E i vini dealcolati? Altra cosa – Di Giuseppe Casagrande
La Federazione Vignaioli Indipendenti dice sì alla bevanda, ma non chiamiamola vino. Le criticità nei disciplinari dei vini a indicazione geografica
Il vignaiolo trentino Lorenzo Cesconi, presidente della Fivi.
Nessuna contrarietà alla bevanda in sé, ma parere assolutamente negativo sul fatto che questi prodotti possano rientrare nella categoria vino: è questa, in sintesi, la posizione della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) sui vini dealcolati, comunicata ufficialmente con una nota al Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
Il regolamento della dealcolazione dei vini che si sta definendo in sede ministeriale desta grande preoccupazione soprattutto per la possibilità prevista dalla normativa europea di dealcolare, solo parzialmente, anche i vini a indicazione geografica.
«Il vino è espressione irripetibile di un territorio, di un clima, di una geografia specifici: è frutto di un processo naturale che l’uomo accompagna in campagna e in cantina con competenze e tecniche frutto di secoli di esperienza.
«Un procedimento tecnologico aggressivo come quello della dealcolazione va di fatto a snaturare il prodotto originale, rendendolo altro da ciò che era.
«Fare rientrare due prodotti così differenti nella medesima categoria rischia dunque di creare una sovrapposizione pericolosa, togliendo al vino il suo valore, in termini sia economici che culturali, – scrive Lorenzo Cesconi, presidente della FIVI. – Includere non solo i vini varietali, ma anche quelli a indicazione geografica tra quelli possibili di dealcolazione, può minare la stabilità dei sistemi dei vini di qualità e più in generale dell’intero sistema vitivinicolo.»
Ancora più preoccupante il fatto che ciò avvenga in concomitanza con la revisione del sistema delle indicazioni geografiche in sede europea, nella quale è attualmente previsto un passaggio di competenze dalla DG Agri all’EUIPO che ridurrebbe le denominazioni ad un puro marchio commerciale, depotenziandone il ruolo di tutela.
«Il nostro Paese ha oltre quattrocento denominazioni, tra DOC e DOCG: il settore vitivinicolo italiano per competere sullo scenario globale dovrà sempre di più investire in una produzione di qualità, rappresentativa di un luogo e di una cultura, e non su prodotti massificati e standardizzati» conclude la nota della FIVI, ricordando che i Vignaioli Indipendenti svolgono un ruolo centrale in questa azione di valorizzazione delle eccellenze e delle specificità territoriali italiane, esprimendo nei propri vini caratteristiche uniche e orientando la propria produzione verso la qualità, nel rispetto dell’ambiente e della tradizione.»
Il vignaiolo trentino Lorenzo Cesconi.
La Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti
La Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (FIVI) è un’organizzazione senza scopo di lucro nata nel 2008, che si propone di promuovere e tutelare la figura, il lavoro, gli interessi e le esigenze tecnico-economiche del Vignaiolo Indipendente italiano, inteso quale soggetto che attua il completo ciclo produttivo del vino, dalla coltivazione delle uve fino all’imbottigliamento ed alla commercializzazione del prodotto finale.
Attualmente sono 1500 i produttori associati, da tutte le regioni italiane, per un totale di oltre 13.000 ettari di vigneto.
Il Marchio FIVI raffigura «Ampelio», immagine di un Vignaiolo che porta una cesta d’uva sulle spalle e la cui ombra prende la forma di una bottiglia.
In questa figura è riassunto tutto quello che per la FIVI significa essere Vignaioli, impegnati quotidianamente in un processo che segue tutta la filiera di produzione, operando costantemente per custodire, tutelare e promuovere il territorio di appartenenza.
Giuseppe Casagrande – [email protected]