Gli insospettabili benefici dei videogame – Di Nadia Clementi

Uno studio conferma i benefici dei videogame per i bambini dislessici – Ne parliamo con la neuropsicologa dello sviluppo dottoressa Monja Tait

La dottoressa Monja Tait.
 
I disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) costituiscono un fenomeno in largo aumento nelle nostre scuole, riguardano oltre il 4 % circa dei bambini in età scolare e si manifestano come un deficit nelle capacità di lettura, di scrittura e di calcolo.
Il più noto fra questi è la Dislessia, che compromette la velocità e/o la correttezza di lettura con ripercussioni frequenti anche sulla comprensione del testo scritto.
I DSA sono altamente associati tra loro: spesso alle difficoltà della dislessia si accompagnano anche problemi ortografici (disortografia), di grafia (disgrafia) e di calcolo (discalculia).
Riguardano bambini intelligenti, che non hanno problemi sensoriali (vista, udito) e neurologici, e che hanno avuto adeguate possibilità di familiarizzare con la lingua scritta.
È noto che un intervento precoce, o meglio ancora, la prevenzione, è fondamentale per aiutare il bambino con disturbo dell’apprendimento, purché attuati con metodologia corretta e da personale qualificato avente competenze specifiche nella diagnosi e nel trattamento del disturbo.
 
Un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Padova, pubblicato sulla rivista scientifica «Current Biology», ha recentemente evidenziato come l’uso di videogame d’azione siano in grado di migliorare sensibilmente la lettura attraverso un aumento delle capacità percettivo-attentive dei bambini dislessici.
Il deficit di attenzione visuo-spaziale era stato precedentemente identificato dallo stesso gruppo di ricerca come una delle cause del manifestarsi della dislessia, ovviamente sono stati utilizzati esclusivamente giochi non violenti e adatti ai bambini.
Lo studio per alcuni aspetti rivoluzionario è in contro tendenza rispetto alle accuse contro l'industria dei videogiochi: andrebbe infatti a sottolineare l’importanza della sfera attentiva rispetto a quella fonologica nell’ambito dei processi cognitivi di base, necessari per imparare a leggere.
 
Noi, per conoscere i dati di questa importante ricerca scientifica, ne parliamo con la dottoressa Monja Tait, che svolge attività di valutazione clinica e di intervento in ambito neuropsicologico, pedagogico, sociale presso il Centro Studi Erickson, e ha al suo attivo numerose specializzazioni ed esperienze professionali in qualità di psicoterapeuta.

 Chi è la dottoressa Monja Tait 
Monja Tait è una psicologa dell’età evolutiva, laureata a Padova e specializzata in psicoterapia a indirizzo neuropsicologico a Parma presso l’Accademia di Neurospicologia dello sviluppo.

Si è poi perfezionata a San Marino in Psicopatologia dell’Apprendimento.
Lavora come consulente del Centro Studi Erickson da numerosi anni e svolge attività clinica presso lo studio di Neuropsicologia e psicopatologia dell’Apprendimento presso la stessa struttura e per il Centro abilitativo Anffas «Il paese di Oz».
Da oltre dieci anni è impegnata nella formazione del personale nelle scuole dell’infanzia e primaria a scopo di osservazione dello sviluppo e per la prevenzione dei disturbi di apprendimento.

Gentile dottoressa Tait, vuole parlarci della ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Current Biology?
«Già nel 2003 uno studio di Green e Bavelier, pubblicato su Nature, aveva dimostrato come i videogiochi migliorassero le abilità di attenzione visiva. Lo studio dell’Università di Padova, ideato e coordinato da Sandro Franceschini, Simone Gori e Andrea Facoetti (Current biology, 2013), ha dimostrato per la prima volta al mondo come attraverso 9 sedute con videogiochi di azione di 80 minuti ciascuna durante due settimane, i bambini dislessici migliorino le loro abilità di lettura sulla base di un incremento della loro attenzione visiva.
«Questo è straordinario se pensiamo che gli stessi miglioramenti ottenuti con i videogiochi, in termini di velocità di lettura, normalmente si riscontrano dopo più di un anno di sviluppo spontaneo, e risultano più efficaci di quasi tutte le terapie tradizionali.
«Inoltre sono stati controllati gli effetti nel tempo e si è visto come a distanza di tre mesi i miglioramenti fossero mantenuti.
«Questo non significa che le terapie tradizionali debbano essere abbandonate, perché spesso lavorano su processi diversi, ma si può pensare di integrare le terapie tradizionali con questi training rivoluzionari.»
 

