Lo stress a scuola – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

In famiglia, come a scuola, si dovrebbero ridurre quelle aspettative pressanti che riguardano poco la loro vita ma sono più connesse alle angosce degli adulti

«Che stress la scuola!» «Non ce la faccio più. Mi sento sempre sotto pressione e spesso mi vien da piangere e da gridare.»
Sono frasi che ho sentito di frequente dagli adolescenti che incontro, e non sempre si tratta di esagerazioni.
Molte volte hanno ragione, la scuola è stressante e lo confermano alcune indagini.
Ce n’è una dell’Ocse di qualche tempo fa che in uno studio comparativo a livello internazionale, ha messo in evidenza come i quindicenni italiani risultino essere più ansiosi e meno soddisfatti della loro esistenza dei coetanei di altri paesi d’Europa.
Il motivo dichiarato? La scuola: un buon 70% degli intervistati afferma di sentirsi molto in ansia, anche se preparato, quando ci sono verifiche e compiti in classe e l’85% ha paura di prendere un brutto voto.
Le conseguenze di questo stato di cose, sono una serie di disturbi psicosomatici come blocchi emotivi, cefalee, tachicardia, dolori addominali, tremori, insonnia. Insomma i sintomi tipici dello stress.
 
Definire il perché i nostri ragazzi vivono in modo così preoccupato la scuola non è semplice.
Le fonti di stress sono diverse, alcune legate alla vita scolastica e ai suoi ritmi, a volte davvero pressanti con numerose verifiche e interrogazioni, e altre dovute a relazioni difficili con i compagni o a rapporti problematici con alcuni professori.
Certamente generano ansia le prevaricazioni e le offese dei bulli, ma anche i primi amori e la sessualità nascente.
Al primo posto, come fonte di stress, c’è però la pressione psicologica dei genitori circa il successo scolastico dei figli.
Ci sono le loro aspettative per i voti e anche quelle degli insegnanti che nei confronti di alcuni, a volte i più dotati, premono perché ottengano sempre migliori risultati.
 
Questo fa si che bambini e adolescenti sentano che per essere riconosciuti e apprezzati bisogna affermarsi a scuola e avere successo.
Abituati fin da piccoli a corrispondere a tali aspettative, i giovani crescono con l’idea di dover essere sempre efficienti, primi della classe o, in non pochi casi, studenti perfetti.
Va da sé che un’insufficienza non piace a nessuno, ma lo stress nasce proprio dalla presenza di un’esigenza profonda di soddisfare il genitore interno, oltreché quello reale, e dalla continua sollecitazione degli adulti ad essere in competizione con gli altri e con se stessi.
 
È allora che una prestazione insufficiente può essere vissuta come vero e proprio fallimento, il voto negativo letto non come valutazione di un lavoro povero o espressione di scarsa preparazione, ma come giudizio negativo del proprio modo di essere.
Così quei figli esigenti e preoccupati finiscono per essere studenti super impegnati a portare a casa buoni voti e dare a scuola prestazioni elevate pur di essere accettati.
Cercano di dare il massimo e primeggiare ad ogni costo, ma il prezzo da pagare è l’esaurimento delle energie e il crollo psicofisico. Ovvero lo stress.
 
Su un altro versante invece possiamo trovare giovani con difficolta a tollerare le frustrazioni perché gli adulti iperprotettivi sempre protesi a difenderli da tutto e preoccupati di evitare ogni sbaglio, li hanno fatti crescere senza la possibilità di cadere o sbagliare.
Così siamo attorniati da teenager fragili e delicati, adolescenti insicuri e soprattutto incapaci di tenere botta nelle difficoltà.
Per aiutarli a combattere lo stress e renderli forti e in grado di affrontare le difficoltà della vita, da una parte vanno rese palesi le preoccupazioni che possono venire da reali minacce o da offese oggettivi stati di tensione, ma al contempo aiutati a contrastare lo stress patologico.
 
Poi, da un punto di vista educativo, in famiglia come a scuola, si dovrebbero ridurre quelle aspettative pressanti che gravano sugli studenti e che riguardano poco la loro vita, ma sono più connesse alle angosce degli adulti di riferimento e alle loro personali esperienze negative fatte durante la crescita e a scuola, i cui sentimenti dolenti non ancora trasformati, finiscono per essere proiettati sui figli e chiesto loro di fare quello che ai grandi non è riuscito: essere bravi.
 
Giuseppe Maiolo
Università di Trento
www.officina-benessere.it