Un altro giornalista decapitato dai vigliacchi fanatici dell’ISIS
Steven Sotloff aveva viaggiato a lungo nel Medio Oriente per parlare al mondo delle sofferenze dei musulmani sotto il giogo dei tiranni
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Chi scrive questo pezzo è un giornalista che nel ’68 aveva 20 anni, che ha vissuto la Beat Generation nella piena condivisione dei principi che John Lennon aveva codificato nella canzone Imagine.
Cantavamo con lui che a questo mondo non ci doveva essere alcuna ragione per uccidere né alcuna per morire. Era il nostro credo, quello di una generazione che aveva voluto tagliare con il passato di sangue che la prima metà del XX secolo aveva consegnato alla storia.
Tutte le guerre che sono avvenute nella seconda metà del ’900 non hanno avuto senso. Non ha avuto senso uccidere o morire per la Corea, per il Vietnam, per l’Iraq 1 e per l’Iraq 2, per l’Afghanistan, per la Libia e per quant’altro abbiamo visto passare davanti a noi.
Siamo andati anche noi a documentare, da giornalisti, la sofferenza dei nostri ragazzi, perché anche se le guerre non le abbiamo mai volute, ci sono tuttavia state. E i nostri soldati hanno il diritto che la gente del Paese che li ha mandati a rischiare la vita sappia che cosa sia la guerra.
Sempre nella certezza che a questo mondo non ci si sia mai una buona ragione per uccidere, né una per morire.
Poi improvvisamente qualcosa è cambiato.
Come abbiamo detto più volte, per un giornalista che si reca nei teatri di guerra, la morte è un’eventualità possibile. E neanche tanto remota, se si pensa al caro collega Andrea Rocchelli morto recentemente in Ucraina.
Una fatalità, dicevamo, perché nessuno uccide un giornalista, a meno che non abbia visto cose che non doveva vedere. E che il mondo non doveva sapere.
Ed ecco, improvvisamente, che due giornalisti sono stati trucidati nel giro di poco tempo.
Prima il collega James Foley, decapitato per dare un primo messaggio chiaro e forte al presidente Obama.
Oggi è stata la volta di Steven Sotloff, reporter freelance di 31 anni, il cui video della brutale esecuzione è stato caricato in rete. E sempre per motivi di Pubbliche Relazioni, cioè per dare un altro messaggio a Obama.
Un messaggio che stentiamo a comprendere, perché – a parte il riscatto milionario chiesto e ovviamente non pagato – non ci è dato di sapere cosa dovrebbe fare il presidente americano per interrompere queste esecuzioni.
Comprendiamo perfettamente che Obama faccia fatica a formulare una strategia per reagire a queste atrocità. Però, due cose vanno chiarite.
La prima è che il problema non è del presidente degli Stati Uniti ma di tutto il mondo civile.
La seconda è che la problematica va affrontata nel suo insieme, su scala planetaria, perché non possono più essere accettati i delitti contro l’umanità.
Steven Sotloff ha viaggiato molto nel Medio Oriente per parlare delle sofferenze dei musulmani sotto il giogo dei tiranni, era un uomo generoso che ha sempre cercato di aiutare i più deboli. Ed è stato trucidato per futili motivi.
Siamo usciti da un Olocausto spaventoso che avrebbe dovuto insegnarci qualcosa, e invece eccoci qua a contare ancora le stragi, le violenze, i soprusi, i delitti contro i più sacri diritti dell’essere umano.
Insomma, mentre la generazione contro la guerra se ne sta tranquillamente andando in quiescenza, eccoci qui a scoprire che invece esistono delle ottime ragioni per uccidere e altrettante per rischiare di essere uccisi.
G. de Mozzi