«L’officina - Storia di una famiglia» – Il 7 al Teatro Sociale di Trento

La messa in scena di una piccola epopea domestica, con le inquietudini, le gioie e le fatiche di un intero popolo

Debutterà giovedì 7 novembre in «prima assoluta» al Teatro Sociale «L’officina – Storia di una famiglia», spettacolo progettato e realizzato dal Teatro Stabile di Bolzano e dal CSC - Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento nell’ambito della nuova collaborazione che vede le due più importanti istituzioni teatrali del Trentino-Alto Adige lavorare insieme per la costruzione di una tradizione di drammaturgia del territorio che contribuisca a una nuova lettura della realtà storica e sociale della nostra terra.
I contenuti dello spettacolo sono stati illustrati oggi nel corso di una conferenza stampa.
 
Nell’aprire l’incontro con i giornalisti il presidente del Centro Servizi Culturali S.Chiara, Ivo Gabrielli, il direttore Francesco Nardelli e il direttore del Teatro Stabile di Bolzano, Marco Bernardi hanno ribadito a più voci il valore della collaborazione avviata fra i due enti culturali che ha saputo andare oltre il livello delle buone intenzioni e della mera progettualità per raggiungere in beve tempo risultati concreti.
Sulle caratteristiche dell’allestimento si sono poi soffermati l’autrice del testo, Angela Demattè, il regista Carmelo Rifici e Andrea Castelli che figura fra gli interpreti dello spettacolo.
 
Le prove, iniziate all'inizio di ottobre al Teatro Cuminetti, vedono ora la Compagnia al lavoro al Teatro Sociale dove il regista, Carmelo Rifici, sta mettendo a punto l'allestimento che comprende sette attori (Andrea Castelli, Giuliano Comin, Angela Demattè, Sandra Mangini, Christian La Rosa, Olga Rossi e Nicolò Todeschini), impegnati nell'interpretazione degli undici personaggi protagonisti della vicenda. Le scene sono curate da Guido Buganza e i costumi da Margherita Baldoni.
Le musiche sono di Daniele D’Angelo e Giovancosimo De Vittorio si occupa del disegno delle luci.
 
«L’officina – Storia di una famiglia» è una storia legata alla terra d’origine dell'autrice del testo, Angela Demattè, giovane attrice e drammaturga che, dopo il successo di pubblico e di critica di Avevo un bel pallone rosso, spettacolo prodotto dallo Stabile di Bolzano vincitore del «Premio Riccione 2009» e finalista ai «Palmares du theatre» 2013 in Francia, porta nuovamente in scena un testo ambientato in Trentino, dove è nata e cresciuta.
Questa volta non è più la «grande» storia a interessarla, ma una vicenda «piccola», particolare.
 
E’ la storia di una famiglia di artigiani in un paese del Trentino, dal 1926 ai giorni nostri.
Ancora una volta un progetto rischioso, poiché l’autrice si assume la responsabilità di cercare di parlare in modo concreto e non ideologico del tema più stringente del momento: il lavoro e i suoi mutamenti nell’arco di quasi novant’anni.
 
A dirigere questa «materia» complessa è Carmelo Rifici, regista che da sempre persegue un progetto di ricerca teatrale su snodi importanti della storia contemporanea, giunto alla sua terza collaborazione con lo Stabile dopo le belle prove di Avevo un bel pallone rosso e La Rosa Bianca, protagonista sempre Andrea Castelli.
In questo nuovo spettacolo si parla con schiettezza delle relazioni affettive e anaffettive di ciò che chiamiamo «famiglia».
 
Si parla però, con la stessa importanza e altrettanto tecnicamente, del lavoro quotidiano.
I due temi si intrecciano in modo imprescindibile ed è proprio questo l’aspetto più interessante della vicenda.
E' la storia del bisnonno Giuseppe e di suo figlio Federico. Del fascismo, della guerra, del boom economico.
E' la storia di Giuseppe e dei suoi figli Matteo e Roberto.
 
Degli anni '80 e della crisi. Tutto legato a quell'officina di fabbro sotto casa che gli uomini amano come si ama un'amante.
Ed è anche la storia delle donne di casa, Maria, Caterina, Marta, Anna, Sonia, Elena.
Anch'esse legate a quel ferro, a quel lavoro. La storia di come ci si inventava il lavoro, di come si pagavano le tasse e di come si pagano ora.
 
Di come si trattavano i figli e di come si custodivano i mariti.
Di quello che è cambiato e di ciò che non è cambiato per nulla. Dell’uomo artigiano.
L’autrice attinge a piene mani alla sua vicenda familiare fino a mettere in scena la maschera di se stessa, ma riesce a rispecchiare in questa piccola epopea domestica le inquietudini, le gioie, le fatiche di un intero popolo.
Soprattutto quell'inconfessato peccato (o necessità?) che si chiama lavoro.