Bullismo: la violenza del silenzio – Di Giuseppe Maiolo

Bullo e vittima sono un terribile binomio reso inscindibile dalla complicità vergognosa di chi osserva e non dice, di chi ascolta senza proferire parola

Immagine Wikipedia caricata da David Monniaux.
 
Colpisce l’orrore delle sevizie contro un minore di 13 anni che viene legato a un cancello e trattato come un urinale.
Ma sbaraglia la coscienza se la vittima è un disabile incapace di reagire e per anni subisce senza dire nulla e senza accusare il gruppo bullo che conosce.
E poi spaventa l’omertà dei tanti che sapevano e Sono rimasti in silenzio.
 
Il bullismo a Lecce scoperto qualche giorno fa è identico a quello di Bolzano, di Brescia o di un qualsiasi altro posto al mondo.
Perché la depravazione degli aggressori è uguale.
L’abuso dei carnefici è assurdo, banale come il male che si ciba, come sempre, di inconsapevolezza e di distanza emotiva.
La vittima tace, non si ribella perché trova inutile farlo e il sadico gode della sua silenziosa angoscia.
 
E ancora una volta il rituale si ripete: i bulli prima offendono verbalmente, poi colpiscono e feriscono giorno dopo giorno, senza timore di essere scoperti. Spavaldi.
Il silenzio di chi è ferito non meraviglia, è la costante della vergogna e della paura.
Appartiene alla storia delle umiliazioni che non trovano alcuna giustificazione soprattutto se si rivolgono a chi ha una disabilità o porta con sé una qualche difficoltà fisica o psichica.
 
Contrapposti, bullo è vittima, sembrano agli antipodi.
Eppure sono un binomio terribile e inscindibile della violenza, legati l’uno all’altro proprio da quel silenzio perverso che unisce seviziatore e seviziato, con la complicità incredibile di chi osserva e non dice, di chi ascolta senza proferire parola.
 
Ed è qui che la storia del disabile di Lecce si fa ancora più comune.
Ancora più simile alle tante storie di offese e prevaricazioni che rimangono nascoste per tempi infiniti agli occhi della gente.
Circolano invece. Molti le conoscono. Ma sembrano non coglierle.
Invece oggi le «imprese» del cyberbullo si moltiplicano e si alimentano in rete dove tutti possono vedere, sorridere e tacere.
Quando la violenza fa spettacolo, intrattiene e alla lunga non fa più orrore né repulsione.
 
La nuova frontiera agli atti di violenza è proprio questa: far uscire dal silenzio non solo chi è vittima del male, ma ogni forma di condivisione esplicita o implicita che sia.
E non c'è altra strada che quella di educare, precocemente, alla partecipazione e al riconoscimento delle emozioni proprie e di quelle altrui.
Poi, per arrestare il male, non c’è altro mezzo che quello di sentirsi tutti offesi dalla compiaciuta maggioranza silenziosa di chi passivamente rimane a guardare.
 
Giuseppe Maiolo - [email protected] - Precedenti
Psicoanalista di formazione junghiana, scrittore e giornalista, specialista in clinica dell’adolescente.