 
In che modo i videogiochi darebbero beneficio ai bambini dislessici?
«Il beneficio non è limitato solo ai bambini dislessici. In un recente studio, a cui ho partecipato insieme allo stesso gruppo di Padova e che non è ancora stato pubblicato, abbiamo dimostrato come anche bambini con difficoltà franche in matematica (discalculici) trovino miglioramenti nelle loro abilità aritmetiche a seguito di un trattamento di nove giorni con action videogames. In realtà, basandosi sullo studio del 2003, è credibile che tutti i bambini che abbiano una difficoltà di sviluppo o apprendimento che si basi sull’attenzione visuo-spaziale traggano beneficio da questo trattamento.
«Coloro che faticano in matematica spesso hanno problemi con la spazialità. I numeri e le quantità sono organizzati spazialmente. Pensiamo alla linea numerica mentale. Anche le tabelline dipendono da un’organizzazione spaziale: la tavola pitagorica rappresenta il concetto della moltiplicazione, non più lineare ma bidimensionale.
«Un’idea per il futuro è quella di poter dimostrare l’importanza del trattamento con i videogiochi anche per i bambini con deficit di attenzione (ADHD). Dal punto di vista neuropsicologico, questi giochi allenano l’attenzione visiva per la ricerca del target da individuare e selezionare.
«Nella pratica, i mini-game, precedentemente selezionati sulla base delle loro caratteristiche visive dal gioco Rayman Raving Rabbits della Wii (utilizzato in questi studi), chiedono ai bambini di individuare dei coniglietti che sbucano da tutte le parti e di prenderli con delle ventose attraverso un telecomando.
«È quindi richiesta attenzione visiva per la ricerca dei coniglietti che arrivano da ogni parte, in particolare nelle aree periferiche dello schermo. Questa pratica migliora nel tempo sia la prestazione ai videogiochi (attesa) e di riflesso anche la velocità e l’accuratezza nell’orientare l’attenzione nella lettura: pongo attenzione su quello che mi serve vedere, leggere, e isolo il resto senza dover leggere e rileggere. Sono più veloce ed efficace.
«Tipico dei bambini dislessici è l’effetto di affollamento visivo tale per cui in un testo, soprattutto se fitto, si ha la sensazione che le lettere e le parole si accartoccino tra loro rendendo ancora più difficoltosa la lettura.
«Il miglioramento dell’attenzione visiva selettiva ottenuto con i videogiochi avrebbe pertanto un effetto positivo sulla velocità di lettura senza penalizzarne la correttezza. I bambini diventano cioè più veloci restando corretti.»
 
Quali sono i videogiochi, per così dire, curativi e quali invece pericolosi?
«Posso esprimermi sulla nostra esperienza. I videogiochi d’azione, quelli cioè che chiedono al bambino di attivare una ricerca visiva sullo schermo poiché gli stimoli compaiono in maniera imprevista e soprattutto nelle aree periferiche, sono utili per stimolare l’abilità attentiva.
«Nella nostra ricerca sono stati selezionati alcuni mini-game presenti nel gioco Rayman Raving Rabbits che avessero le caratteristiche desiderate. Il nostro studio non ha indagato la pericolosità dei videogiochi, ma solo i benefici che possono portare all’apprendimento.»
 
Gli action game alleviano la dislessia evolutiva? Come e perché?
«Pensiamo che per leggere occorra prestare attenzione visiva e dirigerla nello spazio della pagina. Oltre a saper riconoscere le lettere, cosa che il bambino dislessico entro la fine della prima classe sa fare con assoluta certezza, occorre gestire la scansione dell’attenzione sulla pagina.
«Attraverso una tecnica che traccia i movimenti oculari (eye tracker) durante la lettura, si è visto come le persone dislessiche abbiano una gestione dello spazio assolutamente poco efficace.
«Si veda di seguito la differenza di movimenti oculari durante la lettura di un ragazzo di prima media senza difficoltà e di un ragazzo con tale disturbo.»
 
In che modo il videogioco «Rayman Raving Rabbits» cattura la capacità attentiva?
«La tipologia di stimolo presente nel video gioco di azione, preso come esempio, è processata da una delle due vie visive principali, cioè la via magnocellulare-dorsale, che contiene anche la rete neurale responsabile per l’orientamento dell’attenzione.
«La ricerca attiva dello stimolo, il coniglietto, e la motivazione del bambino a divertirsi e anche a vincere, portano le abilità attentive a essere catturate e allenate senza fatica e, anzi, divertendosi.»
 

