Mauro Larcher e Luigina Lorenzi in mostra – Di Daniela Larentis

«Oltre gli occhi», curata da Nicoletta Tamanini e Maurizio Scudiero, è visitabile fino al 22 settembre 2018 a a Trento a Palazzo Trentini – L’intervista ai due artisti

Foto di Giampaolo Calzà.
 
«Oltre gli occhi» è il titolo della mostra degli artisti Mauro Larcher e Luigina Lorenzi, a cura di Nicoletta Tamanini e Maurizio Scudiero.
Da poco inaugurata a Trento, è visitabile fino al 22 settembre 2018 a Palazzo Trentini, in via Manci 27, nei seguenti orari di apertura: lunedì-venerdì 10.00-18.00|sabato 9.00-12.00.
Un cenno sugli artisti in mostra, poi passiamo alle interviste.
 
Nato a Ruffrè, Trento, Mauro Larcher ha vissuto fin da adolescente a Bolzano, dove ha frequentato la Scuola Grafica Athesia, diplomandosi grafico specializzato in stampa e fotografia.
La sua esperienza lavorativa presso Mondadori lo ha influenzato artisticamente, in quanto lo ha tenuto sempre a stretto contatto con il mondo della grafica.
Nato fra le montagne, ha fin dalla tenera età vissuto immerso nella natura, in un mondo in cui lavorare nei boschi e andare per legna, raccogliere il fieno, andare in stalla, erano esperienze del tutto normali e che facevano parte della quotidianità.
 
In seguito, ha mantenuto questo legame allenandosi nella corsa in montagna, sciando e dedicandosi all’arrampicata.
Negli anni Ottanta è diventato maestro di sci, niente di meglio per coniugare le sue passioni: la montagna e la neve, temi ricorrenti nelle sue opere.
Successivamente, è entrato a far parte del Gruppo ARS 95 fondato dal prof. Franco A. Lancetti a Cles, ha fatto inoltre parte dell’Associazione FIDA di Trento e Bolzano, ha partecipato a diverse mostre personali e collettive.
 

 
Sottolinea nel suo intervento critico la curatrice della mostra Nicoletta Tamanini: «Non pago dei costanti, sorprendenti ed apprezzati risultati di questo suo strenuo indagare l’essenza della Natura per carpirne, forse, l’intima sostanza, Mauro Larcher, artista coraggioso ed infaticabile sperimentatore, nelle sue più recenti opere, restringe ancor più il campo della sua estenuante ricerca visiva e tematica esplorando ed indagando ogni dettaglio, ogni fugace traccia, ogni impalpabile suggerimento che dal mondo vegetale rimandi al magnifico, perfetto progetto cosmico.
«Solo entrando in sintonia con questo personale sentire del pittore trentino possiamo apprezzare la meraviglia delle sue ultime fatiche: dettagli di tronchi temprati dallo scorrere del tempo e corrosi dall’insulto delle intemperie, misteriosi reticoli creati da muschi e licheni, impronte di foglie che, nei dipinti di Mauro Larcher, si amplificano, orientano e sublimano, da particolari di un microcosmo celato allo sguardo dei più, in vere e proprie creazioni artistiche di chiara matrice astratta.»
 
Ed è proprio vero che attraverso le sue opere egli sembra giungere alla verità non razionalmente, attraverso un preciso ragionamento, ma in modo intuitivo: osserva ciò che lo circonda, i particolari nascosti, approcciandosi con stupore, con meraviglia, come se fosse la prima volta.
I suoi lampi intuitivi rappresentano un atteggiamento interiore che esterna attraverso la pittura e che ricorda, per certi versi, la poetica del Fanciullino del grande poeta Giovanni Pascoli.
Anche lui, attraverso la poesia, giungeva irrazionalmente e immediatamente al cuore delle cose, al mistero racchiuso in ogni aspetto dell’esistenza, e lo faceva in maniera spontanea e intuitiva come lo è il modo di approcciarsi alla vita dei fanciulli.
Abbiamo rivolto a Mauro Larcher alcune domande.
 

