Parliamo di «emergenza lavoro» – Di Nadia Clementi
Intervista al segretario della SLC-CGIL del Trentino Lucio Omezzolli
In Italia negli ultimi anni c’è stata una drammatica perdita di posti di lavoro, colpevole una crisi economica e finanziaria senza precedenti.
Aziende che chiudono i battenti, incalzate dal fisco che batte continuamente cassa, e dimenticate da uno Stato incapace di far fronte ai problemi del Paese.
I dati economici pubblicati dal Sole 24 ore esprimono da soli la situazione di famiglie e imprese, oppresse da molte difficoltà, fra cui quella di pagare il mutuo e l'affitto, della perdita del posto di lavoro, del calo del potere di acquisto, degli ostacoli per il recupero crediti, fino ai fallimenti.
In tale difficile situazione aumenta l'emigrazione, soprattutto di giovani Italiani con alti livelli di istruzione che cercano e trovano lavoro all'estero.
Inutile ribadire che l'emergenza del nostro Paese in questo momento è il lavoro e che, per difenderlo, è necessario impedire che le imprese chiudano e che le multinazionali possano cercare in altri Paesi opportunità migliori. I problemi si verificano non tanto per il costo della voce stipendi (l’Italia è uno dei più bassi dell’Europa), ma per la pressione degli oneri e sociale che burocrazia lenta e la mancanza di risposte a delle esigenze alle quali solo una struttura politico industriale veloce e competente può far fronte.
Di come è l’attuale stato di occupazione in Italia e in particolare nel Trentino lo chiediamo sig. Lucio Omezzolli, segretario della slc-cgil, che comprende tutti i settori della comunicazione, dai giornali alle cartiere, ai grafici, allo spettacolo, poste, TLC, impianti sportivi, e altro ancora.
Coinvolto nel sindacato nel 2005 e nominato segretario nel gennaio del 2006, dopo 30 anni di servizio in fabbrica, vanta una lunga esperienza che gli ha permesso di vivere i turni di lavoro nei suoi vari aspetti gestionali e di comprenderne le problematiche sociali
Sig. Omezzolli quali sono le cause di questa continua sofferenza e quali le possibili soluzioni?
«Il costo dell’energia e la mancanza delle infrastrutture sono alcune delle ragioni di questa emorragia continua. Il debito pubblico lo si migliora aumentando il divisore e non il dividendo.
«Se il debito pubblico resta immutato ma il reddito nazionale aumenta, il rapporto PIL migliorerebbe. Bisogna aumentare il fatturato nazionale e non diminuire la spesa pubblica. Pertanto è necessario tagliare il debito pubblico ma non in modo lineare, ma se non aumentiamo il reddito del prodotto interno, questo porterà il Paese ad un default certo.
«Di qui la necessità di riprendere il filo di una nuova unità sindacale, una fase di ricostruzione fatta di nuove visione di nuove proposte per una società fondata sul lavoro. Ma se le proposte avanzate non sono ascoltate e valutate con un confronto tra le parti sociali, la politica e la parte industriale, e finché ognuno difende i propri principi e gli interessi, la strada sarà in salita o peggio ancora si continuerà a scivolare sempre più nel baratro di un impoverimento sociale e industriale dove nessuno può prevedere le conseguenze.
«Alla luce dei fatti risulta necessario allargare la visione di tutto il mondo del lavoro, da quello dipendente a quello artigianale e industriale.
«Alcune esperienze in Europa e nel mondo si possono prendere da esempio, ma la miopia politica che si ritorce su se stessa, non vede i problemi, riesce solo a dire che siamo malati, ma la cura durerebbe più del mandato politico e nessuno vuole dare ad altri i meriti di una eventuale ricrescita.
In Trentino, come è la situazione economico/occupazionale ? Sa dirci quante aziende hanno ridotto il personale o peggio ancora hanno chiuso o sono fallite in questi ultimi anni?
«Solo dal 2010 a oggi 165 aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria o ai contratti di solidarietà; molte di queste concluso il periodo di cigs (mediamente 12- 18 mesi) hanno ridotto il personale mettendolo in mobilità, licenziando.
«Notevole è stato il ricorso ai contratti di solidarietà, strumento che fino all’inizio di questa crisi era poco o nulla utilizzato. Lavorare meno, con minor salario ma mantenendo il numero degli addetti. Soluzioni tampone, come tutti gli ammortizzatori sociali. Ma prima o poi i nodi verranno al pettine e se nel frattempo non si troveranno soluzioni il tracollo industriale colpirà tutti.
«Le ore annue di integrazione salariale che nel 2008 erano poco più di 530 mila sono passate a 3,1 milioni nel 2009 e nel 2010 per scendere a 2,2 milioni nel 2011 e 2,5 milioni nel 2012. A queste vanno aggiunte le ore di cig in deroga (per aziende no coperte dalla cig) che sono state 300 mila nel 2011 e oltre 500 mila nel 2012.