 
L'uso dei videogiochi è indicato a partire da quale età? In che modo e per quanto tempo?
«I videogiochi utilizzati nello studio sono indicati a partire dai sette anni sulla base di una valutazione di PEGI (Pan European Game Information).
«Nello studio sono stati utilizzati per 80 minuti al giorno (40 + 40 con una pausa nel mezzo) per nove giorni durante due settimane.
«L’intensità del trattamento potrebbe essere una variabile rilevante, anche se altri studi dovrebbero essere svolti per trovare la frequenza ottimale.»
 
Anche l’uso di app, tablet, smartphone e supporti informatici rappresentano un valido supporto compensativo per il futuro?
«Direi di sì. In terapia ho già utilizzo App che migliorano le abilità cognitive come l’attenzione, la memoria, la percezione, ricorrendo a giochi che stimolano queste funzioni e facendo divertire i bambini. Nel 2013 ho scritto un capitolo di un libro che parla proprio di questo argomento (Appbilitazione del sistema del numero e del calcolo in Intervento logopedico nei DSA: la discalculia Biancardi et al, ed Erickson).»  

Sono in aumento i bambini con tali problemi rispetto al passato? Perché?
«Probabilmente c’è maggiore attenzione verso questi disturbi, grazie a una migliore formazione degli insegnanti e anche dei genitori.
«Un tempo l’obbligo di scolarità era inferiore e i ragazzi che faticavano a scuola abbandonavano precocemente.
«Oggi invece il problema è preso in maggior considerazione sia per una migliore cultura dell’apprendimento sia perché bambini e famiglie, ma anche la scuola, si trovano a dover gestire queste difficoltà per lungo tempo spesso fino all’università.»
 
 
 
Siamo ormai a livelli di allarme nella diagnosi di disturbi dell’apprendimento e molto spesso tali difficoltà possono migliorare, semplicemente cambiando metodo di insegnamento. Secondo la sua esperienza, nota una sorta di corsa alla diagnosi?
«Non parlerei di livelli di allarme, anche se ho capito cosa intende. In passato le diagnosi a un certo punto sono esplose, come succede ogni volta che si circoscrive e si dà un nome a qualcosa che prima non l’aveva. Nel caso della dislessia questo è un bene perché prima questi bambini venivano incolpati di scarse capacità o mancata volontà: È asino o non si applica.
«Ora invece emergono per quello che realmente sono, cioè delle problematiche neurobiologiche ereditarie che non hanno nulla a che vedere con la motivazione, l’insegnamento o la volontà dell’alunno. In realtà, per un bambino come per la sua famiglia, scoprire precocemente che c’è un problema di apprendimento gli riserva meno stress da insuccesso scolastico e maggiori possibilità di investimento sulla terapia, poiché effettivamente la possibilità di migliorare esiste, come dimostra anche la ricerca con i videogiochi.»  
 
Conclusione e consigli?
«La letteratura ad oggi ha identificato due elementi per una rilevazione precoce di possibili disturbi dell’apprendimento: la familiarità, ovvero se un genitore o parente prossimo ha avuto in età scolare problematiche di apprendimento, e il ritardo nell’acquisizione del linguaggio. Ricordiamoci che a due anni un bambino dovrebbe già parlare, a tre lo può fare molto bene.
«C’è tempo fino ai quattro anni per perfezionare la pronuncia. Dopo i quattro anni possiamo pensare a un disturbo del linguaggio. Spesso i bambini con ritardo del linguaggio non vengono riconosciuti e le mamme vengono tranquillizzate dalla famosa frase Parlerà.
«Questo di solito accade, ma sono i tempi dello sviluppo che poi possono portare a deficit di apprendimento. È quindi importante che ogni bambino riceva il giusto sguardo e la giusta osservazione. Come per un mal di pancia strano ci si rivolge subito al medico, anche per il linguaggio o la motricità sarebbe importante avere altrettanta attenzione.
«In futuro, probabilmente, gli indici di rischio potranno essere di più e più facilmente identificabili. Ad oggi è possibile prevenire un disturbo dell’apprendimento e aiutare a potenziare le aree deboli, fino in età prescolare.»
 
Nadia Clementi - [email protected]
Dottoressa Monja Tait - [email protected]

Un ringraziamento al primario dell’UO di Neuropsichiatria Infantile di Trento, dottor Calzolari e al prezioso lavoro delle logopediste Arnoldi, Pandini e Tarter che con l’intermediazione della coordinatrice Passerini hanno inviato alcuni casi per la ricerca.
Un sentito grazie anche al dirigente della scuola Artigianelli, dott. Erik Gadotti e ai suoi collaboratori, per aver ospitato lo studio.
Si ringraziano infine le colleghe che hanno partecipato attivamente ai due anni di ricerca: le dott.sse Francesca Reggiani, Elisa Casagrande, Susanna Tassinari, Federica Perghem e Elena Eccher.