 
Quando si è avvicinato per la prima volta al mondo dell’arte?
«Penso non ci sia stata una prima volta, sin da piccolo ero attratto da tutto quanto era disegno e colore e andando avanti il bisogno di mettermi alla prova è diventato sempre più impellente. Molto mi ha aiutato il mio lavoro di grafico che ho praticato per circa quarant’anni.»
 
Potrebbe delineare le tappe principali della sua evoluzione artistica?
«Ho iniziato scopiazzando un po’ ovunque, avendo molto interesse per l’arte impressionista. Dopo parecchie mostre sul tema ho capito che la mia voglia di continuare stava svanendo.
«Ho così iniziato la mia la mia lenta evoluzione portando avanti una ricerca che mi ha condotto fino ad oggi, giungendo all’eliminazione dei classici canoni della pittura per intraprendere una strada dove la mia tavolozza e mie segni mi portano a cercare sempre più l’essenziale.»
 
Quali sono le tecniche da lei utilizzate nella realizzazione delle sue opere?
«La mia è una tecnica mista sia di materiali sia di supporti, tanto per intenderci utilizzo molto colori e vernici comunemente usati dai vari artigiani, abbinati al pastello a olio.»
 

Opera di Mauro Larcher.
 
Quali sono i soggetti o le situazioni da cui trae maggior ispirazione?
«Essendo nato a Ruffrè, al limitare del bosco, ho cominciato subito a vivere la montagna, quella vera, fatta di molta fatica e molti sacrifici, ma anche molto divertimento per la tanta neve disponibile.
«Allora i giocattoli erano merce rara, perciò la neve era il mio giocattolo preferito e per certi versi lo è tuttora.
«Sono maestro di sci, mi alleno molto in montagna, correndo, arrampicando, ed è in questo contesto che attingo la linfa per le mie opere».
 
Rispondendo in maniera molto sintetica, che messaggio vuole trasmettere attraverso i suoi lavori?
«Come ho spesso affermato anche in passato, attraverso i miei lavori cerco di far capire che anche un giorno di pioggia, o meglio ancora di neve, non deve essere un pretesto per stare chiusi in casa.
«Una nevicata e subito dopo, quando si incomincia ad intravedere in mezzo alle nebbie l’oro delle montagne, sono momenti magici di grande ispirazione, non comparabili con nessun’ altra situazione, a mio avviso.»
 
Secondo lei quale dovrebbe essere la funzione principale dell’arte contemporanea?
«In questo mondo globale, dove tutto sta cambiando repentinamente e non per il verso giusto, diventa sempre più difficile definire la funzione dell’arte; forse dovrebbe essere quella di trasmettere qualcosa di autentico e di profondo, ognuno lo dovrebbe fare mettendoci l’anima. Non essendo il mio lavoro principale per me forse è più facile, in quanto dipingo solo quando mi sento davvero ispirato».

Progetti futuri?
«Continuare la mia ricerca dell’essenzialità, attraverso cui tutti i miei contrasti interiori, che si traducono nei contrasti di nero e bianco nelle mie opere, lascino spazio alle luci scintillanti di nuove albe».
 

Opera di Mauro Larcher.
 
Luigina Lorenzi ha avuto fin dalla tenera età una forte predisposizione per il disegno, a soli otto anni ha realizzato il suo primo ritratto, quello di sua madre, al quale ne sono seguiti molti altri per lo più caricaturali.
Si è avvicinata alla pittura grazie a un gallerista amico di famiglia, Dante Dassatti, il quale all’epoca le regalò tavolozza, colori, pennelli e un piccolo cavalletto, assieme alla dedica «adesso smettila di fare Guttuso... e dipingi!».
A quei tempi sapeva poco di arte e di artisti ma amava dipingere e sperimentare, mescolando colori e dando sfogo alla sua grande creatività.
Nel 1971, la sua prima personale nella sua galleria, la «Città di Riva»: trentacinque lavori a olio su cartoncino, realizzati con la tecnica a spatola.
Dopo due anni di sospensione è tornata ad usare i pennelli: pochi colori, tre terre e un blu, lavori su tela, sfumati, tirati con stracci imbevuti nel petrolio, assecondando un bisogno interiore che l’ha spinta a dipingere in modo irrazionale, incontrollato.
Ci racconta lei stessa che era spaventata da quelle radici contorte, quei corpi che prendevano forma sulla tela.
Svela delle sue opere Luigina Lorenzini: «I miei quadri erano e sono degli svuotamenti, esprimono le inquietudini e le paure di una parte della mia vita molto sofferta.»
 
