Storie di donne, letteratura di genere/ 191 – Di Luciana Grillo
Simona Lo Iacono, «Il morso» – Una trama avvincente e una scrittura potente che richiama inevitabilmente la grande letteratura ambientata in Sicilia
Titolo: Il morso
Autrice: Simona Lo Iacono
Editore: Neri Pozza 2017
Collana: I narratori delle tavole
Pagine: 238, Brossura
Prezzo di copertina: 16,50
La protagonista di questo magnifico romanzo è Lucia, che mi ha ricordato in qualche modo Marianna Ucrìa della Maraini.
Lucia Salvo è esistita davvero, nella Palermo sontuosa e stracciona, «una città che pare fatta per il potere e per la noia e che si lascia consumare dal calore come una candela», dove arrivò da Siracusa verso la metà del 1800, per andare a servizio presso la nobile famiglia Ramacca.
Era una ragazza speciale, bella, con occhi «come due mandorle dure» a cui la nonna aveva insegnato molte cose, persino a leggere e scrivere, ricordandole sempre «che sei una Salvo, una che porta o riceve salvezza».
Su lei aleggiava un male misterioso che improvvisamente la faceva cadere in preda a convulsioni e le faceva perdere i sensi, perciò la chiamavano «babba», cioè pazza.
E ciononostante sua madre che, mandandola a Palermo sapeva che sarebbe finita nelle grinfie di un signorotto, la rimproverava: «Ricordati che sei una donna e che devi risistemare le sorti della famiglia».
Altra figura femminile è Assunta degli Agliata, promessa in sposa al Conte figlio Ramacca, giovane uomo ricco e viziato, abituato ad avere tutto ciò che desidera: cibo, denaro e donne.
Né Lucia, offerta con semplicità al Conte figlio, come da tradizione, gli permette alcun tipo di rapporto dandogli un potente quanto inatteso morso, né Assunta desidera sposarlo, convinta che «la vera libertà, per una donna siciliana…, non è che inabissarsi oltre un portone di convento, sprangarlo e fingere che dietro di esso la vita sia bandita…», meglio «Farsi sposa dell’invisibile, il che equivale a essere sposa di nessuno e, dunque, essere libera sopra ogni immaginabile limite».
Se il «fatto», cioè il male misterioso, impedisce al Conte figlio di violentare Lucia, è questo stesso «fatto» a fargli in un certo senso vedere un altro mondo, altre possibilità, altri sentimenti.
Ancora è il «fatto» che permette a Lucia – diventata strumento/informatrice/spia del Conte padre, che fino a poco tempo prima sembrava moribondo – di conoscere eventi e persone che potrebbero cambiare la storia del paese e che le cambiano realmente la vita.
«Tra i suoni consueti… adesso Lucia sente anche quelli dell’amore. L’amore sovrasta la realtà e la percorre come l’odio; si mescola alla vita, si confonde tra la gente; e la unisce, la divide, la scompiglia».
Assunta, dopo una breve sosta in convento, tornata alla vita normale, vorrebbe sposare il Conte figlio, ma ormai è troppo tardi, quindi anche la vita di questa giovane donna – viziata e delusa – prenderà un’altra piega: data in sposa ad un vecchio nobile, finirà «con il fare esattamente la vita di sua madre».
La storia va verso il suo epilogo, siamo nel febbraio 1861, il corteo di nani e castrati che circondava i nobili si dissolve, mentre «Palermo è vestita del tricolore, le donne passeggiano spavalde nelle loro bluse verdi, bianche e rosse… Lucia sospira» e abbraccia le sue compagne di sventura dicendo: «Siamo la frontiera».
Questo romanzo dimostra chiaramente quanto sia maturata la Lo Iacono, già recensita in questa rubrica (vedi): tesse una trama avvincente e con una scrittura potente squaderna davanti ai nostri occhi una società dai mille aspetti, che richiama inevitabilmente la grande letteratura ambientata in Sicilia, da Verga con i suoi «vinti» a Tomasi di Lampedusa il cui principe di Salina può essere accostato al Conte padre Ramacca.
E che dire dei dialettismi? Banale fare il nome di Camilleri.
Luciana Grillo – [email protected]
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