«I fallimenti dal 2009 in avanti sono oltre 60 all’anno mentre nei tre anni precedenti erano mediamente 35-40.
«La disoccupazione giovanile ha cominciato ad essere un problema anche in Trentino da quando da una media del 8-9 % è passata al 14%: ancora molto lontana dai livelli nazionali ma preoccupante.»
Quale il settore maggiormente colpito dalla crisi in Trentino?
«Va ricordato che la crisi ha colpito pesantemente le piccole aziende e negli ultimi due anni il settore edile. Infatti in lista di mobilità (5.500 iscritti a gennaio 2013 contro 4.000 nel 2010 e 2.800 nel 2008), cioè quella dove vengono iscritti i lavoratori licenziati per crisi, a gennaio 2013 erano 4.300 quelli licenziati da imprese con meno di 15 dipendenti e solo 1.200 quelli provenienti da aziende di dimensioni superiori.
«Anche gli iscritti ai centri per l’impiego hanno visto una fortissima crescita passando dai 25.000 di inizio 2010 agli oltre 40.000 di inizio 2013.»
Complice la crisi economica o non solo?
«Difficile risposta. Tanti fattori hanno influito sulla crisi in Italia. La speculazione finanziaria, l’ineguatezza politica nella sua frammentazione di interventi e di soluzioni, l’incapacità di prevedere le conseguenze economiche che arrivavano dall’estero.
«Una componente importante l’inadeguatezza di alcuni manager industriali di gruppi anche a partecipazione statale. Amministratori delegati pubblici e privati che pur fallendo nel loro operato svuotando le casse delle imprese che governavano, vengono liquidati con cifre da capogiro e poi riciclati in altri settori, continuando così, con la loro incompetenza a far fallire altre società.
«Qui il coinvolgimento politico ne è la causa. Purtroppo non viene premiato il merito ma l’appartenenza a qualche loggia politica, a qualche intreccio con il mondo finanziario, banche ecc.»
Il sindacato come risponde alle richieste dei lavoratori?
«Difficile risposta anche questa per vari motivi. Le richieste dei lavoratori sono principalmente la conservazione del posto di lavoro, il mantenimento del potere d’acquisto del salario, la certezza del futuro e dar lavoro per i propri figli. Le armi del sindacato a fronte di queste richieste sono inadeguate, come forse il sindacato stesso è inadeguato ad affrontare uno tsunami economico e sociale di queste dimensioni.
«Quante volte mi sono trovato a dover rincorrere soluzioni quasi mai appropriate e ricorrere a risposte che altro non potevano essere che ovvie: quello che sta capitando ci travolge tutti.»
Le imprese, le fabbriche e altre aziende, hanno risposto in accordo con i lavoratori al mantenimento dell’occupazione?
«Sì, in parte. Superata la prima fase della crisi, fase dove la prima soluzione è stato ricorrere agli ammortizzatori sociali e poi al licenziamento, anche i datori di lavoro si sono resi consapevoli che la professionalità della loro manodopera non poteva disperdersi.
«Una macchina da stampa la si compra mentre la professionalità di chi ci lavora la si deve costruire e questo comporta costi e tempo. Questo ha portato a non considerare il licenziamento come soluzione al non lavoro.
«Anche da parte dei lavoratori si è fatta avanti la consapevolezza che solo rendendosi parte attiva nella soluzione dei problemi aziendali, si poteva prendere la strada per conservare il posto di lavoro.»
L’ente pubblico è intervenuto a favore in tutti i settori?
«Sì, tra Ente pubblico e il sistema delle imprese sono state concordate misure per lo sviluppo, con una forte spinta da parte di investimenti pubblici e un piano straordinario di politiche a sostegno del lavoro e del reddito, è stato messo anche a punto un pacchetto di misure a sostegno dell’occupazione giovanile per la riduzione della precarietà del lavoro.
«Per fronteggiare una crisi della quale non si intravede attenuazione, sono stati messe in campo dalla Provincia misure importanti a sostegno della innovazione e della qualificazione di tutta la struttura produttiva trentina quali: progetti di sviluppo su formazione università e ricerca, forti incentivi a sostegno delle imprese per progetti di innovazione e ricerca, spinta e sostegno verso la qualità e l’eccellenza in tutti i settori produttivi, industria, turismo, agricoltura. Sostegno allo sviluppo di green economy, risparmio energetico, edilizia e agricoltura sostenibili e in armonia con ambiente e tutela del paesaggio.
«La concertazione tra ente pubblico e forze sociali praticata in provincia da decenni, l’attenzione alla coesione sociale e alle persone deboli, possono essere il valore aggiunto del Trentino per fare i conti con la crisi più pesante che colpisce il nostro paese.»
Quante sono le persone disoccupate in Trentino? Quante in mobilità? Quanti alla ricerca del primo lavoro? Quanti hanno rinunciato a cercarlo?
