Missione a Herat/ 19 – Rivivrà la «scuola dei Trentini» nel Gulistan
Verso la ricostruzione della scuola abbattuta dai Talebani grazie a una donazione della Provincia autonoma di Trento
Il 2° Reggimento del Genio Guastatori di stanza in città aveva
chiesto alla Provincia autonoma di Trento se accettata di
finanziare un'opera di carattere umanitario nel teatro di guerra
dell'Afghanistan di competenza italiana, la regione del Nord
Ovest.
La Provincia aveva accettato e il Colonnello Scaratti, comandante
del Reggimento, aveva diramato un comunicato ai suoi comandanti di
compagnia distribuiti nelle quattro province della regione di Herat
per invitarli a scegliere l'obbiettivo adatto.
Il capitano che comanda la compagnia della provincia del Gulistan
(sud est della regione) non ha perso un secondo e ha subito
trattato con le autorità locali per individuare l'opera giusta.
Subito è stato deciso di mettere mano ad una scuola femminile che i
talebani avevano distrutto affinché le donne non potessero farsi
un'istruzione. La tradizione afghana vuole che le donne siano
vendute come mogli, a una cifra che va dai 10.000 ai 20.000 euro.
Importo assurdo in un paese dove il reddito annuale medio non
raggiunge i 1.000 dollari.
Ma anche la gente locale non si sentiva proprio in dovere di
investire dei soldi per una scuola femminile, dato che alla fin dei
conti una donna deve solo fare figli, far da mangiare e pulire la
casa.
Per questo un Helder, il capo di un villaggio, pensando
alla pòra mama ha avuto il coraggio di dire ai nostri
genieri che se non lo facevamo noi non lo avrebbe fatto
nessuno.
Detto fatto, ecco partititi i lavori.
E non sono stati una cosa da poco per i residenti, perché si sono
fatti avanti decine di operai desiderosi di lavorare.
Unico problema, la guerra. Perché se per noi è una missione di
pace, per i talebani resta una questione di guerra, quella vera,
quella combattuta con bombe, razzi, colpi di mitragliatrice. I
nostri genieri stanno dunque difendendo, come si dice, il posto di
lavoro degli operai afghani.
Il Gulistan rimane dunque un punto caldo per i nostri ragazzi, ma
l'idea di combattere per un ideale concreto come quello di
ricostruire una scuola e per la quale nessuno metterebbe un solo
centesimo, li fa sentire vivi e importanti in questo teatro assurdo
di ideologie contrapposte in guerra e in pace.
Mentre sono a colloquio con il colonnello Scaratti per parlare
della scuola, giunge la telefonata d un altro suo capitano.
Dopo le prime parole il colonnello mi fa segno di stare zitto. A
telefonata conclusa, si spiega.
«Era un altro dei miei capitani, - dice. - Ha individuato il suo
obbiettivo civile, una moschea. Se non hanno i soldi per la loro
moschea, sono davvero messi male. Ma è arrivato tardi. - Aggiunge.
- Per il momento possiamo fare solo la scuola nel Gulistan.»
Si tratta di importi davvero irrisori, quelli che servono per
cambiare la vita di un villaggio. Un paio di pompe manuali, il
tetto si una scuola, l'intonaco di una moschea. A prezzi di
terzomondo.
Lo Stato sta facendo molto in termini di sanità, di ingegneria, di
istruzione nazionale e altre iniziative strategiche.
Nessuno invece fa le piccole cose che gli abitanti di un villaggio
gradirebbero al punto da impedire ai propri ragazzini di lanciare
sassi addosso ai Lince che passano in prossimità ai centri
abitati.
Non facciamo un appello alla Provincia in tal senso. Diciamo solo
che sarebbe bello essere ricordati perché oltre ai fucili lasciamo
qualche banco di scuola.
Nelle foto che seguono, vediamo alcuni momenti del nostro
intervento. Non devono meravigliare né la presenza delle armi (gli
stessi Afghani si sentirebbero meno protetti), né la presenza di
soli maschietti in una scuola femminile. Non avrebbero mai permesso
la presenza delle femminucce: sono il loro patrimonio.