Educare alla non-violenza – Di Giuseppe Maiolo

C’è bisogno di recuperare l'educazione alla non-violenza che metta in grado i maschi a gestire fin da piccoli quel mister Hyde che si aggira nell’oscurità del quotidiano

Quando un tempo ci insegnavano fin da piccoli che la donna «non la si colpisce neanche con un fiore», sembrava una banalità. E chi mai vorrebbe colpire una donna?
Sembrava una cosa scontata, quanto invece era una sottile scuola di vita destinata a far entrare per sempre nel nostro vissuto quotidiano – nel dna, diremmo impropriamente oggi – l’idea che una donna, appunto, va sempre rispettata.
Oggi che quegli insegnamenti non vengono più fatti, forse perché sembrano scontati, appare più labile la sottile linea rossa che separa il lecito dall’illecito.
Ma è meglio che affronti l’argomento il nostro psicoanalista, Giuseppe Maiolo, che sa esprimere con cognizione di causa l’aspetto fondamentale di questo problema sociale.

Il femminicidio è assai spesso un delitto annunciato. Molti i segni o le avvisaglie. A Pergine la violenza era di casa, già denunciata e agita più volte.
Non doveva essere trascurata.
Se è difficile trovare un senso a ciò che la scatena, è però necessario capire cosa fare per fermarla, per non inseguire l’omicida poi, il «mostro» di turno.
È improbabile immaginare che la violenza maschile sulle donne si curi con le campagne di sensibilizzazione, ma è fondamentale dare voce all’indignazione e ampliare il territorio della coscienza e il pensiero dei tanti che non vogliono e non sopportano questo morbo.
La violenza sulle donne è piaga sociale che sovente si nasconde insospettata dentro le case della gente comune. Quando emerge non è per caso.
 
Così come non è riducibile alla devianza di alcuni mostri affetti da una patologia sconosciuta, il femminicidio è piuttosto qualcosa che ha a che fare con una coscienza maschile disturbata, con un disagio profondo che si annida nel maschio di oggi incapace di mettere a fuoco le parti oscure e gestire gli elementi violenti della sua psiche.
Non ci sono pertanto orchi che si rivelano all’improvviso presi dal raptus della follia. Perché questo non esiste.
C’è sicuramente la malattia che obnubila la mente di questi maschi assassini, ma più ancora esiste la fatica di comunità maschile che in questo nostro tempo non riesce a trovare la propria identità.
È crescente negli uomini di oggi la difficoltà di svincolarsi dalle dipendenze infantili e diventare adulti e capaci di autonomia, in grado di riconoscere le proprie responsabilità nelle relazioni affettive e di coppia così come nella paternità.
In quei maschi più «adultescenti» che veramente «adulti» c’è un vero e proprio malessere che impedisce di gestire le emozioni e contenere le proprie pulsionalità.
 
Se è necessario curare quel maschile fragile o realmente disturbato che si nasconde dentro molte esistenze «corazzate» capaci di occultare i sentimenti perversi del male, più ancora è fondamentale cambiare direzione al progetto educativo dei bambini e degli adolescenti e soprattutto dei maschi.
In effetti, non stiamo più riservando attenzione ai sentimenti e ai vissuti emozionali. Non insegniamo più ai bambini a dare un nome a ciò che si prova. Ci accontentiamo che quei piccoli esprimano con una «emoticon» il loro vissuto.
Siamo diventati una comunità globale di faccine, emotivamente analfabeta e sostanzialmente incapace di riconoscere i sentimenti che albergano dentro di noi.
 
Non educhiamo al rispetto per il femminile, all’incontro e alla relazione. Stiamo facendo crescere maschi freddi e distaccati incapaci di dare un valore all’empatia, cioè all’ascolto e alla partecipazione affettiva.
E abbiamo ormai all’orizzonte una comunità di sordi che si urlano addosso espressioni violente con il compiacimento di una moltitudine di spettatori plaudenti.
Nessuno si preoccupa più di mettere in evidenza che anche i bambini piccoli hanno parti violente nascoste nel sottosuolo e capaci di crudeltà e desideri perversi.
Se gli adulti non vedono il bulletto che minaccia dietro l’angolo o peggio ancora non valutano pericolosi e negativi alcuni comportamenti offensivi e violenti, la prepotenza verbale, la prevaricazione non solo fisica e la forza negativa degli atteggiamenti irrispettosi, faranno sempre più parte di quella cultura della violenza che si sta espandendo a vista d’occhio.
 
Serve una profonda riflessione collettiva e soprattutto della comunità maschile.
Di certo per alcuni è necessario un percorso della coscienza che li aiuti a «vedere» i fili sotterranei che legano le storie, i desideri, le fantasie, i bisogni «normali» a quelli mostruosi e perversi.
Ma se vogliamo davvero mettere mano alla piaga della violenza sulle donne, se intendiamo contenere questo fenomeno devastante c’è l’urgenza di usare strumenti educativi diversi, più efficaci che puntino allo sviluppo di una cultura del rispetto e della tolleranza.
C’è bisogno di ritrovare gli elementi di una educazione non-violenta se vogliamo far crescere un sentire maschile capace di esprimere sentimenti e emozioni e metta in grado i maschi di riconoscere e gestire fin da piccoli quel notturno mister Hyde che si aggira nell’oscurità del quotidiano.
 
Giuseppe Maiolo - [email protected] - Precedenti
Prof. Giuseppe Maiolo, psicoanalista, docente di Educazione alla sessualità all'Università di Bolzano Facoltà di Scienze della Formazione.