«I dati relativi al 2012 e alle variazioni rispetto al 2011: 21.218 disoccupati e 3.452 inoccupati (che cioè non hanno mai lavorato) che sommati danno 24.640 unità, corrispondenti al flusso totale delle iscrizioni ai Centri per l’impiego, con un incremento di 2.653 unità rispetto al 2011 (+12,0%). Sono inoltre 5.512 i giovani senza lavoro fino a 25 anni e 4.017 fra i 25 e i 29 anni, per un totale di 9.529 (+1.034 rispetto al 2011, cioè il 12,2% in più). Nell’industria sono 4.210 (+614 rispetto al 2011, cioè il 17,1% in più) e di questi 2.442 provengono dal settore delle costruzioni/estrazione (variazione: +13,3% rispetto al 2011) e 1.768 dal manifatturiero (+22,7% rispetto al 2011), e a 16.240 nel terziario (+1.606 rispetto al 2011, vale a dire l’11,0% in più) e di questi 2061 provengono dal commercio, (+17,8%), 5.191 dai pubblici esercizi (alberghi, strutture ricettive, bar, ristoranti, pari al +9,2%), 2.429 dai servizi alle imprese (+8,1%) e 6.599 da altre attività del settore (+11,5%).
«A parte i numeri freddi, voglio pensare a quelle persone che quotidianamente vivono il dramma di non potercela più fare, di alzarsi al mattino e non avere più il lavoro. La tragedia che una persona vive dentro non sentendosi più utile alla società. Il lavoro nobilita l’uomo e chi lo perde, perde la propria dignità. Penso a quelle persone che si sono date fuoco, che si sono tolte la vita per la disperazione e che già il giorno dopo ci siamo dimenticati di loro. Dietro questi numeri ci sono persone e famiglie e questo non lo dobbiamo mai scordare.»
Gli esodati trentini quanti sono? È vero che la Provincia ha stanziato fondi per reinserirli?
«Il numero degli esodati è difficile, nemmeno l’INPS riesce a dare dati precisi, quindi il numero non è conosciuto anche per le diverse tipologie.
«La Provincia ha prodotto un testo documento degli interventi di politica del lavoro 2011-2013 aggiornandolo alla situazione del periodo, nel febbraio 2013.»
Quali sono a suo avviso le vere priorità in questo momento?
«Non esistono vere priorità. L’elenco porta diverse cose al primo posto, ma credo che la questione della liquidità delle aziende per investire e il peso fiscale che ne aggrava la situazione, siano le prime cose da affrontare.
«Investire, innovare la ricerca di nuovi prodotti, sgravare il costo del lavoro per aumentare il potere di spesa delle famiglie, insomma incominciare a far circolare denaro fresco condannando la speculazione finanziaria.
«Rendere l’investimento nelle aziende più conveniente e redditizio che non l’investimento nella finanza.»
Quali soluzioni possiamo trovare per i giovani
«Dare una speranza nel futuro, dare certezze, credere nelle loro potenzialità, creare i presupposti perché un giovane veda davanti a se porte aperte dove sia premiata la meritocrazia, creare fondi di sostegno a chi vuole intraprendere un’attività, cercando i migliori sistemi di trasformazione delle idee in impresa e come ultimo ma non per ultimo una scuola con la esse maiuscola.
«Alcuni dati citano che per portare a far studiare un ragazzo, dalla scuola d’infanzia alla laurea, una famiglia spenda più di 40.000,00 euro. Un ragazzo al liceo costa allo stato circa 7.000,00 euro anno. Un investimento che deve essere sfruttato in Italia e non all’estero.»
Suggerimenti su possibili soluzioni per rilanciare le imprese in difficoltà?
«Lo dicevo prima: servono investimenti e liquidità e perciò una politica fatta di persone competenti e libere da condizionamenti ideologici. Allo stesso tempo imprenditori capaci e che credano alla professionalità degli italiani.
«Dobbiamo guardare di più ai mercati stranieri, lo dimostra, ad esempio, il business relativamente basso che fa l’Italia negli Stati Uniti nonostante lo straordinario franchise del brand Italia, negli Stati Uniti facciamo 30 miliardi di dollari all’anno, la Germania ne fa 90. Abbiamo le qualità, le dobbiamo saper sfruttare.»
Come immagina il futuro occupazionale il Trentino?
«Se sapremo cogliere le opportunità che l’autonomia e il territorio ci offre, se saremo capaci di intercettare i fabbisogni dei giovani e mettere a disposizioni le nostre risorse, se saremo capaci di creare infrastrutture che possano attrarre gli imprenditori, semplificando la burocrazia, forse questa potrebbe essere la strada giusta per creare occupazione.
«Ma siamo una piccola Provincia in una Nazione e in Europa, e non è a prescindere da quello che accadrà intorno a noi che, con quanto detto sopra, si possa pensare a un futuro se la società non deciderà di voler cambiare.»
Nadia Clementi - Lucio Omezzoli