Osserva Maurizio Scudiero, storico dell’arte e curatore della mostra: «Non sono corpi che trasmettono una serenità fisica e spirituale… tutt’altro. Sono corpi che documentano un travaglio che è soprattutto interiore, esistenziale, e che ben si esplicita in opere come Nudo s/coperta dell’anima dove il corpo si sta lacerando, frantumando, per le tensioni che provengono dal suo interno/interiore piuttosto che da una violenza esterna. Dunque tutt’altro che una tranquilla pittura della bellezza come potrebbe apparire, proprio perché il corpo è qui preso a metafora di quella maschera che è un carattere trasversale della società contemporanea dove appunto, spesso, quello che si vede, non è quello che è».
Potremmo aggiungere che tanto più si è allenati alla sofferenza tanto più si affina una certa sensibilità, che è anche consapevolezza, e una capacità di cogliere la bellezza che ci circonda in tutte le sue declinazioni. Molte sono le collettive e le personali a cui Luigina Lorenzi ha partecipato nel tempo. «Ora che i miei quadri sono sparsi per mezzo mondo e il mio tempo si fa sempre più breve, ringrazio chi mi ha dato la vita e di avermi fatta così... diversa, – racconta. – Quella bambina che non amava vestirsi con nastri, gonne e pizzi, prediligendo i pantaloni, era già allora uno spirito libero, lontana dai modelli dominanti per le ragazze di quei tempi e dagli stereotipi di genere.
«Dotata di grande sensibilità artistica, nella vita ha saputo esprimersi con grande efficacia anche nell’ambito della poesia.»
 
È del 2002 la raccolta intitolata «Sorsi di vita». Una poesia di riflessione e di memoria, in cui talvolta c’è una contrapposizione fra passato e presente.
«Stipati come mattoni|i ricordi si sono appesantiti|Vorrei delle crepe|per far entrare dell’altro […]» recitano i versi di Riflessioni, la poesia contenuta nel volume Pensieri scomposti del 2010, edito da UCT - Tn, collana Il Picchio Verde.
È invece del 2013 il volume Lorenzo e Federico...l'amore e l'indifferenza, una pubblicazione che affronta il tema di un amore omosessuale non corrisposto, un sentimento che viene indagato in maniera delicata e profonda.
L’abbiamo raggiunta al volo, ponendole alcune domande.
 

Opera di Luigina Lorenzi.
 
Quando ha introdotto la componente grafica nei suoi lavori?
«Negli ultimi anni ho introdotto nella mia pittura la componente grafica per rispondere a un’esigenza interiore, si tratta di segni che rimandano in qualche modo alla sofferenza, all’angoscia esistenziale, a una dimensione drammatica dell’esistenza.»
Rispondendo in maniera molto sintetica, che messaggio vuole trasmettere attraverso le sue opere e che cosa rappresentano i corpi nudi che lei ritrae?
«Come ho in più occasioni sottolineato, le mie opere sono degli svuotamenti, dunque non ho la pretesa di trasmettere nessun messaggio particolare.
«Le figure in generale, maschili o femminili, sono parte della natura, in qualche mia opera sembrano uscire dagli alberi, come in quella intitolata L’umana babele, in mostra.»
 
Progetti futuri?
«In genere non pianifico. Per quanto riguarda le mostre, in dicembre sarò a Mantova, in aprile del prossimo anno a Bologna, per il resto seguo la massima mai fare programmi».

Daniela Larentis – [email protected]

Opera di Luigina Lorenzi.