morbosa che diventa trappola mortale e simbolo della femminilità che purtroppo, oggi, troppe volte viene violata.»
 
Il sociologo francese Bourdieu parla del dominio maschile quale esempio di una sottomissione che chiama «violenza simbolica», spesso accettata inconsapevolmente dalle stesse donne. Lei che giudizio ne dà? Le donne sono o non sono ancora del tutto consapevoli di questa «violenza dolce» che spesso subiscono nella quotidianità?
«Il dominio maschile parte da molto lontano. Antropologicamente, la donna è stata da sempre preda dell'uomo. Salomone, che era la saggezza del popolo, diceva: "Più terribile della morte è la donna, solo l'uomo timorato di Dio ne può scampare, mentre il peccatore ne è avvinto, abbindolato".
«Viviamo in una società dominata dalle frustrazioni. La sensazione prevalente è quella di trovarsi in un ambiente in cui ci si sente esclusi, ci si sente insicuri, si accumula frustrazione. Siamo la società della paura, domina la cultura del nemico. Sta scomparendo il senso dell’etica. Darwin parlava di istinto, ma noi stiamo regredendo all'epoca della pulsionalità.
«Il meccanismo che si istaura fra vittima e carnefice è sempre difficile da comprendere appieno, a qualsiasi livello avvenga. A mio parere però le donne oggigiorno hanno grande consapevolezza di subire nella quotidianità, come lei dice, una forma di violenza dolce.
«Pochi giorni fa, a Cannes, un consistente numero di attrici ha sfilato, forse un po’ tardivamente, in segno di protesta contro l’industria cinematografica e le discriminazioni di genere. Ovunque nascono comitati antiviolenza di supporto alle donne in difficoltà.
«Sicuramente c’è tanto da fare, ma una consapevolezza nuova sta certamente avanzando anche nel nostro paese. È importante però che non si commetta l’errore che in parte fecero i movimenti femministi degli anni settanta, cioè quello di escludere gli uomini. Se ciò avvenisse l’uomo ne resterebbe ancora una volta culturalmente distaccato.»
 

 
Quello che, in generale, si evince guardando per esempio la televisione è che se esiste una frontiera di genere che segna la differenza tra gli uomini e le donne vecchie, questa è senz’altro il corpo. L’immaginario che viene presentato intorno alle donne vecchie tende a farle scomparire uniformando i loro volti dietro una pretesa di eterna giovinezza: lei è d’accordo? Non è anche questa una forma di violenza e di diseducazione, in fondo, il costringere le donne a snaturarsi per sentirsi inconsapevolmente accettate e amate?
«Sono perfettamente d’accordo con lei. A tal proposito ricordo un episodio che mi fece molto riflettere. Alcuni anni fa il comune di Torino presentò una campagna di affissioni indirizzata alle persone anziane per stimolarle a impegnarsi a servizio della città. I manifesti riproducevano arzilli signori brizzolati e radiose vecchiette in gran forma che esclamavano: Anziano sarai tu.
«La scelta di quella espressione che associava direttamente la condizione di anzianità a un insulto personale e un’idea di vecchiaia, cioè un tempo naturale della vita di tutti, come condizione di cui doversi vergognare, mi lasciò molto perplesso. Come ricordava giustamente lei, la televisione ci propone solo modelli di eterna giovinezza. Qualche concessione viene data al maschio, che invecchiando viene presentato come interessante o saggio.
«La donna che invecchia viene estromessa dal quadro della rappresentazione e costretta a specchiarsi in modelli che ripetono di continuo quanto sia sconsigliabile per una donna invecchiare mostrandosi.
«L’unica donna bella è quella giovane e la sola strada per farsi socialmente accettare è restare seduttive a dispetto del tempo. Davanti a questa forma di violenza e di diseducazione io penso però che le donne, e gli uomini, abbiano alcune armi molto potenti a loro disposizione. In primo luogo il telecomando.
«Oggigiorno tutto ruota intorno agli indici di ascolto. Manifestare il proprio dissenso nei confronti di questi modelli di rappresentazione cambiando canale, secondo me porterebbe grandi risultati. O ancora, non comprando i prodotti che ci vengono proposti in réclame in cui il corpo della donna è usato come oggetto, ecc. Il fatto che ci propongono questi modelli non significa che dobbiamo necessariamente farci omologare
 
A cosa sta lavorando attualmente?
«Ho appena ultimato la scenografia dell’opera teatrale PinK Circus del regista David Anzalone, che debutterà il prossimo mese di luglio. Sto lavorando alle scenografie dell’Opera da tre soldi che il Maestro Carlo Boso porterà nei teatri italiani a partire da gennaio del prossimo anno. Completato questo lavoro, vorrei trovare il tempo per riprendere un po’ di appunti e portare avanti un nuovo progetto editoriale.»
 
Daniela Larentis – [email protected]