David Wilkinson ci ha lasciati soli – Di Sandra Matuella
I trentini lo ricorderanno come docente di inglese e, naturalmente, come Principe Consorte della autentica regina del Trentino, l’ineffabile Caterina Dominici
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«Quando muore un poeta al mondo c’è meno luce per vedere le cose». Queste parole della poetessa Alda Merini le dedico, a nome dell’intero giornale L’Adigetto.it, a David Wilkinson, e le riallaccio idealmente alle parole di “Lome”, un grande artista trentino molto legato alla Merini, che ieri ha commentato così la scomparsa del poeta inglese: «La perdita di un grande Poeta che il Trentino non ha saputo ascoltare».
Ebbene, quello di Lome è il commento che più mi ha colpito, che mi ha fatto riflettere e che, in sostanza condivido, proprio perché ritengo anch’io che David Wilkinson sia stato inascoltato, forse a causa del suo essere candidamente nemico delle ipocrisie, del perbenismo e della mediocrità che, a tutte le latitudini, non difettano mai.
Intere generazioni di trentini lo ricorderanno come docente di inglese nei licei linguistici e nei corsi per insegnanti, e, naturalmente, come Principe Consorte della autentica regina del Trentino, l’ineffabile Caterina Dominici, alias Caterina la Rossa.
Eppure lui non era un insegnante di lingua inglese: lui era l’inglese, con la sua postura elegante, il suo accento sprezzantemente oxfordiano, ma non troppo, sempre discreto, riservato, con un umorismo impassibile, tipicamente British ed uno sguardo sul mondo lontano anni luce dai luoghi comuni.
Inglese di nascita e cosmopolita per formazione, David viveva in Trentino fin dagli anni Ottanta, e ha sempre coltivato la sua vena poetica: quella di Wilkinson è una poesia sospesa tra echi del romanticismo inglese, con il suo animo inquieto alla Lord Byron e alla Keats, espresso però, con uno stile parnassiano, distaccato, che dialoga ininterrottamente con il mondo classico e la mitologia antica, mentre tutto il sentimento poetico è pervaso da una tensione mistica di matrice cristiana, unita ad sguardo lucido e tagliente sulla contemporaneità.
«Mito e Amore» è il titolo della sua antologia poetica più nota: per Wilkinson l’amore è quello umano, per la moglie Caterina, e quello divino per Cristo; il mito rappresenta, invece, il mondo classico che si contrappone al mondo della «plastica americana» in cui viviamo, e che il suo animo poetico rifiuta.
La poesia di David Wilkinson riflette la sua formazione umanistica complessa, che si inserisce in una pluralità geografia che spazia da Manchester, dove è nato nel 1956 da una nobile famiglia inglese che da tre generazioni produceva seta e tessuti preziosi in India; è cresciuto alle Bahamas dove il padre era vice-console britannico e dove studia in un liceo francese diretto da monaci benedettini, per cui il latino era di rigore.
A 17 anni torna a vivere a Manchester e viene ammesso all’Università di Oxford dove si laurea in Lingua e letteratura russa e spagnola: per motivi di studio vive anche a Mosca, nel 1975, e a Madrid, nel 1976, nell’anno di transizione dal franchismo alla monarchia.
Inoltre conosce bene l’India, specie attuale Pakistan, dove si reca per gestire gli affari di famiglia, e tra le sue pubblicazioni linguistiche c’è anche uno studio sulla lingua Urdu.
In estate, poi, David Wilkinson è solito dedicare un mese al volontariato in Africa, in India o in Sud America, dove insegna la lingua inglese a chi non può permettersi di studiare.
«È il mio ringraziamento a Dio per tutto quello che ho, così cerco di dare uno slancio all’apprendimento dell’inglese, una lingua franca, come il latino nel Medioevo, che dà a tutti più possibilità di muoversi nel mondo.»
Insomma, per quanto inascoltato e, purtroppo, snobbato, con David Wilkinson il Trentino ha comunque avuto il suo Lord, il suo poeta, il marito innamoratissimo della sua e nostra, Caterina.
Adesso di David il Trentino ha soprattutto una ricca produzione letteraria, culminata con «Maniacale a Mosca. Memorie di uno studente di Oxford», spiazzante testamento spirituale che, ora più che mai, invita tutti noi a scongiurare ipocrisie, perbenismi e mediocrità.
Sandra Matuella